sabato 12 luglio 2008

Codificazioni (realizzato da Marina Brunazzi)

STORIA DELLE CODIFICAZIONI MODERNE IN EUROPA
APPUNTI delle lezioni

(Lezione Schipani 17/10/2007)

Le XII TAVOLE – (Schema delle lezioni 2.1.1)

Una importante citazione di Pomponio dice che “Le XII Tavole fondavano la città con le leggi”, era quindi quasi una vera e propria rifondazione della città. Inoltre Livio le qualifica come FONTE DI TUTTO IL DIRITTO PUBBLICO E PRIVATO.

Furono emanate dal decemvirato, (nel 450 a.C.) che fu una forma temporanea di governo che ha sostituito i consoli, e sospeso le altre magistrature. Prima i magistrati erano nominati anno per anno e incaricati di interpretare il diritto e di sovrintendere le azioni, prendendo il nome di fasti. Il termine "fasti" cominciò a designare quindi le liste dei magistrati nominati anno per anno che davano tra l’altro anche il loro nome all’anno (fasti consulares; fasti pontificales a seconda che fossero consoli o pontefici).

Prima delle XII Tavole, sin da Romolo e dai Comizi curiati, così come anche dai Re successivi, le leggi erano approvate senza ordine, con temi circoscritti. Dopo un periodo di incertezza, con le XII tavole cessano le leggi dei re, si rifonda la città e il suo diritto, e si sancisce il PRINCIPIO delle XII TAVOLE: tutto ciò che il popolo stabilisce è diritto, è legge. Era una legge di portata generale, ma comunque non completa, che tocca i punti focali, e pone le basi per la continuazione dell’attività legislativa.

Lo STILE DI FORMULAZIONE (vedi *), era brevissimo, conciso, leggibile.
Nasce con le XII tavole lo stile generale di formulare le leggi, che vediamo ancora oggi. La struttura dell’enunciato è di due tipi:

1) BREVE E IMPERATIVO (es. Non si seppellisca né si bruci nella città un uomo morto – principio questo ripreso anche nel codice napoleonico)
2) FATTISPECIE con EFFETTI, CONSEGUENZE, una sanzione condizionata (es. se uno di notte commette un furto, e il derubato lo uccide, il ladro sia considerato ucciso secondo diritto - perchè la notte accresce la pericolosità e giustifica l’autotutela)

Dalle leggi riportate nelle XII tavole si evince anche il fatto che l’edilizia era all’epoca più importante della proprietà (Il trave unito ad un edificio o ad un vigneto non venga tolto via).

Due tecniche, quindi: una norma che pone un ORDINE, oppure una norma con FATTISPECIE, una previsione di un caso, e gli EFFETTI conseguenti.

Livio (vedi **) riporta, nei frammenti suoi ritrovati, che vennero redatte le prime dieci tavole, dopo la secessione della Plebe, alle quali poi si aggiunsero le altre due. Vennero predisposte dai decemviri, approvate dai comizi centuriati e divennero corpus di tutto il diritto romano; sancivano il fatto che qualsiasi cosa il popolo avesse ordinato, ciò sarebbe stato diritto ratificato. Ciò che il popolo ordina, è diritto, ma doveva essere IUS, nel senso di conforme al diritto esistente, altrimenti non sarebbe stato ratificato, (la cosiddetta clausola di autolimitazione). Il termine Codice non esisteva ancora, le XII Tavole si dice infatti formino un Corpus, ordinato, che dava tranquillità e certezza, rispetto al precedente cumulo di leggi sparse.

Vennero incise nel bronzo e esposte in pubblico, con le XII Tavole nasce anche il concetto di COMUNICAZIONE, vengono infatti incise e esposte in pubblico, cioè comunicate, rese note, e questo resta nei secoli a seguire un elemento permanente. Emerge e permane il principio di CONOSCERE LA LEGGE.

Cicerone (vedi ***) commenta che le XII Tavole superano tutti i trattati dei filosofi, per prestigio e utilità, tenendo conto dei principi generali delle leggi. I principia iuris, cioè i principi fondamentali, sono il punto di partenza e il punto focale del diritto. Anche Gaio cita “il principio” (vedi libro di testo a pagina 101) come elemento fondamentale per la trattazione del diritto.
Cicerone cita poi due altre importanti regole riportate nelle XII Tavole:
Ø le leggi non vanno fatte per i singoli cittadini (privilegia);
Ø il principio dell’appello al popolo, provocatio ad populum, cioè il poter ricorrere ai comitia per rivedere una sentenza di condanna capitale (“Della vita del cittadino non decidano se non con il concorso del Comizio massimo”), regola alla quale lui stesso derogò all’epoca della Congiura di Catilina.

Congiura di Catilina: Il console Cicerone, dopo aver difeso il neo-console Murena dall'accusa di brogli (e allo scopo di evitare l'assegnazione della carica al candidato dell'opposizione Catilina,), ostenta un comportamento per indurre «gli onesti» a vedere in Catilina un uomo pericoloso, capace di uccidere il suo rivale (quella di Cicerone oggi sarebbe chiamata strategia della tensione). Ne ottiene l'emanazione del senatusconsultum ultimum: in virtù di tale delibera Cetego e Lentulo, i catilinari che non erano scappati con il loro capo (ma, rimasti a Roma, avevano tentato comunque di far sollevare la plebe e la tribù degli Allobrogi), furono portati con i loro seguaci nel carcere Mamertino dove furono strangolati uno a uno. Questo fu poi rimproverato a Cicerone, perché si trattava di cittadini che, prima dell'esecuzione, avrebbero avuto diritto alla provocatio ad populum, la richiesta di grazia sulla quale erano chiamati a pronunciarsi i comizi elettivi delle tribù romane.

Dopo l’emanazione delle XII Tavole i decemviri si comportarono in modo dispotico, per mantenere la gestione della cosa pubblica, e non far ritornare i magistrati sospesi. Furono quindi puniti, mandati in esilio o uccisi in carcere. I consoli erano però impegnati in guerre con i confinanti, non potevano per il momento tornare a governare, così fu creato un magistrato, il Pretore Urbano, affinché gestisse il diritto nell’Urbe, e poi il Pretore Peregrino, che esercitava la giurisdizione tra gli stranieri (peregrini).


Segue Le XII Tavole - Il metodo sistematico dei giuristi
(Schema delle lezioni 2.1.2)

Il metodo dei giuristi, sviluppatosi attraverso la Iuris Prudentia, parte con i sacerdoti più antichi (Pontefici e Fetiali) e diventa poi laica, attraversa la crisi di 50 anni del III secolo, che finisce con la tetrarchia di Diocleziano, e apre la via allo spostamento della Capitale, fino a Costantino che fonda la seconda Roma, Costantinopoli.

Pomponio nei frammenti ritrovati della sua opera (l’Enchiridion, un manualetto isagogico (descrittivo) compilato a scopo di insegnamento, di incerta datazione (forse intorno al 150 d.C., sotto il regno di Antonino Pio) diviso in tre parti:
Magistratum nomina et origo, sulla storia delle magistrature e sull'evoluzione della giurisdizione;
Ius origo et processus, sulla nascita del diritto e sullo sviluppo delle fonti;
Auctorum successio, sulla storia della scienza giuridica basata sullo studio dei singoli giuristi) dopo aver illustrato l’origine, il processo storico del diritto, descrive la nascita e lo sviluppo delle varie magistrature, che hanno gestito il diritto, e dice che l’effettività del diritto si realizza per mezzo di coloro che sono preposti a dire il diritto, applicandolo. Lo IUS DICERE (dire il diritto), avere la giurisdizione, era quindi di competenza dei Magistrati in primis, per amministrarlo, e dei Giuristi per migliorarlo (ius in melius producere), in quanto il diritto “non può star saldo” se non vi è qualche giurista che giorno per giorno lo migliora.(Vedi III IMP.).
L’opera di Pomponio è più una galleria di personaggi, e non parla molto del metodo usato.
Si parla ancora di IURA, al plurale perché vigeva la pluralità del diritto (ius gentium, ius honorarium etc) ma si intraprende il cammino verso l’unità del diritto.

I giuristi sono delle personalità di spicco, e svolgono tre attività:

CAVERE– attività cautelare, come si fa un atto, per evitare le controversie.
AGERE – come si agisce in giudizio, per redimere le controversie
RESPONDERE – parere su una questione.

Gi aspiranti giuristi, che facevano parte della Nobilitas, andavano a ascoltare (per questo si chiamano AUDITORES), per avere ESEMPI di scuola, e questo era il modo per imparare a professare il diritto. L’insegnamento non partiva quindi da manuali, da istituzioni, ma dall’ascoltare casi concreti. I primi manuali, a scopo didattico, nasceranno poi con Gaio.

Le leggi regie, approvate senza ordine, furono poi messe insieme, raccolte in unità per la prima volta da SESTO PAPIRIO, che è il primo giurista che si ritrova nei testi. Ma alla raccolta Papirio non aggiunse nulla di suo, nessun commento, creò una unità ordinata non cronologica (IN UNUM CONTULIT), creò una mappa, diede una linea di lettura.


(Lezione Schipani 31/10/2007)

segue Le XII Tavole - Il metodo sistematico dei giuristi

Gli assi portanti del sistema giuridico, sono quindi da sempre:
Il discorso sistematico dei giuristi e la Codificazione. Il passato offre elementi, logiche, per il diritto di oggi, per il diritto universale (Cina compresa) che recepisce il sistema giuridico romanistico.

Dicevamo che con Sesto Papirio il metodo, cioè il lavoro sistematico dei giuristi, arriva quindi a raccogliere in unità; lui infatti raccoglie le leggi approvate senza ordine, le riunisce e le ordina, ma secondo quale criterio? e a che scopo?
Che senso ha per il giurista questo lavoro?

Il senso è nel ritrovare COLLEGAMENTI tra i testi, si comincia quindi a intravedere una interpretazione sistematica, che si concretizzerà mille anni dopo.

Come sottolinea Pomponio, che ci riepiloga le fonti del diritto, la legge scaturiva prima dal popolo riunito in COMIZI, che erano stati istituiti da Romolo, il quale divise il popolo in parti, trenta curie, (vedi I Fonti). Si curava quindi la cosa pubblica tramite le deliberazioni di tali curie, su proposta anche del re stesso. Le leggi regie sono state successivamente quindi raccolte da Sesto Papirio in un libro, chiamato Diritto Civile Papiriano, ma come detto non aggiunse nulla di suo, ricondusse solo ad unità.

Cacciati i re, queste leggi caddero in disuso e il diritto tornò incerto. Con una riforma istituzionale fu istituito quindi un collegio di dieci uomini (decemvirato). I decemviri elaborano un progetto, che viene approvato dal popolo, e nascono quindi le XII Tavole. Altro principio, citato da Celso, nato con le XII Tavole, fu l’uguaglianza di fronte alla legge. Si fonda così la ISONOMIA, la parità davanti alla legge. Le Tavole sono inoltre, FONTE SCRITTA, e stabiliscono che ciò che il popolo vorrà sarà legge.

Il diritto civile scaturiva pertanto inizialmente dalle Leggi delle curie, poi con l’avvento delle XII tavole che fissarono e rifondarono il diritto si posero le nuove premesse per il diritto successivo. Da queste nacquero le AZIONI, cioè il modo di far valere il proprio diritto di fronte alle magistrature, furono composte delle azioni processuali certe e solenni, azioni DI LEGGE, AZIONI LEGITTIME (Actiones legitimae)
Con la Lex Ortensia del 287 a.c. venne dato il riconoscimento giuridico alle assemblee della plebe (concilium plebis), e alle loro deliberazioni (plebisciti) venne riconosciuto valore di legge. Ecco quindi un’altra fonte del diritto civile, alla quale si affiancano i senatoconsulta, il senato si inserisce nella cura della cosa pubblica e produce diritto. Così i magistrati, emanando editti contribuiscono a produrre il cosiddetto ius honorarium (dalla carica onoraria dei magistrati), che alimenterà anch’esso il diritto civile. Infinte con l’avvento del Principato alla produzione del diritto si aggiungono le costituzioni del principe. Per riassumere con l’elenco scritto da Pomponio stesso, nella città il diritto si statuisce con:
Ø diritto scritto, cioè con la legge, approvata dai comizi curiati
Ø diritto civile prodotto con l’interpretazione dei giuristi, resa ufficiale dalla loro competenza
Ø le azioni di legge, cioè l’agire in giudizio
Ø il plebiscito, dalle riunioni della plebe, senza ulteriore approvazione del senato
Ø l’editto del magistrato, il diritto onorario
Ø il senatoconsulto, statuito soltanto dal senato
Ø la costituzione del principe, che viene osservata come legge

Pubblicate, le tavole vengono lette e discusse nel foro, creando subito nuovo diritto, il diritto civile, fondato sull’autorità dei giuristi che ne discutono.

Quindi le fonti più rilevanti sono da un lato le LEGGI, fatte con POTESTA’ dal POPOLO, dalla sua volontà e dall’IMPERIUM dei magistrati e dall’altra il DIRITTO, fatto con AUCTORITAS, con autorevolezza dai GIURISTI.

Inoltre l’auctoritas del Senato garantiva che le leggi nuove fossero coerenti con il sistema generale. Alla competenza dei Iuris Periti si riconosceva una AUTOREVOLEZZA, un’Auctoritas, che si affianca alla Potestas, al POTERE.

Leggi scritte – Potestas ----------------------------- Diritto civile non scritto - Auctoritas

Neanche Gneo Flavio, che riunì e diede unità alle AZIONI processuali, certe e solenni, le AZIONI DI LEGGE (Legis actiones), in un libro, non aggiunse nulla di suo, come Papirio.

1° FORMA DI LAVORO DEI GIURISTI E’ QUINDI RACCOLTA E ORDINE.


Successivamente un altro giurista, Sesto Elio, aggiunge quindi qualcosa, non raccoglie semplicemente le leggi, fa una interpretazione letterale, parola per parola. Come i commentari di oggi che commentano articolo per articolo, Sesto Elio fa quella che oggi è contenuta nelle Preleggi (art. 12 c.c.), una interpretazione letterale delle parole con il singolo significato, e un’analisi della sintassi. Aggiunge quindi qualcosa di suo al diritto. Scrisse i TRIPARTITI, chiamati da Pomponio “la culla del diritto”. Si chiamavano Tripartiti perché era un’opera divisa in tre parti, una premessa con le XII Tavole, poi una interpretazione, e poi le azioni di legge.


2° FORMA DI LAVORO DEI GIURISTI E’ INTERPRETAZIONE





Si passò poi, con Publio Mucio, Bruto e Manlio, i quali procedettero quindi con l’esegesi dei testi, ad una ulteriore nuova forma di lavoro dei giuristi. Di loro Pomponio dice che “fondarono il diritto civile”. Usa lo stesso verbo usato per le XII Tavole, che fondarono la città. E siamo nel II sec. a.C. dove erano già note le servitù, e l’usufrutto. Il diritto era quindi cresciuto, oltre le XII Tavole, quindi i giuristi abbandonarono l’ordine delle tavole e seguirono un loro ordine, riordinarono l’intera materia, con i primi nessi sistematici. Fondano quindi, il nuovo diritto, civile.


3° FORMA DI LAVORO DEI GIURISTI COMMENTARE LE LEGGI ESEGETICAMENTE



Si arriva quindi a QUINTO MUCIO, ordinò il diritto per GENERI, in 18 libri. Creò un nuovo metodo, innovativo, che solo Cicerone aveva già individuato in un opera che non ci è pervenuta: Ius in artem redigere. (vedi libro di testo da pag. 199 in poi). Quinto Mucio individua le categorie generali, i GENERI, e le singole specie. Pomponio, (grazia al quale con il suo testo, del quale noi abbiamo un frammento, segue le vicende storiche e del lavoro dei giuristi), individua in questa caratteristica la novità dell’opera di Quinto Mucio, l’individuare le categorie del diritto e il classificare per genere e specie. E’ la prima realizzazione di questo tipo, che articola un tutto, raggruppando gli argomenti in categorie e identificando le specie per ogni categoria. E’ superata la pura ricompilazione delle leggi, superata la interpretazione di un testo legislativo di base. E’ una tecnica di lavoro più ricca e complessa

4° FORMA DI LAVORO DEI GIURISTI– ORDINE PER GENERI

Da osservare che il diritto ora è SCRITTO, ma nel senso che gli scritti dei giuristi hanno valore ufficiale. Prima di Quinto Mucio i giuristi scrivevano, certo, ma non in modo ufficiale, non pubblicamente rilevante.

Anche Cicerone come dicevamo aveva predisposto un’opera, a noi non pervenuta (Ius in artem redigere), ma nelle 10 righe trovate, lui spiega che tutte le discipline sono redatte in “arte” (la grammatica, la geometria etc.) secondo canoni non propri della disciplina, ma secondo canoni generali, per tutte le discipline, un patrimonio comune. L’ars, cioè il metodo di lavorare, era comune, non esclusivo del diritto.

Il metodo di Cicerone (che qualcuno ricollegava alla Dialettica, quindi alla discussione tra vero e falso,), individuando generi e i loro connotati, le specie e i loro connotati, e poi traendo le conclusioni era l’arte di indurre e dedurre. E’ materia di discussione se la Dialettica fosse applicabile al diritto o meno. I giudizi possono essere personali, e avere valore di verità solo per me. Cicerone diceva che ciò che è giusto è anche vero, ma la questione è discussa. Diceva che un sistema di concetti porterebbe a conclusioni/deduzioni certe, vere.

Cicerone voleva applicare al diritto un metodo (dialettico o meno), di organizzazione, classificazione delle nozioni particolari di una disciplina in categorie, e si articolava in cinque operazioni.
1) Definire l’oggetto (il diritto, equo abilitas delle cose dei cittadini, dei loro affari e la conservazione della uguaglianza)
2) Individuare i suoi elementi costitutivi
3) Individuazione di pochi generi (cittadini, affari, controversie)
4) Divisione dei generi in specie (e eventuali sottospecie)
5) Designazione e definizione di ogni genere e di ogni specie

Cicerone aveva un obiettivo specifico, un MANUALE semplice, destinato ad un OTTIMO ORATORE, secondo lui il professionista più importante, che pensava non ci fosse.

Quinto Mucio aveva invece in mente la formazione del GIURISTA, figura criticata da Cicerone. I giuristi all’epoca si formavano ascoltando

Pomponio nel suo frammento riconosce a Quinto Mucio il primato della RICOSTRUZIONE SISTEMATICA. Si era consolidata l’esigenza di un ordine sistematico, e Quinto Mucio lavora per questo. Costituì il diritto civile in una disposizione ordinata per generi, in diciotto libri. Fissò per primo il metodo GENERATIM, seguito poi dai giuristi successivi, e creò un manuale sintetico a fini didattici e introduttivi.


Quindi per riassumere l’attività dei giuristi:

nasce prima l’UNITA’ ORDINATA – IN UNUM – raccolta e ordine delle leggi.

poi ci sono i TRIPARTITI di Sesto Elio – con l’interpretazione letterale

poi il COMMENTO esegetico dei testi

poi GENERATIM - ricostruire per genere e specie


Nel II sec. d.C. nasce il metodo dei manuali istituzionali, che vengono redatti per i giuristi, e con finalità didattiche, per arrivare poi a Gaio, con le sue istituzioni, il manuale per eccellenza (prima di quello di Giustiniano) che aveva un altissimo livello di astrazione.

Caracalla nel 212 d.C. aveva esteso la cittadinanza a tutti, e ci si trovò di fronte alla difficoltà di identificare un candidato che avesse a questo punto il consenso di tutti,. La scelta era difficile, e si arrivò a scegliere il canale ESERCITO, chi avesse avuto il consenso dei militari sarebbe stato il principe.

Dopo il Principato (ove fondamento del potere era la LEX DE IMPERIO, non l’ereditarietà del titolo, non era infatti REGNUM, come era con i RE, ma è sempre RES PUBLICA, in cui si inserì una nuova magistratura, appunto il PRINCIPIS), ci fu l’avvento del DOMINATO, in particolare con DIOCLEZIANO, per arrivare poi a COSTANTINO, che fonda la nuova Roma, Costantinopoli. Una seconda capitale dell’impero, e un secondo Senato. (Vedi Principato e Dominato nel manuale di storia del diritto romano).

In questo quadro storico va in crisi la scienza giuridica, finiscono i grandi giuristi, già inseriti nell’apparato burocratico del Principe (nei contrasti che ci furono molti giuristi si dispersero, Papiniano fu addirittura ucciso).

Dalla volontà del popolo nascevano come abbiamo visto quattro tipi di fonti del diritto:

1) Legge, fonte di diritto in quanto emanata dal popolo
2) Costituzioni (rescritti, decreta, epistole) cioè atti del Principe aventi valore di legge, perché il principe opera in forza della Lex de imperio, datagli dal popolo
3) Plebiscita, decisioni del popolo che venivano equiparate alla legge tramite una LEGGE
4) Senatoconsulta, pareri del Senato, atti con valore di legge, il cui fondamento non è facile identificare. Il Senato aveva già avuto un ruolo nell’iter di approvazione delle leggi, ed era da sempre organo consultivo dei magistrati. Pomponio ne sottolinea nei suoi testi la necessità.

Con il dominato invece le fonti del diritto si accentrano sul principe, solo lui può costituire diritto, tanto che i giuristi, i quali vista l’autorevolezza, vengono inseriti nell’apparato burocratico del principe, così da poter essere controllati, e così da poter aiutare il principe a emanare costituzioni con un contenuto autorevole e competente. L’imperatore Valentiniano arriverà a emanare la famosa LEGGE DELLE CITAZIONI, in modo da limitare addirittura l’utilizzo dei pareri dei giuristi, essendoci il rischio che potessero essere in contrasto con leggi imperiali. Questo sarà chiamato “il tribunale dei morti”, perchè i cinque giuristi che potevano essere citati erano all’epoca tutti già deceduti:
GAIO
PAOLO
ULPIANO
MODESTINO
PAPINIANO

Per legge valeva la regola della maggioranza, dell’opinione più condivisa. In caso di parità sarebbe stata valida l’opinione di Papiniano. Teodosio estenderà poi la validità anche a quei giuristi CITATI dai cinque selezionati.

Le Costituzioni diventano numerosissime, la Giurisprudenza comincia quindi a raccoglierle. Alla figura del giurista si sostituisce quindi il RACCOGLITORE DI COSTITUZIONI, e si evidenzia oltretutto l’esigenza di renderle accessibili, cioè il nuovo diritto, costituito dalle costituzioni dei principi, dovevano essere conosciute per essere rispettate, ed ecco quindi i primi CODICI, Hermogeniano e Gregoriano.

5° FORMA DI LAVORO DEI GIURISTI–COMPILAZIONE DELLE ISTITUZIONI

Nel II, III e IV secolo si assiste quindi a un grande lavoro EDITORIALE. La parola CODICE non aveva il significato odierno, era inteso come supporto materiale per la scrittura, di pergamena, ripiegati e cuciti, dei libri veri e propri (la parola LIBRO invece indicata la ripartizione interna di un’opera), che andavano a sostituire i ROTOLI, di difficile consultazione. I papiri, i rotoli, che si trovano oggi ancora nelle Sinagoghe, che hanno mantenuto questi testi per tradizione, si consumavano, molto testo infatti è andato perduto. Erano voluminosi, anche perché avevano una protezione esterna.

Quindi dal PAPIRO al CODICE, si passa ad un nuovo supporto materiale. Il CODICE è quindi più facilmente consultabile, ed è più rapido passare da un punto all’altro del testo, facilita le operazioni di collegamento tra i concetti.

Appare quindi questo nuovo supporto fisico, a cui farà seguito il concetto di raccolta ordinata del diritto.

Ai primi Codici segue quello di TEODOSIANO, con il quale il termine CODICE acquisisce finalmente anche il significato di RACCOLTA DI DIRITTO, vincolante, oltre al significato di supporto materiale, in vista delle Codificazioni di Giustiniano.

Al Codice assomigliava già l’EDITTO DEL PRETORE, nella sua formulazione (se X allora Y) e nel fatto di raccogliere l’elenco delle pretese possibili, editto che era stato fissato da Adriano (e il giurista Salvio Giuliano, che era nel suo consilium principis), ed era vincolante per il magistrato.

Quindi le FONTI si basavano sulla VOLONTA’ DEL POPOLO (come visto prima, o direttamente con legge o attraverso le costituzioni e i plebiscita), sugli EDITTI dei magistrati e sulla AUTOREVOLEZZA dei giuristi.

GIUSTINIANO (527 d.C.)
Giustiniano, nell’ambito del suo progetto di unificazione dell’impero e del diritto, decise quindi di codificare nuovamente le costituzioni, anche perchè si pose il problema della INCERTEZZA del diritto, delle norme, che causava la LENTEZZA DEI PROCESSI. Quindi pianifica il progetto di porre la CERTEZZA al servizio della GIUSTIZIA. Principalmente a questo fine, quindi, per dare certezza, decide di fare un CODICE, con il suo nome, e nomina una commissione, con a capo Triboniano. Obiettivo quindi: SVELTIRE I PROCESSI. (anche i Digesta e le altre parti del Corpus Iuris Civilis li chiamerà “i miei codici”, li ricondurrà quindi alla stessa categoria).

Raccoglie quindi LEGGI, Costituzioni, e IURA (il diritto classico, compresi i pareri dei giuristi), cosa non riuscita a Tedosio. Ricordiamo che Teodosio aveva inserito nel suo codice la Legge delle Citazioni, allo scopo di sostenere le posizioni di pochi giuristi autorevoli, e quindi validi per legge, e Giustiniano nel suo Primo Codice inserisce anche lui la Legge delle Citazioni, ma con il secondo codice, quindi dopo la redazione del Digesto, ha poi esteso la raccolta di IURA a tanti altri giuristi, quindi non la inserisce più.

I testi erano stati manipolati, in ogni trascrizione nel tempo, quindi serviva che fossero fissati, serviva un testo definitivo che desse certezza.. Vengono eliminate le contraddizioni, e le pluralità dei punti di vista (ius controversum) vengono ricondotte ad unità armonica. I giuristi di Giustiniano, di altissimo livello, riescono dove quelli di Teodosio non riuscirono.

Triboniano, a capo della Commissione, sceglie gli altri, detti CONDITORES, da condere, fondare, perché FONDARONO L’OPERA, che resero quindi armonico il diritto, senza contraddizioni. Producono un’opera ordinata, decidono tra i contrasti, scegliendo il più equo, il più buono, la soluzione più giusta, la migliore, che diventa quindi la versione UFFICIALE. Con la loro competenza compongono quindi i DIGESTA e il MANUALE DI ISTITUZIONI.

I Codici Giustinianei sono stati poi emanati e diffusi con una COSTITUZIONE, che quindi li fa diventare legge. Sono frutto di una convergenza tra LEGGI e lavoro di giuristi. Raccolgono COSTITUZIONI (la volontà dell’imperatore, sostenuta dal popolo) e DECISIONI DEI GIURISTI (che hanno un ruolo fondante).

Il Digesto (Lat. Digesta o Pandectae) è una compilazione in 50 libri di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico dell'imperatore Giustiniano I. Promulgato il 16 dicembre 533 con la costituzione imperiale bilingue Tanta o Δεδωκεν entrò in vigore il 30 dicembre dello stesso anno. La gestazione dell'opera ha inizio il 15 dicembre 530, data in cui Giustiniano promulga la costituzione Deo auctore con la quale dà incarico (VEDI FONTI Const: Deo Auctore – Sul concepimento dei Digesti) a Triboniano, quaestor sacri palatii, di raccogliere in un'unica opera i frutti della secolare produzione della giurisprudenza romana.
Per compiere l'immane opera di selezionare il vastissimo materiale giurisprudenziale Triboniano forma una commissione composta da un lato da dotti, dall'altro da eminenti avvocati di Costantinopoli. La commissione risulta così composta da: Triboniano, che la presiede, Costantino, ministro del tesoro o comes sacrarum largitionum, i professori di Costantinopoli Teofilo e Cratino, i professori di Berito (l'odierna Beirut) Doroteo e Anatolio, ed undici avvocati (Stefano, Mena, Prosdocio, Eutolmio, Timoteo, Leonide, Leonzio, Platone, Iacobo, Costantino, Giovanni).
Giustiniano conferisce ai compilatori la facoltà di apportare le modifiche ai testi giuridici ritenute necessarie al fine di eliminare le contraddizioni e di adeguarli al diritto vigente.
Il lavoro dei commissari si conclude dopo soli tre anni, un tempo sorprendentemente breve vista la mole di opere giuridiche che i compilatori utilizzarono per la composizione dell'opera.
I Digesta vengono quindi promulgati da Giustiniano il 16 dicembre 533 con la costituzione bilingue Tanta o Δεδωκεν. L'entrata in vigore viene fissata per il 30 dicembre del medesimo anno.
La struttura dell'opera Il Digesto è composto da 50 libri. Ciascun libro è diviso in titoli, ogni titolo ha una propria rubrica indicante l'argomento trattato. All'interno dei titoli sono ordinati i frammenti delle opere della giurisprudenza romana. I frammenti sono preceduti dalla inscriptio con il nome del giurista che ne è l'autore, l'opera e il numero del libro dal quale è tratto. I frammento più lunghi sono stati divisi,dagli interpreti medioevali in principium e successivi paragrafi.Unica eccezione è costituita dai libri 30,31,32 che non sono divisi in titoli ma ricompresi nell'unico titolo De legatis et fideicommissis.


(Lezione sostituto di Schipani 21/11/2007)

I Codici moderni, a cui si arriva tramite i Codici Giustinianei, sono frutto quindi di vicende millenarie. Partendo dalle XII Tavole (450 a.C.), considerate fons omni iuri, fonte di tutto il diritto, ai Codici di Giustiniano (533 d.C.), uniti dall’idea comune del FONDAMENTO DELLA COMUNITA’ ORGANIZZATA SULLE LEGGI. Come dice Cicerone “Il popolo è un aggregato di uomini tenuto insieme dal diritto”. C’è quindi una consapevolezza millenaria del fatto che il popolo è UNITO dal diritto.

Prima del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano c’erano stati tentativi di composizione ordinata (Cesare, Cicerone, le compilazioni, i Codici Hermogeniano e Gregoriano, poi Teodosiano) quindi era da sempre diffusa una volontà classificatrice, ordinatrice.

Giustiniano accorda a questo scopo una grande FIDUCIA ai giuristi, e li chiama infatti CONDITORES, fondatori della civitas con il diritto. La figura di Triboniano è stata nel tempo molto rivalutata. Era il presidente della Commissione nominata per la stesura dei Codici. Non era un giurista, ma un alto funzionario, il Ministro della Giustizia. Giustiniano gli affida la scelta degli altri componenti, professori di diritto, avvocati, operatori del diritto come si dice oggi, che facessero un impiego quotidiano del diritto. Si crea una struttura organica, omnicomprensiva di materiale giurisprudenziale, evitando ripetizioni, contraddizioni, e eliminando le desuetudini. Non è un semplice collage, un mosaico, una coperta patchwork, un incollare i pezzi insieme, ma è un’opera ordinata, sistematica, un tappeto persiano intrecciato. Un’opera molto complessa, fatta oltretutto in poco tempo, in tre anni. E’ il portato della consapevolezza delle opere antecedenti.

La COSTITUZIONE, da cui prende il nome la nostra attuale Costituzione, era la FONTE con cui il principe e l’imperatore producevano diritto. Il potere di fare questo gli veniva dal popolo, non era un AUTOCRATE, cioè uno che trae il potere da sé. E’ al popolo infatti che spetta il potere legislativo, e Giustiniano ne era pienamente consapevole.

Il DIGESTO è quindi una raccolta organica delle opinioni dei giuristi, alla quale viene data forza di legge. I giuristi erano dei privati, alla cui opinione veniva data forza tramite il convincimento del giudice delle loro opinioni. Gli viene conferita POTESTA’ PUBBLICA. Come già detto nel Digesto si INTEGRANO LE FONTI, le Costituzioni imperiali e le opinioni dei giuristi.

Giustiniano gli crea una “cinta di mura”, a protezione di questa raccolta, che diventa quindi UFFICIALE, CERTA !

Teodosio II, nel suo codice inserì la già citata Legge delle Citazioni, che vietava di portare in giudizio opinioni di altri giuristi che non fossero i cinque “ufficiali”. Al massimo si poteva citare un giurista richiamato in un testo dei cinque giuristi, che all’epoca erano oltretutto già morti, infatti si soleva definirli il TRIBUNALE DEI MORTI. La Legge era stata emanata per far fronte al caos di opinioni, per aiutare i giudici, gli operatori del diritto, per facilitare il loro lavoro. Non veniva scelta l’opinione più aderente, più equa e più giusta. Non era una scelta qualitativa, ma quantitativa, cioè si sceglieva l’opinione più diffusa, quella riportata nel maggior numero di sentenze, oltre che quella comunque di uno dei cinque giuristi che, anche se eccellenti, potevano non aver dato l’opinione più aderente al caso, rispetto a quella di un giurista meno noto.

Inizialmente Giustiniano è influenzato da questo modo di pensare, e nel suo primo Codice del 529 d.C. inserisce anche lui la Legge delle Citazioni (del primo Codice si è potuto recuperare solo l’indice, lo schema iniziale, ove compariva appunto questa legge). Poi fa redigere il Digesto, che supera questo concetto, perché ricomprende le opinioni di tanti giuristi, tanto che nel secondo Codice non compare più la Legge delle Citazioni.

Giuristi come Marciano, Scevola etc. vengono quindi riscoperti, rivalutati. “TUTTI GLI AUTORI DEL DIRITTO VALGANO CON PARI DIGNITA’”, non c’è più la supremazia di qualcuno. E’ un segnale di una maturità scientifica incredibile, per quel tempo, un ribaltamento di prospettiva veramente notevole.

Nel 533 d.C. escono anche le ISTITUZIONI di Giustiniano, opera semplice, fatta per la gioventù, che vuole imparare il diritto. Anche qui Giustiniano interviene rivalutando i giovani studenti, le matricole, che erano chiamate DUPONDII, (due soldi – OGNI dupondio valeva due assi, moneta dell’epoca), erano poco considerati, e derisi. Lui li rivaluta e li fa chiamare IUSTINIANI NOVI.

Le NOVELLAE COSTITUTIONES sono poi le ultime, scritte in greco, lingua che si parlava nella parte orientale dell’impero. Il fatto che fossero in greco ne facilitò quindi all’epoca la diffusione e la conoscenza, ma fu poi più difficile recuperarne il testo e recepirle nel Medioevo finché non furono tradotte in latino. Irnerio stesso non le comprese subito.

Per tornare al concetto di CODICE, il termine risale anteriormente a Giustiniano, e come già detto non voleva dire RACCOLTA, ma era una veste editoriale nuova, un insieme di fogli, ripiegati, cuciti, rilegati, dei fascicoli, che andò a sostituire i precedenti rotoli, non di facile consultazione con i quali era complicato fare i collegamenti tra un testo e un altro. Con i codici invece si potevano fare quelli che oggi si chiamerebbero collegamenti ipertestuali. Oggi il CODICE è invece un testo di COGNIZIONI GIURIDICHE.

I codici di Giustiniano sono le OPERE che lui fa comporre. Vengono in generale chiamati Codici anche se ogni opera ha un suo nome e una sua struttura.

STRUTTURA DEI CODICI GIUSTINIANEI

ISTITUZIONI
Testo elementare, un manuale, “per l’animo inesperto dello studente”, con le indicazioni di base (come oggi). Composto da 4 libri, scritti in latino, sulla base di quelle di Gaio, divisi in PERSONES – RES – ACTIONES.
Anche oggi nei codici moderni la struttura seguita è questa, tranne per il codice tedesco (BGB), che mette invece come prima cosa il NEGOZIO.
Il discorso è portato avanti in prima persona, plurale (pluralis maiestatis). Non viene citato il giurista, il discorso è organico ma fatto in prima persona “NOI”, come se l’imperatore stesso parlasse agli studenti.
DIGESTO
Cernita e selezione di un numero incredibile di testi, composto in 50 libri. Segue l’ordine dell’EDITTO PERPETUO, codificato da Salvio Giuliano sotto l’imperatore Adriano. Qui il giurista viene citato, così come viene citata l’opera da cui viene preso il testo, l’opinione. Le indicazioni sui testi vengono indicate con 4 numeri e una lettera, la D, per Digesto.
Es. D,49,2,3,4 = Digesto – Libro 49 (quindi mai più di 50) – Titolo 2 (sezione del libro, categoria, rubrica (da ru, rosso, perché era scritto in quel colore) – Frammento 3 (opinione, testo) – Paragrafo 4.

Per individuare la citazione invece i medioevali non usavano i numeri ma usavano le prime parole del testo per identificare il frammento, le parole iniziali.

Per quanto riguarda il metodo usato per costruire il Digesto, ci sono due grandi teorie, elaborate da due studiosi tedeschi. Quel che è certo è che fu un lavoro organizzato sistematicamente, in maniera organica, da Triboniano, che fu quindi presidente della commissione e organizzatore dei lavori.


TEORIA DELLE MASSE (di Von Bluhme)
Si presuppone una divisione in sottocommissioni, che lavorassero ognuna su un gruppo di frammenti, su una parte della biblioteca immensa di Triboniano, da leggere e limare. La biblioteca era divisa in argomenti omogenei, in masse appunto.

MASSA:

SABINIANEA (civile) - EDITTALE (ius honorarium) – PAPINIANEA (casistica, le quaestiones)


Più l’APPENDIX, comune a tutti.

Quindi una griglia di argomenti, ripartiti tra le varie sottocommissioni. I titoli indicati nel Digesto corrisponderebbero quindi alle masse. (es. D. 4,4, - Digesto Libro 4, Titoli 4 “Dei minori di 25 anni”). L’ordine, la sequenza seguita dai giuristi è regolare, come le masse.

TEORIA DEI PRE-DIGESTI (di Hofmann)

Giustiniano, tra l’altro, crea l’Ordine degli studi per gli studenti, ripartito in cinque anni, e dice agli studenti che sono fortunati perché hanno a disposizione ora un’opera chiara, ordinata, senza contraddizioni, su cui studiare. Ma prima come facevano ? Questa è la domanda che si pone Hofmann per arrivare alla sua teoria. Si mette quindi alla ricerca dei testi su cui studiavano prima, le ANTOLOGIE precedenti. La sua teoria è che quindi le Sottocommissioni si fossero basate su queste antologie di diritto, quindi su materiale “di seconda mano”, sulle raccolte di iura precedenti, anteriori al Digesto. E’ comunque una teoria molto criticata.


Gli strumenti di analisi dei Codici moderni, secondo il prof. Schipani, sono gli stessi dei Codici Giustinianei: Fonti – Scopo – Destinatari – Struttura dell’opera

In Giustiniano:
FONTI – Legge e Giurisprudenza convivono
SCOPO – Accelerare i processi e lo svolgimento della vita giuridica
DESTINATARI – tutti
OPERA - in forma breve, scritta, ordinata, chiara

I Codici, anche moderni, indicano anche la via per colmare le lacune dell’ordinamento. E così Giustiniano nelle Novellae spiega che si lascia all’operatore del diritto il compito di trovare la soluzione migliore. Ha fiducia nei suoi testi, e nei giuristi, che troveranno quindi il modo di interpretare e di applicare la soluzione migliore. Non considera il legislatore onnipotente. Il Codice quindi, fatto dai giuristi, ritorna ai giuristi.

Oggi in realtà, si rimanda più al legislatore, e il giudice può solo APPLICARE IL DIRITTO, non può essere creativo, né cercare soluzioni più eque che non rimandino ad un diritto già sancito. Il Digesto invece si basava sul principio che ci fosse un continuo lavoro di MIGLIORAMENTO del diritto (in melius producere), da parte del giurista.


(Lezione Schipani 28/11/2007)

OPERE DI GIUSTINIANO

CARATTERISTICHE delle singole opere:
CODEX:
Costituzioni imperiali, quindi Leges, raccolte In 12 libri e TITOLI (C., numero libro, numero titolo, numero costituzione, numero paragrafo se c’è).

DIGESTA:
Scritti dei giuristi classici (D., numero libro, numero titolo, numero frammento ,numero paragrafo), contenevano il nome del Giurista e il nome dell’opera. Erano una raccolta di IURA, ordinati in 50 libri, divisi in libri e suddivisi in paragrafi. Contenevano dei frammenti. Principium era il primo paragrafo.

ISTITUZIONI:
Riscritti dai giuristi della commissione, senza indicazioni dagli imperatori o consoli (dai quali si poteva risalire in caso all’anno), che li hanno emanate. E’ un libro continuo, un manuale. Diviso in 4 libri e titoli (I., o Y, numero libro, numero titolo, numero paragrafo).

METODO con cui le opere sono state realizzate.
Il CODEX è stato un lavoro più facile, perché si avevano a disposizione i codici precedenti (hermogeniano, teodosiano, gregoriano), gli archivi erano organizzati, ed è stato un lavoro di selezione e riorganizzazione.

Il DIGESTO è stato più complesso, e come detto sono state identificate, due teorie dei metodi di lavoro, due ipotesi di lavoro:

1) PREDIGESTI o Catene di digesti usati precedentemente nelle scuole
2) Suddivisione in sottocommissioni, dette MASSE

Sono i Codici, che Giustiniano chiamava “i suoi codici”, che costituiscono la base per il lavori di codificazione successiva.

CARATTERI COMUNI
FONTE: Imperatore – dalla potestas avuta dal popolo e Giuristi – su incarico dell’imperatore, con la loro auctoritas

Plebilisciti – Senatuconsulta – Istituzioni, più Pareri dei giuristi, equiparate tutte a legge.
(L’Editto dei pretori - che avevano lo ius edicendi - è stato un’altra fonte del sistema, bloccata poi in età adrianea, nel II sec. d.C.)

Altra fonte (non citata da Gaio) è la CONSUETUDINE, equiparata anche questa alla legge perché sempre espressione della volontà popolare, intesa come una condotta che ha alla fine valore vincolante.

Non c’è quindi una sola fonte, un solo momento di statuizione, ma ci sono anche i giuristi, con la loro auctoritas, che si affianca alla potestas dell’imperatore, e quindi del popolo. Sono CO-AUTORI, e questo ruolo è enfatizzato da Giustiniano, li chiama conditores, fondatori, di questa opera (come ab urbe condita, dalla FONDAZIONE della città, un verbo di significato molto forte). Molti istituti si basano infatti sull’elaborazione del diritto fatta dai giuristi. I giuristi antichi vengono chiamati ANTIQUI IURES CONDITORE, termine che usa anche Giustiniano per i giuristi che lavorarono alle opere, e che furono scelti da Triboniano.

Non facevano una mera opera di SUGGERIMENTO, come invece era nell’Editto perpetuo di Giuliano. I giuristi all’epoca di Giuliano c’erano ma suggerivano, non creavano, non fondavano diritto. Con Giustiniano diventano invece un altro PILASTRO, una FONTE vera e propria.

Quindi i codici hanno DUE FONTI.

SCOPO:
Era senz’altro accelerare la giustizia, i processi, e la formazione dei giuristi.

STRUTTURA:
Erano opere scritte, brevi, ordinate (digesti = sistema), che raccolgono tutto il diritto fin dalle origini, e che ne recuperano la dimensione storica.

Mettono al centro la PERSONA, eliminando il concetto e la categoria di STRANIERO. All’epoca di Gaio era invece significativa, ma abbiamo visto che con l’editto di Caracalla diventavano tutti cittadini romani. Altro obiettivo dei giuristi era la CONSONANTIA, cioè l’eliminazione delle contraddizioni. L’elaborazione del diritto passava sempre attraverso contrasti di opinioni, quando non c’era un’opinione comune, e la controversia c’era quindi sempre stata, fin dall’età classica. La PERITIA e PRUDENTIA dei giuristi venne persa per un po’ perché Teodosio, Gregorio, non gli riconoscevano AUCTORITAS, e non li facevano intervenire sui testi. Non si pensava che potessero fare ragionamenti che dessero certezza, accompagnata dalla verificabilità. L’elaborazione scientifica dei giuristi quindi era sottoposta a verifica, perché non poteva essere certa.

Giustiniano dà quindi incarico di ELIMINARE LE CONTRADDIZIONI, quindi gli conferisce auctoritas, sulla base della loro COMPETENZA, come per i giuristi antichi, più autonomi, del periodo classico. Inserisce i suoi nella galleria degli esperti. Gli fa trovare la soluzione più EQUA, la MIGLIORE, come da definizione di Celso (ius est ars boni et aequi). Non più quindi l’opinione in quantità maggiore, più condivisa, come si regolavano nell’età in cui i giuristi non erano in grado di valutare, e come base della Legge delle Citazioni, ma la soluzione più GIUSTA.

Il risultato era un testo con un SISTEMA COERENTE, che prevede anche modificazioni future.

Giustiniano, alla fine delle codificazioni, inizialmente tende a far risolvere le situazioni nuove dal legislatore, a fargli risolvere le fattispecie non previste, e sancisce il principio di chiedere al legislatore la soluzione. Muterà poi opinione, dicendo che la soluzione va trovata invece INTERPRETANDO i codici, quindi attraverso l’attività dell’interprete, non del legislatore, che troverà la soluzione interpretando i CODICI, non tramite il legislatore con leggi nuove per risolvere fattispecie nuove.

Opera DESTINATA a tutti gli uomini, abbiamo detto. Tutti, considerando anche i popoli fuori dall’impero (es. i parti), altre civiltà, altre organizzazioni. Basandosi sul NUCLEO DI DIRITTO NATURALE che hanno i suoi codici, ne fa un DIRITTO DI TUTTI, un DIRITTO COMUNE, delle GENTI, di tutti gli uomini. Perché basato su principi umani, universalmente condivisi.

Roma fin dall’inizio aveva compreso l’importanza dei rapporti con gli altri, e che questi rapporti dovessero essere regolati dal DIRITTO. Accanto allo ius quiritium, è stata sempre orientata a un diritto che regolasse tutti gli uomini.

Nel 1500, dopo la scoperta dell’America, questa tematica dell’UNIVERSALISMO riprenderà vita, tornerà d’attualità, e riprenderà importanza. E’ infatti il DIRITTO NATURALE che guiderà il dibattito successivo. Gli esseri animati, se riconosciuti UOMINI, hanno automaticamente dei DIRITTI, e già anche Giustiniano tiene conto di questo aspetto. Lui CODIFICA il diritto, consapevole che questo successivamente si SVILUPPA. E il sistema del diritto codificato verrà infatti ripreso per la CODIFICAZIONE MODERNA.

Vedi LA SISTEMATICA (delle istituzioni e del digesto) e leggere IUSTINIANI AUGUSTI DIGESTA SEU PANDECTAE etc.

Ius romanum commune codificato
(Schema delle lezioni punto 3.)

Periodo intermedio. I Codici di Giustiniano vengono inviati in tutto l’impero per farli avere a tutti i magistrati, con una particolare linea di sviluppo ad Oriente. I giuristi ricordiamo parlavano il GRECO, ma i testi erano in LATINO. Il greco era praticato dalle persone colte, impararlo faceva parte dell’iter culturale dell’epoca, anche con viaggi di studio in Grecia. E’ dell’epoca la disputa tra CATONE, esponente legato alla tradizione, e il CIRCOLO DEGLI SCIPIONI, aperto alla ricerca di altri apporti culturali, greci in particolare.

Il circolo degli Scipioni era un gruppo di nobili romani, fra cui Gaio Lelio, Scipione Emiliano, Furio Filo, che verso la metà del II secolo a.C. si resero promotori a Roma, ma non solo, di attività ed interessi letterari, filosofici e culturali in generale. Protettori di Lucilio e Terenzio, ebbero stretti contatti con grandi personaggi della cultura greca del tempo, fra cui Panezio e Polibio, ed esercitarono una notevole influenza sullo sviluppo della letteratura e della cultura latina.Il termine Circolo degli Scipioni, accettato dagli storici moderni, venne già adottato da Cicerone.Dopo la morte di Scipione l'Africano, nel 183 a.C., si concluse la prima fase del Circolo.

Lo stesso testo di Pomponio si chiama con una parola greca ENCHIRIDION.

Anche il SINALLAGMA, è un termine greco, elaborato da Labeone, che indica un contratto con obbligazioni vicendevoli, funzionalmente bilaterali.

C’erano quindi influenza greche, sia nel linguaggio che nell’elaborazione giuridica e esisteva un bilinguismo: il greco familiare, colto e il latino che dominava nel diritto.

Si introduce in questo contesto la PARAFRASI di Teofilo, la ripresa di un testo non di mera traduzione ma di ampliamento, di spiegazione con altre parole, che quindi crea un testo in greco per i suoi studenti.

Teofilo detto Antecessor fu un giurista bizantino, probabilmente del VI secolo, molto conosciuto come autore delle Parafrasi delle Istituzioni. Secondo la tradizione Giustiniano avrebbe affidato a Triboniano, Teofilo e Doroteo l'incarico di compilare un nuovo testo delle Institutiones, sorta di manuale per chi volesse cimentarsi negli studi giuridici. Teofilo avrebbe curato anche la traduzione in greco di detta opera, ricalcata sulle Istituzioni di Gaio ed arricchito la sua opera di commenti. A sua volta tale testo era stato ritradotto in latino, probabilmente dallo stesso autore ed ampiamente conosciuto anche in occidente in corrispondenza del risveglio degli studi del diritto romano. Anche quando si diffuse la stampa, le opere di Teofilo Antecessor ebbero una larga diffusione, a volte insieme al testo giustinianeo, a volte in sostituzione di esso, pubblicato insieme con le Paratitla

La prima letteratura sui Codici di Giustiniano, fatta a scopo didattico, è di traduzione/parafrasi. Gli indici sono una guida ad individuare i testi. Si crea una quantità notevole di materiale in greco, di spiegazione, di commento, della letteratura in lingua greca.

Le due lingue tra l’altro hanno delle differenze concettuali, es. per il latino si parte da CIVIS, cittadino e si arriva a CIVITAS, organizzazione politica, per il greco si parte da POLIS, organizzazione politica per arrivare a POLITES, cittadini.

Questo filone in lingua greca arriverà fino ai BASILICI, e oltre. I BASILICI, raccolti in 60 libri raccolgono questo insieme di traduzioni, lo riordinano, lo unificano. Hanno lo stesso contenuto dei codici giustinianei, ma in greco, consolidano e orientano al futuro il diritto, verso la parte orientale dell’impero.

I Basilici erano il codice delle leggi bizantine dal 880.
Basilio I di Bisanzio, nel campo legislativo, volle riformare il diritto romano; riprese gli studi del suo predecessore Giustiniano I di Bisanzio (da qui il suo soprannome di "secondo Giustiniano"), e rinnovò il codice di quest'ultimo aggiungendo anche altre leggi, e compendiò il tutto in 40 volumi, chiamati I Basilici, in suo onore.Purtroppo Basilio I di Bisanzio non riuscì a terminare la sua opera perché morì in un incidente di caccia: sarà suo figlio Leone VI di Bisanzio, detto Leone il Saggio, o anche Leone il Filosofo (nonostante all'epoca fosse molto criticato a causa dei suoi quattro matrimoni), a raccogliere l'eredità paterna.Usando tutto il materiale a disposizione, riprese la stesura dal 41° libro e riuscì a terminare e pubblicare nell'883 l'opera del padre in sei tomi e sessanta libri, sostituendo al testo greco quello in latino per agevolarne la diffusione in tutta l'europa.

Nel 1453 cadrà poi Costantinopoli, che ha infatti avuto vita come capitale dell’impero fino al XV secolo. Si diffondono altre traduzioni in lingue SLAVE, praticamente un versante orientale del sistema giustinianeo, partendo dal greco e con uno sviluppo successivo. Mosca diventerà la terza Roma, per tutti i cristiani ortodossi e lo ZAR, l’imperatore, si chiama così da CAESAR. Il filone di lingua greca giungerà fino al 1800, e il diritto dei Basilici sarà utilizzato ancora fino al 1900 quando nascerà il Codice Civile Greco.
(Nel filone di Bologna, che prevarrà nelle università, e nei codici moderni, il greco viene invece sopito, viene considerato meno. Idem per il filone delle lingue slave).

Da notare che in Moldavia all’inizio dell’800 nasce un codice, redatto attingendo al modello austriaco del 1811, che era nato dal filone di Bologna e quindi dai Digesti, con un contenuto in latino, ma in questa occasione viene anche fatto un raffronto, una verifica delle coincidenze con i testi dei Basilici.

Anche in Russia si sovrappone il filone bolognese, e si fondano le Università di Mosca e di San Pietroburgo (1700 e 1800), precedute dall’Accademia delle Scienze, ove si incontra il filone slavo, di cultura slava, e il filone latino di Bologna.

Il filone greco e il filone latino, di Bologna, si incontrano quindi nella storia, fino a quando la cultura giuridica comincia a diffondersi nelle diverse lingue nazionali.

Nel periodo di Caterina di Russia c’è tutta una parte di Europa occidentale, promossa dall’accademia, che si apre al dialogo. Questo incontro mira a salvaguardare la tradizione, e cerca però dei rapporti, dei confronti. In Russia quindi si incontrano, dialogano e si diffonde la cultura giuridica sulla base di Bologna, non in latino, ma ormai nelle lingue nazionali dell’800, francese, tedesco etc, e si incontra in un ambito non dimentichiamo di sistemi socialisti, considerati un sottosistema del diritto romano.

Nonostante la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, non muta radicalmente la linea del 1700, un dialogo slavo/latino, che persegue il sovrapporsi del diritto comune codificato di tradizione bolognese, quindi i codici che nascono sono riconducibili a quella tradizione. Il filone greco verrà invece sommerso.
(Lezione Schipani 05/12/2007)

Facciamo un passo indietro, riprendiamo un momento l’argomento dell’ordine sistematico delle varie opere.

C’è un ordine, che viene costruito, seguito nelle leggi più estese, come le XII Tavole . (da ricordare che le XII Tavole non ci sono pervenute interamente, abbiamo trovato solo frammenti, e la ricostruzione è congetturale, prevalentemente, perché è stata fatta in base a indizi, sono state praticamente ricomposte dagli storici), e come l’Editto perpetuo
L'editto pretorio era un programma, un preventivo dell'attività del pretore. Il pretore infatti poteva sia applicare il diritto vigente che introdurre nuovi mezzi processuali, talvolta anche in antitesi al diritto civile. Si finisce così con l'avere un diritto desunto dal processo. Però questo non deve fraintendersi. Infatti il diritto vigente era pur sempre lo ius civile, nel quale però intervenivano integrandolo vari pretori. Il pretore aveva la facoltà dello "ius dicere inter cives romanos", lui infatti decideva sulle controversie dei privati tra cittadini romani e non (Pretore peregrino). Il processo privato si svolgeva dapprima davanti al pretore che già decideva la norma da applicare e poi appena "iudex unus" cioè davanti a un privato che applicava la norma. I rimedi pretori potevano essere: utili, in factum, fictitiae, con trasposizione dei soggetti ecc.
Si venne consolidando una serie di norme ripetute da ogni pretore che prese nome di edictuum perpetuum

L’editto perpetuo di Salvio Giuliano, cioè la codificazione dell’editto, eseguita su incarico di Adriano, fu preceduta dall’opera di OFILIO che per primo compose l’editto. Ci si chiede se gli avrà dato un ordine, se avrà applicato il metodo di Quinto Mucio. Probabilmente estese questo lavoro alla stesura, in quanto Ofilio suggerisce al pretore di organizzare l’editto in un certo modo, come ci dice la nostra fonte Pomponio, nel suo famoso frammento. Ofilio, tra l’altro, era amicissimo di Cesare, quindi potrebbe essere stato influenzato dal progetto di Cesare. Mentre Quinto Mucio fu per primo a operare generatim, lui fu il primo a elaborare l’editto.

Nell’editto troviamo le RUBRICHE, che riuniscono sotto di sé le formule relative ad un certo argomento. A seconda del genere di problema, si crea una rubrica sotto la quale riunire tutta una serie di formule. (es. sui patti convenuti). Sono stati quindi creati dei generi, ma senza una sistematica d’insieme.

Prima delle XII tavole vengono come detto ricondotte IN UNUM le leggi regie, da un giurista, Papiniano, che compie quindi un primo livello di lavoro di elaborazione di queste leggi sine ordine late, cioè approvate senza ordine. Vengono ricondotte a unità, seguendo un ordine diciamo logico.

Poi giunge Quinto Mucio con il suo lavoro GENERATIM, per genere e specie.
Poi le Istituzioni di Gaio e poi quelle di Giustiniano.
Come dice giustamente Cicerone, e poi come riprese Gaio, servono POCHI GENERI. Gaio infatti identifica solo TRE grandi categorie. Forse ispirandosi ai tre libri di Sabiniano, che però non ci sono pervenuti.

Gaio inizia con la definizione del diritto, e su come viene prodotto (leggi, plebiscita, senatoconsulta, editti, pareri, costituzioni del principe). E poi identifica i tre generi: PERSONE COSE AZIONI. E Giustiniano, che lo chiama “il nostro Gaio”, ne ricalca il modello, anche se c’erano altri giuristi autorevoli, e altre opere (come le res cottidianae), lui si ispira invece alle Istituzioni di Gaio e al loro ordine sistematico. Tende alla GIUSTIZIA, classifica DIRITTO pubblico, privato, civile, naturale e delle genti.
(esempio di diritto naturale = occupazione : esempio di diritto civile = proprietà)

Si parte quindi dalle PERSONE, nel LIBRO PRIMO, anche perché è sulla persona che si fonda il diritto. Poi le COSE, che si possono toccare o meno, pubbliche e private. L’ordine di Gaio prima e di Giustiniano poi, si ritrova anche nel nostro CODICE CIVILE:
Ø Disposizioni preliminari (preleggi)
Ø Famiglia – persone
Ø Successione
Ø Diritti reali – cose – obbligazioni
Ø Tutela dei diritti – azioni

Il nostro codice è molto dilatato, sviluppato, ma la struttura è la stessa.

Le istituzioni di Gaio, nate con finalità DIDATTICHE, con Giustiniano diventano anche Codice, per aiutare la giustizia. Sono essenzialmente di DIRITTO PRIVATO, e contengono le azioni in quanto tali, non le norme processuali.

Il Digesto invece, ha categorie piuttosto numerose, Nella prima parte riprende lo schema delle istituzioni, anche se inserisce le CARICHE, cioè il diritto pubblico, prima delle azioni. (Vedi SCHEDA “LA SISTEMATICA”)

Poi la seconda, terza e quarta parte troviamo il diritto processuale. Nelle istituzioni è più un elenco di pretese, di strumenti processuali. Nel Digesto invece ci sono le regole di utilizzo di questi strumenti. Non esiste ancora la categoria PROCESSO, ma ci sono le regole relative ai giudizi (esempio i giorni in cui si può agire in giudizio e quali giorni no). Contiene anche le norme che regolano gli ACCORDI, cioè quando le parti decidono di NON AGIRE.

La seconda parte è in particolare sui GIUDIZI, sulle azioni per far valere i propri diritti sulle cose (es. l’EREDITA’). Contiene anche i DANNI ALLE COSE, ed è un blocco omogeneo.

I Digesti seguono l’ordine dell’editto e il suo livello di sistematica, anche se più completa. L’opera più sistematica è quella sorta per finalità didattica, quindi le Istituzioni.


FORMULAZIONE DELLE NORME – tecnica di formulazione delle regole

XII TAVOLE – stile sintetico, imperativo

LEX AQUILIA – stile sintetico ma non imperativo. Costruisce la proposizione SE….(fattispecie) ….. ALLORA …..(conseguenze). E’ molto specifica la norma (cita “servo e serva”) perché all’epoca era d’uso l’interpretazione letterale, quindi non si lasciavano dubbi.

LEX IRNITANA – stile esteso, e autosufficiente. Enunciato analitico, prolisso, dettagliato, completo, che dice tutto. Non serve cercare altri articoli come invece avviene oggi.

EDITTO DEL PRETORE – Stile sintetico SE….(fattispecie) ….. ALLORA …..(conseguenza, effetto giuridico). Elenco ordinato di formule di azioni, di eccezioni, di strumenti processuali che il pretore mette a disposizione dei cittadini. Giudizio condizionato, cioè a quali condizioni si arriva a quel giudizio. Elementi essenziali a cui far ricondurre la vita, sempre molto varie.

CODICI DI GIUSTINIANO – Comprendeva due tipologie, le Costituzioni del Principe, con uno stile dell’enunciato analitico, e le Discussioni dei Giuristi con uno stile quindi di dialogo, di discussione. Aveva una struttura di REGOLA, e una struttura di ESEMPIO, di caso discusso. Comprendeva quindi la discussione scientifica, e indicava la soluzione al problema.



(Lezione Schipani 12/12/2007)

In Occidente il fenomeno della Codificazione ha delle tappe importanti, una di queste fu l’incoronazione di Carlo Magno, nel Natale dell’ 800. Servì a ricostruire un diritto comune, si riconsolida l’idea di un impero e riemerge il diritto romano antico in quanto diritto dell’impero. UNICO, un unico impero con due PARTI, Occidentale e Orientale, ma un unico impero, come risulta dalle fonti. Con Carlo Magno invece, in realtà si sdoppia, perché si trova Costantinopoli da una parte e un impero d’Occidente dall’altra. L’universalismo è quindi tendenziale, è un obiettivo che deve fare i conti con delle strutture di governo divise. La concreta realizzazione storica è quindi diversa. Oriente ha Mosca, la terza Roma che porta alla caduta di Costantinopoli, e quindi fino alla sua caduta abbiamo praticamente due imperi.

Dall’anno mille abbiamo una grande ripresa degli studi (con centri importanti come Pavia) appaiono glosse e commenti, traduzioni. Ma la svolta decisiva è con la fondazione della Università di Bologna.


3.2. schema lezioni
Prima dell’Università di Bologna è il Codice Teodosiano a fare da padrone, è lui che circola, che viene studiato. Si era molto radicato, finchè i codici di Giustiniano si muovono e si diffondono, e la loro diffusione è legata al ruolo della scienza giuridica di Bologna. I Codici di Giustiniano, con l’avvento delle invasioni barbariche e del loro diritto consuetudinario, non erano più in circolazione in Italia, vennero ritrovati in un convento intorno all’anno 1000.

IRNERIO, giurista di cui si sa in realtà molto poco, vive intorno al 1050 – 1100, ed è considerato il fondatore della scuola, che muove da arti letterali e filosofiche. Riscoperto in un convento il testo di Giustiniano, Irnerio ne riscopre il valore, il suo contenuto di diritto, e comincia ad insegnarlo.

Irnerio o Irnerius o Wernerius (Bologna, 1050 circa - m. dopo il 1125) fu un importantissimo giurista e glossatore medievale italiano che portò in auge negli studi delle arti liberali nell'Università di Bologna in cui era magister, i testi legislativi giustinianei appena riscoperti e su cui si stava propagando un diffuso interesse. Per questa attività gli viene spesso attribuito il soprannome di lucerna juris ("lume del diritto"). Poco si sa della vita di Irnerio. Dovette far parte innanzitutto della corte di Matilde di Canossa, amica del futuro Papa Gregorio VII che morì nel 1115.
Dopo la morte di Papa Pasquale II, difese i diritti dell'imperatore Enrico V nelle elezioni papali e dichiarò legittima l'elezione dell'antipapa Gregorio VIII facendo ricorso nella sua arringa alla Lex regia de imperio. Questo gli costò la scomunica; nel 1116 faceva molto probabilmente parte della corte imperiale, mentre si crede che morì sotto il regno di Lotario II prima del 1140.
Irnerio fu presto dimenticato e fu riscoperto soltanto nel XIX secolo grazie allo studio degli storici tedeschi. Il suo nome preciso rimane molto incerto, dato che in molti manoscritti viene riportato come Hirnerius, Hyrnerius, Iernerius, Gernerius, Guarnerius, Warnerius, Wernerius ed infine Yrnerius.
I suoi successori furono i suoi allievi, denominati i "quattro dottori": Bulgaro, Martino Gosia, Iacopo e Ugo. Essi fecero in modo che la scuola di Bologna non si riducesse ad un episodio temporaneo legato alla vita di Irnerio.
L’opera
L'attività appassionata di Irnerio fu un punto focale e di svolta per la cultura e la civiltà europea. Le sue numerose glosse interlineari del codice giustinianeo (raccolte poi nella sua Summa Codicis) segnarono l'inizio di un diritto europeo scritto, sistematico, comprensibile e rationale, basato per intero sul diritto romano.
La didattica del giurista bolognese si basava sulla lettura di una parte del codice agli studenti, i quali l'avrebbero copiata per poi corredarla di suoi commenti e sue spiegazioni in merito contenute in glosse. Fu, pertanto, il primo dei glossatori, la categoria di giuristi che in quel periodo si sarebbe affermata e che avrebbe contribuito moltissimo all'evoluzione del diritto: il testo della Litera Bononiensis (una versione praticamente parallela della celebre Litera florentina) su cui si applicavano gli studenti di Irnerio si disseminò per l'Europa in pochissimo tempo grazie ai discepoli bolognesi che tornavano a casa dopo la preparazione euristica.
Secondo antica opinione, ad oggi ancora molto dibattuta, Irnerio sarebbe stato anche l'autore dell'Epitome sulle Novellae di Clodio (la celebre Epitome Authentica), mentre quasi certamente lo fu del Formularium tabellionum (un direttorio per notai) e le Quaestiones (una raccolta di sentenze), che tuttavia non sono più esistenti.
Fu Irnerio ad utilizzare per la prima volta in un testo scritto il terzetto Titius Gaius et Sempronius

La GLOSSA ha due livelli di lavoro:

1) come procedono concretamente i glossatori,qual’è il loro metodo ?

IL METODO DELLA GLOSSA è brevi commenti, annotazioni a margine del testo del Digesto, del Codice, e delle Istituzioni


2) cosa viene reintrodotto con la loro rilettura ?

Le Glosse sono di diverso tipo:
a) segnalazione di errori del testo
b) riassunto, sintesi del testo
c) sintesi che fa emergere il caso concreto
d) collegamento con un altro passo, o con altri passi

Le Glosse facilitano quindi la lettura, per quanto riguarda i primi due punti, mentre l’ultimo punto, il COLLEGAMENTO, (es. compravendita – contratto – negozio) intesse un tessuto che offre una facilità di lettura più completa, più coerente, concilia i testi, ritrova la CONSONANZA di Giustiniano. Trova, evidenzia e a volte crea, collegamenti anche NUOVI, delle soluzioni coerenti che sviluppano collegamenti. Aggiunge qualcosa di NUOVO, fa passi avanti, ADEGUA quindi il diritto.

Le Glosse sono letture che dimostrano il dominio del diritto romano, ne offrono chiave di interpretazione e letture innovative.

I Glossatori insegnano, e fondano su questo lavoro lo sviluppo delle loro lezioni. Il metodo di lavoro quindi SI DIFFONDE, e diventa un fenomeno europeo, partendo da Bologna, dove arrivano studenti da tutta Europa (penisola iberica, Polonia etc.) e quando tornano nei loro paesi diffondono il messaggio, nascono poi ovunque università dove si insegnano e si consegnano all’Europa i codici di Giustiniano. Anche perché era il diritto dell’impero e valeva ovunque come DIRITTO COMUNE.
Si diffonde perché i giuristi che lo insegnavano avevano una competenza superiore, riconosciuta, quindi erano considerati più validi. Il giurista era una figura centrale e la sua competenza faceva confluire tantissimi studenti da ogni parte. Venivano a conoscere il diritto, per diventarne competenti. Ecco che penetra così in Europa.

La MAGNA GLOSSA di Accursio sarà l’opera di fissazione conclusiva del lavoro dei Glossatori

Tra il XI ed il XII secolo, grazie ad Irnerio, si elevò a Bologna uno studio approfondito del Diritto giustinianeo. Si faceva, per il tramite delle glosse, una vera e propria analisi del testo. Quella che viene detta la Scuola di Bologna diede vita ad uno studio ad altissimo livello dei testi giuridici producendo un'enorme mole di testi, talvolta contraddittori. Nel XIII secolo Accursio, allievo di Azzone Soldanus, fece un'opera di organizzazione e razionalizzazione di questi testi nell'opera detta Magna glossa o Glossa ordinaria. Si dice che i glossatori siano stati i migliori studiosi del Corpus iuris giustinianeo perché si relazionavano ad esso senza coscienza storica, cioè in piena obiettività e come se il tempo non fosse passato. I glossatori bolognesi godevano di grande prestigio sociale: ne è una testimonianza la presenza, in una città senza statue, di quelle che vengono chiamate le tombe dei glossatori, in piazza Malpighi, sul retro della chiesa bolognese di San Francesco. Uno dei sepolcri appartiene ad Accursio ed al figlio Francesco, gli altri al giurista Odofredo e a Rolandino de' Romanzi. Anche in piazza San Domenico è presente una tomba dedicata al giurista Rolandino de' Passeggeri
Accursio conosciuto anche come Accorso da Bagnolo e in latino Franciscus Accursius (Impruneta, 1184Bologna, 1263) è stato un giurista e glossatore italiano, rappresentante della scuola di Bologna, allievo di Azzone.
Fu autore di una raccolta di circa 97.000 glosse, all'intero testo del Corpus iuris civilis, chiamata la Glossa ordinaria o magistralis o Magna glossa, fondamento del diritto comune europeo. Il lavoro eccezionale compiuto su tutto il corpo del testo costituì la sintesi ideale della scuola dei glossatori. Il lavoro di Accursio può essere considerato come una risposta concreta alla crisi che attraversava il movimento in quel periodo: all'incapacità di offrire contributi originali si affiancarono difficoltà di carattere tecnico. Molto spesso, infatti, i testi delle glosse finivano per fondersi all testo originale; in altri casi invece diversi strati di glosse marginali, opera di diversi maestri, finivano per sovrapporsi, rendendo incomprensibile la lettura. Come ci ricorda Azzone, nel proemio alla sua Summa Codicis, in molti casi la giustapposizione di appunti era dovuta alla maggior praticità del metodo, rispetto ad una totale riproduzione dei testi originari. La Magna glossa è sintesi efficace di tutto il lavoro compiuto nelle scuole italiane dell'XI e XII sec.; tacciata di scarsa originalità, va invece considerata massimamente per la capacità dell'autore di vagliare criticamente un'opera sconfinata, per poi orientarne l'utilizzo e coordinarlo in un unico testo. Le caratteristiche della Magna Glossa ne decretarono il successo sia negli Studi, che tra i pratici. La sua apparizione è collegata al fenomeno della "Serrata delle Glosse"; gli ultimi spunti vitali del movimento confluirono nella successiva generazione di Commentatori. L'invenzione della stampa ne accelerò la diffusione.
In Germania, nel XV secolo, con la creazione del Reichskammergericht (Tribunale camerale del Reich, 1495), la glossa ebbe riconoscimento ufficiale, divenendo l'unico strumento di interpretazione del corpus.
I Glossatori utilizzavano anche altri strumenti per intervenire sui testi classici:
le distinctiones costituivano una scomposizione analitica del punto di diritto, esaminate in una serie articolata di sottoproposizioni speciali ed autonome, ciascuna delle quali riflette un distinto aspetto sotto cui quel punto può essere considerato. Non raramente il procedimento di distinctio (di cui si intuisce l'enorme produttività creativa) assumeva graficamente la forma di tabella;
le regulae iuris (o generalia, o brocarda), che racchiudono regole, principi e dogmi giuridici fondamentali in sintetiche ed incisive frasi;
i casus, cioè rappresentazioni di fattispecie pratiche a titolo esemplificativo, cui la norma può essere applicata. In seguito, i casus vennero utilizzati come vera e propria palestra per la costruzione di complesse configurazioni teorico-interpretative;
le dissensiones dominorum, con cui si specificavano le diverse ed opposte soluzioni proposte dai vari maestri in merito ai più noti e discussi problemi;
le quaestiones, caratteristica forma letteraria del procedimento scolastico, attraverso la quale il legum doctor poneva il problema giuridico, enumerava i testi e le ragioni che militano a favore e contro una certa soluzione, ed esponeva infine la propria conclusiva interpretazione (solutio);
le summae, che rappresentavano l'espressione più tipica del lavoro sintetico e sistematico dei giuristi bolognesi, vale a dire la loro capacità di dominare il testo dall'alto. Si tratta d'opere in cui è condensata in modo pregnante l'intera sostanza di un titolo, di un libro o di un argomento. Nella loro forma più robusta, le summae dei glossatori racchiudono addirittura una parte della compilazione giustinianea, di preferenza il Codice. In particolare, in quest'operazione il Codex rappresentava un'intelaiatura precostituita nella quale veniva racchiusa una vera e propria trattazione generale, che derivava dalla messa a frutto dell'intero Corpus Iuris.

Questo lavoro viene quindi raccolto da ACCURSIO, nella MAGNA GLOSSA, ove si fissa e si raccoglie oltre un secolo di lavoro. L’opera di Accursio è il punto di arrivo del metodo, riepilogo e bilancio, unificazione del materiale più significativo. Ciò che non rientrò nella sua opera decadde, venne considerato non meritevole di memoria.

Accursio quindi raccoglie, seleziona, organizza, fissa, crea quasi un codice, un’opera con un effetto non inferiore a un codice. I giuristi successivi infatti, si atterranno a questo. Si ripropone in tutta Europa un metodo, oltre un commento del testo e un contenuto, oltre a un modo di elaborare il diritto. RICOLLEGARE LA FATTISPECIE A UNA NORMA. Si riprende questo metodo, antico, dei giuristi romani, come nell’editto perpetuo. Si identificano le serie di fattispecie astratte applicate alle circostanze concrete. Questo antico modo di procedere caratterizza la rinascita del diritto romano. Riprendono vita insieme le FONTI, LA SCIENZA GIURIDICA E LA CONSUETUDINE.

Le forme di formulazione, in astratto, e alcuni dei casi concreti a cui si giunge dopo elaborazioni astratte, anche sotto forma di ESEMPI.

Le Glosse erano quindi dei commenti a margine del testo, che era al centro, e creavano collegamenti “ipertestuali” con altre parti, facendo così un creativo adeguamento alle nuove esigenze. Si reintroduce il metodo romano antico come momento PREVIO rispetto all’applicazione vera e propria. La scienza giuridica tramite le università diffonde questo metodo, fissato nella Glossa di Accursio, che è quindi punto di arrivo, ed esaurisce la spinta.

LA SCUOLA DEL COMMENTO

Per superare il livello di elaborazione dei glossatori, si rinnova metodicamente lo studio del diritto: e arrivano i COMMENTATORI. Scuola che nasce prima in Francia, ad Orleans, con Jacques de Revigny, che ricerca nei testi giustinianei qualcosa di più, il principio, la regola base da applicare nei sillogismi.

I Commentatori si staccano dal testo, lo riscrivono, e nascono infatti MONOGRAFIE, TRATTATI, su singoli istituti o su pluralità di istituti. Nel riscrivere il testo lo ampliano, con volontà di fedeltà, ma la riscrittura porta comunque ad ampliare a sviluppare il contenuto. Si crea spazio maggiore per rielaborare, e per creare altri ragionamenti. Sono fedeli ai testi, ma sono comunque creatori, innovatori, che adeguano, attualizzano. Il nuovo metodo ricostruisce in modo più LIBERO i concetti, inglobando i precedenti sviluppi.

Il metodo dei Commentatori è chiamato MOS ITALICUS (uso italico), il modo di studiare e sviluppare del diritto romano, e dura molti secoli.

BARTOLO e BALDO furono i giuristi più famosi dell’era dei Commentatori. La loro autorità permane per molti secoli.

Il metodo dei Commentatori non ha un momento conclusivo, come la Glossa, non ha un bilancio questo metodo, che si stacca dal testo e espone in modo autonomo.

Vedi scuola del commento su manuale storia diritto romano.


Sviluppo del Diritto Canonico (schema delle lezioni 3.2.3)

Il Corpus Iuris Canonici

Il Corpus Iuris Canonici è un corpo normativo sul diritto canonico della Chiesa Cattolica, pubblicato ufficialmente nel 1582 e comprendente il Decretum Gratiani e le successive cinque raccolte : il "Liber Extra" (o decretales) emanato da Gregorio IX nel 1234, il "Liber Sextus" emanato da Bonifacio VIII nel 1298 e le "Clementinae" promulgate da Clemente V.
In seguito, se ne considerarono parte anche le "Extravagantes Johannis XXII", raccolta di decretali redatta verso il 1317 e le "Extravagantes communes", raccolta privata realizzata da Giovanni di Chappuis.
Del corpus, si sono avute diverse edizioni nel tempo, dovute ad aggiunte di nuovi testi da parte di canonisti come il Lancelotti: la prima, fu pubblicata a Parigi da Giovanni di Chappuis nel 1500, l'ultima, riveduta e corretta da una commissione di canonisti cosiddetti "correctores", fu solennemente promulgata da papa Gregorio XIII con la bolla "Cum pro munere" del 1580 ed ufficilamente pubblicata nell'editio romana due anni più tardi.
Il diritto canonico è costituito dall’insieme delle norme giuridiche formulate dalla Chiesa cattolica, che regolano l’attività dei fedeli nel mondo nonché le relazioni interecclesiastiche e quelle con la società esterna. Non va confuso con il diritto ecclesiastico, che è il diritto con cui gli stati temporali (o secolari) regolano i loro rapporti con le varie confessioni religiose.
In sostanza è costituito da quell’insieme di norme che:
creano i rapporti giuridici canonici, i quali riguardano la situazione giuridica dei fedeli all’interno del corpo sociale della Chiesa;
regolano tali rapporti;
organizzano la gerarchia degli organi componenti la Chiesa e ne regolano l’attività;
valutano e regolano i comportamenti dei fedeli.

La parola canonico deriva dal corrispettivo greco κανών, che significa semplicemente "regola", ed è stato usata in maniera inequivocabile nel Concilio di Nicea (325 d.C.) quando furono trattati i canones disciplinares, ma il suo uso ha cominciato a ricevere preferenze nette solo dall'VIII secolo. Tuttavia nel corso della storia della Chiesa si è parlato spesso anche di ius sacrum, ius decretalium, ius pontificium e ius ecclesiasticum. Dal Concilio Vaticano II il termine diritto canonico è stato spesso sostituito da quello di "diritto ecclesiale", che meglio risponde alle ragioni fondative della Chiesa.
Un'altra distinzione nasce dal fatto che la Chiesa si definisce un’unica realtà composta da un elemento divino e da un elemento umano, regolata correlativamente sia dal diritto divino sia dal diritto (meramente) ecclesiastico, ovvero dalle norme stabilite esclusivamente dalla competente autorità ecclesiastica. Si osservi che in questo caso con diritto ecclesiastico la Chiesa intende qualcosa di totalmente diverso da quanto indicato con lo stesso nome dagli stati laici, come spiegato in precedenza. Il diritto divino si divide in naturale e positivo: del primo fanno parte tutti i diritti umani intrinsechi alla natura umana stessa; del secondo tutte le regole manifestate nella Rivelazione divina, ricavabili dai testi sacri e dalla Tradizione apostolica.
Questo periodo comprende il primo Millennio di vita della Chiesa Cattolica, dalle origini delle prime comunità fino all'avvento della figura pivotale di Graziano.
Nella prima parte di questo periodo, quindi dalle origini della Chiesa fino all'Editto di Costantino (313) il diritto canonico era basato esclusivamente su quello divino, quindi sulle Sacre Scritture e sul diritto naturale. Poco diritto veniva disciplinato e molto veniva ereditato dal diritto ebraico.
Successivamente, oltre agli Atti degli apostoli che mostrano un primo assetto della comunità cristiana, si inseriscono altri scritti dal II secolo fino al VII secolo, come Barnaba, Clemente romano, Ignazio, Policarpo, Erma sino ai Padri della Chiesa (Sant'Ambrogio, Sant'Agostino, San Girolamo eccetera). È con l'evoluzione di questi secoli che tra le fonti del diritto sorge la Tradizione, ovvero gli insegnamenti degli apostoli e dei loro successori, ma anche un approfondimento filosofico e non della fede e dei vari principi morali.
Col formarsi di Chiese particolari e forme continuamente diverse di riti e liturgie a secondo dei luoghi, specialmente in Medio Oriente, sorsero le divisioni territoriali, le figure dei Vescovi che cominciarono ad intraprendere una prima forma di legislazione religiosa locale, e soprattutto si cominciarono ad importare vari istituti di diritto romano.
Dal IV secolo importanti sono i Concili ecumenici, che fissano i vari dogmi della fede cristiana e le varie regole giuridiche (i "canoni" appunto), raccolte in decisioni conciliari.
Periodo classico: XII-XVI secolo [modifica]
Il cosiddetto periodo classico del diritto canonico inizia nel XII secolo, più precisamente dal 1140 circa, periodo in cui Graziano compie la prima effettiva opera giuridica su testi canonici, il famoso Decretum: il monaco camaldolese colleziona un'enorme raccolta di fonti canoniche ed elabora numerose interpretazioni su quelle contrastanti, che entreranno a far parte del Corpus Iuris Canonici.
Successivamente, in coincidenza col fiorire delle univerisità italiane e della dottrina giuridica, il Decretum riceve molti commenti, glosse ed è oggetto di numerosi studi, mentre al contempo prende piede un'altra fonte di diritto canonico di origine pontificia, ovvero l'iniziativa in base a causae maior (questioni importanti di natura immediata – Epistole Decretali).
Il fatto storico che chiude questo periodo, e stravolge nettamente l'assetto della Chiesa, è la Riforma Protestante, col conseguente e necessario Concilio di Trento che fissa regole dottrinarie ma anche e soprattutto disciplinari, contribuendo all'aspetto giuridico dell'organizzazione ecclesiastica in maniera rilevantissima.

Questo periodo è caratterizzato da un forte e sempre maggiore accentramento del potere in seno a Roma a discapito delle Chiese particolari e locali: una tendenza, a dire il vero, iniziata già nel XVI secolo, e naturale reazione al fenomeno protestante che toglie tutte le autonomie che non siano strettamente necessarie alle chiese particolari per mantenere salda l'unità della Chiesa.
Sorge anche un sempre maggior conflittuale rapporto con gli Stati temporali, che porta al periodo del cosiddetto giurisdizionalismo dove i canonisti si sforzano di affermare che la Chiesa e lo Stato nei loro ambiti siano due società perfette, e che la prima ha diritto e necessità di tutte le sue libertà, specialmente la non soggezione alla realtà politica.
È dopo la Rivoluzione francese che il distacco si compie definitivamente tra le due realtà e che il diritto canonico si scinde definitivamente da quello secolare: gli Stati non danno più sostegno alla Chiesa (c.d. separatismo), che si trova a dover codificare da sola le proprie regole.

Il Corpus Iuris Canonici, parallelo al Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, fa maturare dei giuristi specializzati in questo diritto. La Chiesa, nell’area latina, si sviluppa e assorbe il diritto, adeguandolo alle sue finalità. Nel I millennio ci sono Concilii, il primo a Gerusalemme, poi quello fondamentale di Nicea etc. che statuiscono le regole valide per i cristiani. Alcune con grande rilevanza anche civile. Nel I millennio si dice ad esempio che un cristiano non può essere schiavo di un altro cristiano. Quindi inizia a diffondersi lo smantellamento della schiavitù, sulla base del principio di fratellanza. Le interferenze tra la vita religiosa e quella civile sono forti. C’è anche una grande importanza della rielaborazione del diritto processuale da parte della Chiesa. La quale professa un processo razionale, con i meccanismi di presunzione, con la libertà di prova, rispetto per esempio al processo ordalico.

L'ordalia (dal germanico antico ordal, che significa "giudizio di Dio")[1] è una pratica giuridica con la quale l'innocenza o la colpevolezza dell'accusato sono determinate sottoponendolo ad una prova dolorosa. La determinazione dell'innocenza deriva dal completamento della prova senza subire danni o dalla rapida guarigione delle lesioni riportate. L'ordalia, come il duello di Dio, era un judicium Dei: una procedura basata sulla premessa che Dio avrebbe aiutato l'innocente.
Comune in tutto il mondo nel passato, questo tipo di processo sopravvisse fino al sedicesimo secolo nell'Europa occidentale e più a lungo altrove.

"L'ordalia del fuoco" di Dieric Bouts il Vecchio
In europa l'ordalia era spesso "del fuoco" o "dell'acqua" -- metallo incandescente nel primo caso e acqua bollente nel secondo. L'uso esatto dell'ordalia variava notevolmente, una pratica scandinava e anglo-sassone era che l'accusato facesse nove passi reggendo in entrambe le mani una barra di ferro incandescente. A seconda dei costumi del periodo, l'innocenza era mostrata da una completa assenza di lesioni, oppure le ferite venivano fasciate ed esaminate per verificarne la guarigione o la suppurazione. Una versione inglese prevedeva che nove lame incandescenti venissero poste sul pavimento. L'accusato veniva bendato e se attraversava il pavimento senza ferite veniva giudicato innocente

Nel medioevo quindi vi è un intreccio, anche produttivo, tra società civile e diritto canonico, entrambi traggono uno dall’altro e si distinguono man mano. Nascono studi specializzati, e la tecnica si sviluppa per entrambi, con finalità distinte.

Per la tradizione romana il fondamento della legge è la volontà del popolo, e rimane come base nella scuola di Bologna, la LEX DE IMPERIO, cioè il potere dell’imperatore conferitogli dal popolo, su delibera popolare, e tra i poteri conferiti vi è quello di fare le leggi. E’ un filo continuo che si mantiene fra le diverse alternative di derivazione del potere (es. l’unzione, il re unto dal sacerdote).

Ad esempio i Merovingi avevano sì i "poteri", erano del sangue santo, ma mai ricevettero, come i loro successori, la benedizione divina attraverso l'unzione. Fu il carolingio Pipino a farsi per primo ungere il capo per diventare re dei Franchi.Sebbene i Merovingi fossero cristiani (Clodoveo fu uno dei primi capi germanici a convertirsi e far convertire il proprio popolo), non avevano bisogno di alcun rito cristiano per farsi accettare dal popolo dei Franchi. Pipino il Breve invece ne aveva tutto l'interesse, per avere l'appoggio di qualcuno più potente di lui, così da salire al trono e chiudere in convento gli ultimi Merovingi. Il suo precedente, il forte e potente Carlo Martello non ebbe lo stesso coraggio di usurpare il titolo di Re.
Pipino quindi fu l'iniziatore di una pratica che in Europa ebbe grandissimo successo: l'unzione del re in carica. Gli imperatori bizantini deridevano questo inutile rito, poiché in tutta la storia romana, l'imperatore non ne aveva mai avuto bisogno.
Il significato di questo sacramento è comunque enorme: esso infatti rompe drammaticamente con la tradizione germanica, dove il re è re solo in quanto appartenente a stirpe di ascendenze divine. Con questo rito il re è eletto da Dio, è l'unto del Signore.
Abbiamo quindi tre gradi di santità:
il re è santo perché appartiene a una famiglia di origine divina;
la persona del re può essere santa, come tutti gli uomini sono chiamati ad essere santi;
l'istituto di re è santo in quanto pastore scelto da Dio e unto dal Papa.
Ma fu molto più tardi che l'arcivescovo Adalberone, a favore di Ugo Capeto, arringò: «la monarchia non si acquista per diritto ereditario. Conosciamo tre tipi di elezioni: quella dell'abate, quella del vescovo, quella dell'imperatore e del re».

Oppure il governante con il dono dalla divinità (es. il Furher).

Attento alla pace con gli Dei, il popolo esercita la sua volontà, AUMENTATA dall’augurium divino, ma non sostituita. Questo criterio è molto presente a Bologna, e l’imperatore che verrà unto dal pontefice, sarà solo dopo che è stato investito dal popolo.

Il diritto canonico dunque si separa, si distingue, si affianca al diritto civile, con una osmosi profonda.

L’UMANESIMO (Schema delle lezioni 3.2.5)
Altra modifica metodologica avviene poi con l’UMANESIMO, con l’introduzione del MOS GALLICUS (uso gallico, francese). Nuovo ordine sistematico della materia, nuovo sistema espositivo ispirato a Cicerone. L’Umanesimo rinnova molti ambiti del sapere, compreso il diritto. Parte da altri punti e rielabora la visione dell’antichità. Per Dante era un tutto crescente, l’antichità, con una visione medievale. Gli umanisti avevano un’altra prospettiva. Il termine CLASSICO, per loro, l’età classica, antica (Virgilio, Livio, Cicerone) significava anche maggiore, nel senso di maggior valore, rispetto al post-classico, ritenuto minore. Considerano il periodo aureo, stringono ancora di più la classicità, da Cicerone al primo secolo d.C.. Il latino per loro è quello di Cicerone, che viene considerato più alto, inteso come elevato, aureo. L’umanesimo quindi fa rientrare Giustiniano nel post-classico, quindi minore. Noi diciamo e definiamo il periodo tardo-antico, senza darne giudizi di valore, invece l’umanesimo si concentra su un periodo, sulla lingua, la letteratura, del periodo CLASSICO, quello intorno ad Augusto. Il primo secolo, le lotte per la repubblica, l’Umanesimo rivaluta le lotte repubblicane e introduce una riflessione più attenta della storia antica. Guarda a quei modelli che assume come migliori, e considera Giustiniano come un CORRETTORE dei giuristi classici.

Gli umanisti considerano le rielaborazioni dopo il III secolo un IMBARBARIMENTO e tendono a mettere in discussione Giustiniano. Apprezzano Cicerone e il suo ius in artem redigere, l’organizzazione sistematica del manuale del diritto, così come le sue altre opere. Sentono l’esigenza di compiere l’opera progettata da Cicerone, per il diritto, seguire l’auspicio ciceroniano, cioè la produzione di un manuale per la formazione del PERFETTO ORATORE, non per la formazione del giurista.

Apprezzano anche il MODELLO DI GAIO, e di conseguenza le Istituzioni di Giustiniano, che lo hanno come base, e ne riprendono la sistematica, mentre nel Digesto e nei Codici la sistematica non è secondo loro a quel livello di semplificazione.

Con l’Umanesimo il sistema si sviluppa molto, e la lettura di Cicerone sollecita quindi una revisione dell’ordine espositivo. Crea quindi una tensione verso una riorganizzazione del materiale giustinianeo, sul modello ciceroniano, e sul modello delle istituzioni di Giustiniano, perché legate appunto a GAIO, molto apprezzato dagli umanisti. Si aspira a ricostruire i testi dei giuristi classici prima dell’intervento giustinianeo e di dare alla materia un criterio sistematico espositivo più simile alle istituzioni, oltre tutto facendo ampio riferimento alla CENTRALITA’ della PERSONA, che tra l’altro era un altro dei punti fondamentali dell’umanesimo. Si tende a TORNARE AL TESTO, con un sistema complessivo e collegamenti nuovi, con una innovazione metodologica, e con nuove interpretazioni. Valuteranno e tenderanno a studiarlo, il diritto, con INTERESSE STORICO, non come un diritto da applicare.


(Lezione Schipani 19/12/2007)

Gli Umanisti hanno quindi una diversa prospettiva nei confronti dell’antichità, non vedono uno sviluppo ascendente fino a Giustiniano, ma partono dalla fondazione fino ad Augusto (I sec. d.C.), il periodo detto classico, lo vedono ascendente. Considerano Giustiniano e il quel periodo quasi irrilevante. Triboniano anzi, secondo loro, aveva addirittura commesso un delitto, andando a toccare quei testi dei giuristi classici, li aveva inquinati.

Tra le opere commissionate da Giustiniano prediligono solo le Istituzioni, perché sono come quelle di Gaio, giurista classico, e apprezzano il metodo di Cicerone. Considerano valido un manuale introduttivo sintetico, e in questo metodo sono simili Cicerone e Gaio, questo messaggio anzi è colto perfettamente nelle istituzioni di Gaio, che si riflettono poi in quelle di Giustiniano.

La RICERCA DI POCHI GENERI, e mettere al CENTRO la PERSONA, questo è anche il messaggio umanistico, porre al centro l’uomo. E la ricerca di pochi generi, e poi delle specie, è un altro obiettivo condiviso con i classici. Il Digesto invece, nonostante l’introduzione, non è poi diviso in pochi generi. Ancora oggi per esempio si discute di come far ricomprendere nella grande categoria NEGOZIO GIURIDICO alcuni istituti. Costruire alcuni pochi generi è sempre stato molto difficile. La costruzione non ha uno scopo didattico, descrittivo, o almeno non soltanto. Implica anche dei contenuti normativi, è dogmatico-prescrittiva. Generi e specie non sono solo definizioni, ma sono base di prescrizioni.

La categoria PERSONE, che viene al primo posto, contiene principi normativi comuni a TUTTI GLI UOMINI, la categoria UOMINI ha quindi un contenuto giuridico, non è identificato l’uomo come elemento della natura. Ha contenuto NORMATIVO.

Sulla base di queste convinzioni gli umanisti fanno quindi un grande lavoro di riorganizzazione sistematica del Digesto e del Codice. E tra tante diverse sistematiche, scelgono quella delle Istituzioni di Giustiniano, ma riversano contenuti più estesi. Ma l’ordine delle istituzioni di Giustiniano è per il diritto PRIVATO, si rivela difficoltoso inglobargli altri aspetti contenuti nel Digesto e nel Codice, come il diritto PUBBLICO, PENALE, AMMINISTRATIVO. Sono rami che non trovano adeguata collocazione sistematica nelle istituzioni. Gli Umanisti confermano quindi l’interesse per la SISTEMATICA in generale. Il loro interesse è infatti verso la cultura generale, prevalentemente l’aspetto storico, che tocca però naturalmente anche il diritto.

IL RAZIONALISMO (Schema delle lezioni 3.2.7)
Oltre il mos italicus, e mos gallicus (metodo rispettivamente italiano e francese) nel 600 si inseriscono nuove metodologie di studio, arriva il cosiddetto RAZIONALISMO, che penetra profondamente nel diritto. Alla ricerca della sua certezza, della sua forza dimostrativa. Si assiste alla rottura, al superamento dell’ecumenismo della Chiesa Cattolica, che incide sulla diffusione del razionalismo. La riforma che porta alla rottura dell’unità tra Chiesa e Impero sarà a livello etico, ma anche giuridico. Si individuano principi validi “ANCHE SE DIO NON ESISTESSE”, e questi principi vengono messi alla base del razionalismo ETICO, che si riflette sullo sviluppo GIURIDICO.


Il razionalismo (dal termine latino ratio, "ragione"), è una corrente filosofica basata sulla tesi che la ragione umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza, ovvero attingere ad essa attraverso l'esperienza razionale dei propri strumenti di indagine e comprensione. Diviene così principio pedagogico atto a riconoscere le modalità quantitative e qualitative dell'incremento delle conoscenze umane nell'individuo e nella società in quanto mediate dal sapere.
Trasse origine dal pensiero di Cartesio e si diffuse nel corso del XVII e XVIII secolo in Europa, mentre in Gran Bretagna si affermava l'empirismo, secondo il quale tutte le idee sorgono in noi attraverso l'esperienza e dunque la conoscenza (con la possibile eccezione della matematica) ha origini essenzialmente empiriche. La distinzione tra le due correnti è tuttavia una ricostruzione successiva, ed inoltre non è così netta, visto che i più importanti filosofi razionalisti concordavano sull'importanza della scienza empirica.
Il razionalismo in particolare considera la ragione umana innata e indipendente dall'esperienza, immutabile ed identica in ogni essere umano, ma tanto da essere così alla portata dell'individuo capace di riconoscere in sé le proprie facoltà.
In genere i filosofi razionalisti sostenevano che, partendo da principi fondamentali, individuabili intuitivamente, come gli assiomi della geometria, si possa arrivare tramite un processo deduttivo a tutto il resto della conoscenza.
I filosofi che espressero con maggior chiarezza questo pensiero furono Spinoza e Leibniz, i cui tentativi di risolvere i problemi epistemologici e metafisici posti da Cartesio, condussero allo sviluppo del razionalismo. Entrambi pensavano che in principio tutta la conoscenza, compresa la conoscenza scientifica, potesse essere raggiunta mediante il solo uso della ragione, sebbene accettassero in pratica questo non fosse concretamente possibile per gli esseri umani, ad eccezione che in campi specifici come la matematica.
Cartesio fu d'altro canto più vicino a Platone, pensando che solamente la conoscenza delle verità eterne, che comprendeva le verità della matematica e le basi epistemologiche e metafisiche delle altre scienze, potesse essere raggiunta dalla sola ragione. Le altre conoscenze richiedevano invece l'esperienza del mondo, aiutata dal metodo scientifico. Sarebbe probabilmente corretto dunque affermare che Cartesio sia stato razionalista riguardo alla metafisica ed empirista riguardo ai campi del sapere scientifico.
Kant partì da concezioni razionalistiche, ma in seguito le opere di Hume lo "risvegliarono" e tentò di arrivare ad una sintesi tra le tradizioni di pensiero del razionalismo e dell'empirismo.

Nel 600 Matematica e Geometria sono le scienze per eccellenza, e si riflettono anche sulla DIALETTICA, sulla ricerca di proposizioni VERE. Un grande matematico del periodo, anche giurista, trovò negli scritti dei giuristi romani dei RIGOROSI ragionamenti. Il 600 pone quindi questo al centro dell’attenzione, e questo metodo di lavoro si ritrova anche nell’800 nella pandettistica tedesca. Savigny lo chiamerà “calcolare con i concetti”, trovare la verificabilità dei ragionamenti, argomentare in modo deduttivo induttivo, anche nell’analisi del diritto, così come nella matematica. Il 600 accentua questa espressione del diritto romano, questo rigore, questa sistematica, apprezzata anche dagli umanisti.

Le istituzioni sono quindi il punto di riferimento migliore per rielaborare i concetti e per sviluppare il diritto.

Nel 600 si diffonde l’USO MODERNO DELLE PANDETTE, frutto di una rilettura delle pandette dei testi di Giustiniano, in una corrente giusnaturalistica. E si sviluppa parallelamente la SCUOLA DEL DIRITTO NATURALE. Il diritto naturale nasce in realtà con gli antichi greci, poi si introduce nei romani (diritto delle genti, diritto comune a tutti gli essere animati, come dice Ulpiano) e prosegue nel medioevo. E’ quindi una linea continua, con naturalmente le sue vicende.

Col termine giusnaturalismo si intendono in generale quelle dottrine filosofico-giuridiche che affermano l'esistenza di un diritto naturale, cioè di un insieme di norme di comportamento dedotte dalla "natura" e conoscibili dall'uomo.
Il giusnaturalismo si contrappone al cosiddetto positivismo giuridico e al diritto positivo, inteso quest'ultimo come corpus legislativo creato da una comunità umana nel corso della sua evoluzione storica. Il pensiero ha origini antichissime, e di sovente viene suddiviso in vari tronconi storici: un giusnaturalismo antico, fondato sul pensiero del filosofo Aristotele e dalla successiva scuola stoica che abbracciò anche l'antica Roma e coinvolse il celeberrimo retore, politico e avvocato romano Marco Tullio Cicerone. Il pensiero su cui si basa il giusnaturalismo antico è riassumibile nel pensiero del grande filosofo greco espresso nella sua Etica nicomachea: "del giusto civile una parte è di origine naturale, un 'altra si fonda sulla legge. Naturale è quel giusto che mantiene ovunque lo stesso effetto e non dipende dal fatto che a uno sembra buono oppure no; fondato sulla legge è quello, invece, di cui non importa nulla se le sue origin sian tali o talaltre, bensì importa com'esso sia, una volta che sia sancito". Aristotele
Successivo a quello antico fu, nel XIII secolo, il giusnaturalismo scolastico, che ha avuto come suo massimo esponente un altro grandissimo filosofo, San Tommaso d'Aquino, dove il diritto naturale diveniva un "insieme di primi principi etici, generalissimi" che condizionano il legislatore nel diritto positivo, in quanto sigillo di Dio nella creazione delle cose. È il diritto dell'uomo a rivendicare la propria libertà che è un diritto naturale.
L'attuale giusnaturalismo invece nacque nei secoli XVII e XVIII. Si parla in questo caso di giusnaturalismo razionalistico moderno, divisibile in due filoni: quello derivato dal pensiero illuministico di fine '700 e quello che si sviluppa a partire dal pensiero di Thomas Hobbes (il quale per la verità considerava il diritto naturale proprio solo allo stato di natura, ovvero alla condizione in cui l'uomo si trova prima di stipulare quel contratto sociale che porta all'istituzione dello stato; pertanto Hobbes non può ritenersi autenticamente un giusnaturalista), trovando la sua compiuta formulazione nel pensiero di Ugo Grozio. Secondo la formulazione di Grozio e dei teorici razionalisti del giusnaturalismo, gli uomini, pur in presenza dello stato e del diritto positivo ovvero civile, restano titolari di alcuni diritti naturali, quali il diritto alla vita, alla proprietà etc., diritti inalienabili che non possono essere modificati dalle leggi. Questi diritti naturali sono tali perché razionalmente giusti, ma non sono istituiti per diritto divino; anzi, Dio li riconosce come diritti proprio in quanto corrispondenti alla ragione. Grozio rappresenta il primo momento di una riflessione laica sulla politica. Secondo Grozio i diritti dell’uomo sono tali per natura e perciò sono inalienabili. Inoltre, poiché la natura umana è la razionalità, l’origine del diritto naturale è la ragione. Il diritto quindi non deriva da Dio, ma dalla ragione, che è comune a tutti gli uomini (perciò il diritto naturale è uguale per tutti e in questo modo vengono meno i motivi di contrasto). Comunque, poiché non tutti utilizzano la ragione allo stesso modo, occorre un controllo (leggi e sanzioni) che garantiscono il rispetto dei diritti di chiunque Un autore molto importante che ha approfondito il diritto naturale del '900 è stato sicuramente Murray Newton Rothbard; a differenza di molti suoi predecessori è però arrivato a conclusioni diverse: criticò fortemente la teoria del contratto sociale di Hobbes e dello stesso Rosseau; l'interpretazione del diritto naturale data dal filosofo e scrittore americano è alla base dell'anarco-capitalismo, teoria che propone la cancellazione di ogni autorità statale.

La rottura tra Chiesa e Impero, oltre a far sviluppare il razionalismo spinge una nuova ricerca e una nuova riflessione sul diritto naturale, si intensifica la necessità di ricercare un tessuto di diritto comune. Esigenza del nuovo e di una convivenza al di là della rottura. I principi comuni a tutti, ricercati con riflessione filosofica sull’uomo e sulla società, danno risposte particolareggiate per essere un completo sistema di diritto.

Il diritto naturale era quindi NUCLEO CENTRALE, anche qualche volta in contrasto con il diritto delle genti (es. l’uomo è libero per natura, ma il diritto prevedeva la schiavitù). Nel 600 il diritto naturale si amplia, viene elaborato e articolato, investe il diritto praticato, il diritto romano comune. Si innesta, e viene riletto, partendo da principi filosofici, viene riletto quindi in modo razionalistico ma anche partendo da principi e riflessioni dei filosofi. Due filoni che si affiancano, diritto romano e diritto naturale, con una diversa ratio di fondo.

La scuola è quindi riferita agli sviluppi del Centro Europa. In Francia si diffonde invece l’Illuminismo giuridico, ma sono due movimenti con gli stessi presupposti, e lo stesso tipo di risultato. La scuola in centro Europa si sviluppa di più che l’illuminismo in Francia. L’opera di quest’epoca è quella di Domat.
(vedi poi lezione del 20/02/2008)

Jean Domat (o Daumat) (Clermont, 30 novembre 1625Parigi, 14 marzo 1696) è stato uno scrittore e giureconsulto francese. Nato nella provincia francese di Alvernia, venne preso in simpatia dai Port-Royalisti, fu amico intimo di Blaise Pascal e, alla morte del celebre filosofo, gli vennero affidati i suoi scritti privati. È conosciuto principalmente per le sue opere legali, in tre volumi, edite con il titolo di Lois civiles dans leur ordre naturel (1689), un'impresa per la quale Luigi XIV di Francia gli concesse una rendita di 2000 livree. Un quarto volume, Le Droit public, venne pubblicato postumo nel 1697, un anno dopo la sua morte. Il suo è uno dei più importanti lavori di diritto che la Francia abbia mai prodotto. Domat si sforzò di trovare tutte le leggi relative ai principi etico-religiosi, e il suo motto fu "L'homme est fait par Dieu et pour Dieu". Oltre a Lois Civiles, Domat scrisse in latino una selezione di molte leggi delle collezioni di Giustiniano I di Bisanzio con il titolo di Legum delectus (Parigi, 1700; Amsterdam, 1703); in seguito questo lavoro venne aggiunto a Lois civiles. I suoi lavori sono stati tradotti in inglese. Domat morì a Parigi il 14 marzo 1696. Nel Journal des savants del 1843 sono contenute molte opere su Domat scritte da Victor Cousin; questi lavori forniscono molte informazioni che, altrimenti, non sarebbero recuperabili in altri posti.
E arriviamo alle soglie della CODIFICAZIONE, dopo l’uso moderno della pandetta e con l’illuminismo.

Finisce così la parte introduttiva , che comprende, riepilongando tutto:
a) FONTI del diritto romano e METODO DI ELABORARE il diritto fino a arrivare alle codificazioni moderne
b) OPERA E CARATTERISTICHE DEI CODICI DI GIUSTINIANO – diverse letture dell’opera – riletture che lo adeguano alle diverse esigenze e a volte rinnegano le precedenti – novità metodologiche su un comune patrimonio di partenza.


LAS SIETE PARTIDAS
LIBRO DELLE SETTE PARTI (schema delle lezioni 3.2.4)

Volute nel 1265 dal re di Castiglia Alfonso X, le Siete Partidas ("Sette Parti") costituiscono il tentavivo da parte del potere monarchico centrale castigliano di superare con una legislazione comune i diritti consuetudinari locali (fueros).
Le Siete Partidas, largamente ispirate al diritto romano, sono un testo enciclopedico relativo al diritto, all'attività di governo, ai suoi presupposti e obiettivi, agli istituti giuridici. Il nome allude alle "sette parti" (tematiche) in cui è divisa l'opera: diritto canonico; prerogative dei regnanti; amministrazione della giustizia; le persone e la famiglia; diritto mercantile; successioni; diritto criminale.
La piena recezione del diritto comune, e quindi della Ley de las siete partidas, avvenne però solo nel 1348 per la promulgazione dell'Ordenamiento de Alcalà da parte di Alfonso XI. Da quell'anno il diritto comune non fu solo un imprescindibile punto di riferimento per il processo romano-canonico, ma venne innalzato al rango di vigente diritto sussidiario rispetto ai fueros locali.

La razionalità intrinseca del diritto romano, scoperta nel XI e XII secolo, gli aveva dato ulteriore forza, i suoi nuclei di diritto naturale e la sua estensione, e applicabilità a realtà in continua evoluzione, lo avevano reso ancora più forte e utilizzabile, oltre alla forza che già aveva essendo diritto dell’impero. La sua diffusione trovò però resistenze, in Francia, dove addirittura ne fu vietato l’insegnamento per timore che offuscasse il diritto canonico, e in particolare fu contrastato in Inghilterra, mentre invece fu largamente recepito e utilizzato nella penisola iberica. (Vedi 3.2.4.1 Evoluzione storica della penisola iberica).

Si assisterà anche ad uno sviluppo delle Università nella penisola, sul modello di BOLOGNA (l’altro modello esistente era quello di Parigi che aveva alla base la filosofia, e il diritto canonico, non il diritto romano come quella di Bologna). Nella penisola iberica molti universitari erano stati a Bologna, erano anzi una delle presenze più significative. Nascono quindi le università iberiche, la più importante anche se non la prima, è SALAMANCA, che è considerata la madre di tutte le università spagnole. Studiano la Lex Romana Visigotorum (che rispecchia il principio della PERSONALITA’ DEL DIRITTO, legato alla PERSONA, non al territorio). Nonostante gli arabi gli iberici quindi applicano il loro proprio diritto. Il diritto romano, a volte con la resistenza da parte dei nobili, gelosi dei propri privilegi, che rivendicavano le loro norme consuetudinarie .

Questo porta però a una frammentazione giuridica, particolarismo giuridico diffuso nel medioevo, che finirà poi con l’accentramento nelle mani dei sovrani.

Le Siete Partidas è un Codice elaborato nel regno di Castiglia nel XIV secolo, in una prospettiva di carattere imperiale e si pensava che potesse valere per tutti gli uomini. Mentre la Glossa, messa accanto al testo, raccoglieva praticamente tutto e si proiettava verso tutti gli uomini, con le sue elaborazioni dei Giuristi si diffuse poi in tutta Europa, ma soprattutto con gli stessi metodi e sugli stessi testi le Siete Partidas è un’opera che invece SOSTITUISCE il testo, con prospettiva universale, e vede collaborare giuristi e legislatori.



Le Siete Partidas sono in LINGUA CASTIGLIANA, GRANDE NOVITA’ nel panorama europeo, questo uso della lingua volgare, mentre tutti gli studi erano ancora in lingua latina. Venne fatto per diminuire la resistenza locale al testo. L’opera venne elaborata da giuristi colti, da dottori del diritto, formati nelle università, un diritto colto quindi, che attraverso la lingua volgare viene però fatto conoscere alla gente. Questi giuristi attingono sia al diritto romano che al diritto canonico, ma i testi d’origine non vengono citati. Non riporta infatti le fonti, e non cita i giuristi.

La sistematica è simile a quella del codice, non quella delle Istituzioni, e mette nel primo libro il diritto della Chiesa (come nel Codice di Giustiniano). Poi troviamo il diritto amministrativo, poi il processo, poi la famiglia. E’ quindi molto influenzato dal Codice Giustinianeo, anche se l’ordine è semplificato.

La Titolazione è in stile editto. Ci è giunto attraverso tre edizioni ufficiali, di cui una con le Glosse di Gregorio LOPEZ, che all’epoca erano in realtà già superate, ma questi metodi si è visto, durano nel tempo. Le Glosse sono in LATINO, e legano il testo quindi alla Magna Glossa o al Corpus Iuris, riallacciano quindi il testo alla base da cui sono tratte. (vedi esempio di pagina delle Siete Partidas – Titulo I)

E’ rilevante notare che quest’opera è oggi VIGENTE in Spagna, naturalmente derogato nelle parti regolate da leggi successive. E’ un codice, usato come libro di dottrina, ma è LEGGE. E’ fonte del diritto comune e base del diritto della penisola iberica, compreso il Portogallo. Si diffuse poi anche in America Latina, facilitato dalla lingua

E’ quindi anche questa una rilettura dei Codici di Giustiniano, fatta da giuristi glossatori, che hanno però anche riscritto il diritto, traducendolo, e arricchendolo del diritto canonico.
L’elaborazione sistematica è cresciuta rispetto agli umanisti, ma rimane legata al concetto dei POCHI GENERI. Il lavoro centrale, di alta specializzazione, è un diritto romano comune codificato, con un diritto sviluppato, è un rilancio dei codici giustinianei, che concilia due fonti, giuristi e legislatori.

Il diritto romano comune, che si diffonde in Europa, non a causa della volontà del legislatore, ma per la sua BONTA’, per la FONDATEZZA, la CAPACITA’ DI ADEGUARSI che ne consente la diffusione, si espande quindi in America Latina tramite le Siete Partidas.

Il diritto romano si diffonde quindi con:
Ø CODICI GIUSTINIANEI
Ø SIETE PARTIDAS
Ø TESTI SUI CODICI GIUSTINIANEI
Ø UNIVERSITA’ (Bologna, altre in Europa, Città del Messico, Lima)

(Lezione Schipani 09/01/2008)

Il Diritto si divide quindi in Romano - Germanico – Canonico. La fase di FORMULAZIONE del diritto si conclude con i Codici di Giustiniano, che raccolgono le fila di tutti gli elementi del passato.

Le contrapposizioni tra diritto romano “classico” e diritto giustinianeo”, professate dagli UMANISTI, in realtà non hanno valore perché Giustiniano recepisce eccome il passato, e correttamente. E’ una grande svolta, la sua codificazione, sicuramente, ma è un riordino, c’è una continuità, ed è infatti DIRITTO ROMANO COMUNE, con cambiamenti certo, ma è un accrescimento, non uno stravolgimento.


Considerando anche il periodo pre-codici, le opere antecedenti al Codice (Gaio, Papiniano, così come l’Editto, che riuniva e ordinava tutte le questioni che i cittadini potevano far valere in giudizio) troviamo quindi nei secoli VARIETA’ DI FORMULAZIONE del diritto, che viene quindi alla fine raccolto tutto nei Codici di Giustiniano. Tutti gli arricchimenti portano al punto di arrivo dei Codici, al coronamento del sistema di organizzazione del diritto, alla formazione del sistema.

Anche nei codici moderni ci sono elementi di continuità con i sistemi precedenti, e naturalmente anche delle novità. Quindi a partire dal 530 d.C. fino alla fine del 1730, e anche oggi il sistema di organizzazione del diritto è basato sulla struttura dei Codici. I Codici giustinianei sono quindi OSSATURA e VINCOLO per la successiva giurisprudenza, sono un corpo preesistente che dà vita a un diritto che si elabora su di esso, e va a formare continuamente il diritto civile.

GIUSTINIANO che riunì in pochi libri, ordinati, e formò questo CORPO che i giuristi delle successive generazioni si ritrovano già quindi costituito, formulato, che dà le basi per tutto il futuro del diritto (così come avvenne anche per le XII Tavole, per il diritto più antico, che ne formarono un corpus, e i Tripartita recepirono poi questo corpo nella struttura).

I Glossatori sono i primi che lavorano su questo corpo, mantenendo il suo ordine, come base, che tra l’altro conteneva già un lavoro di GIURISTI, seconda fonte del codice, oltre alle LEGGI.

Si dice quindi che i Codici di Giustiniano siano PRECOSTITUITI, e quindi questo DERESPONSABILIZZA i giuristi successivi, perché non creano, ma leggono e rielaborano un diritto già fatto. Giustiniano è visto infatti come monopolizzatore della produzione del diritto, un autocrate bizantino. Quindi la figura FISICA, l’imperatore, ha il MONOPOLIO del diritto. Poi la storia mostrerà che il monopolio lo avrà lo STATO, il quale darà al giurista un ruolo NON POLITICO ma TECNICO, il compito di lavorare su un CORPO POSTO. I Giuristi sono quindi operatori che lavorano e garantiscono il buon funzionamento di qualcosa a loro estraneo.

La Glossa, e le Siete Partidas, prima delle codificazioni moderne, non sono invece lavori esautorati, ma sono un CONTRIBUTO alla continuità, anche per i giuristi successivi.

Quindi per riassumere:

A) TESTO PRECOSTITUITO – con un interno lavoro dei giuristi, ma che estranea i giuristi successivi
B) MONOPOLIO dell’imperatore e dello stato, e fino ai codici compresi il lavoro dei giuristi è, con la sua creatività, un’altra fonte del diritto.
C) FORMULAZIONI Le Formulazioni, ne abbiamo visti vari esempi:EDITTO – elenco di formule, descrizione della fattispecie e ordine di condanna XII TAVOLE – regole semplici CODICI – regole TESTI GIURIDICI – più elaborati e complessi. Si pone il problema della brevità, SINTETIZZARE, RIUNIRE, e Giustiniano la ottiene tagliando i testi
D) UNIFICAZIONE DEL SOGGETTO DI DIRITTO Giustiniano con i suoi Codici sancisce l’eliminazione della divisione tra cittadini e stranieri (Latini) unifica quindi il soggetto di diritto. La divisione tra liberi e servi, come quella tra minori e pazzi invece resta. Vi è una generale tendenza alla unificazione, alla CATEGORIA GENERALE E UNITARIA DI UOMO. Vengono unificati anche Ingenui e Liberti, e si trova il sistema per eliminare le differenze. Concetto che arriverà fino ai nostri codici.

E’ infatti un OBIETTIVO PRIMARIO, recepito nei nostri codici, la parificazione, e la CENTRALITA’ DELLA PERSONA. Le molte distinzioni vengono man mano superate.


CARTESIO E IL RAZIONALISMO
Affrontiamo ora il razionalismo (Cartesio), anche giuridico, e l’illuminismo, dopo l’umanesimo, che sfocia nella Scuola del diritto naturale e nella Pandectarum.

René Descartes (Descartes, 31 marzo 1596Stoccolma, 11 febbraio 1650) è stato un filosofo e matematico francese, che diede fondamentali contributi a questi due campi del sapere. È conosciuto anche con il nome latinizzato Renatus Cartesius, in Italia modificato in Cartesio. Descartes, ritenuto da molti fondatore della filosofia moderna e padre della matematica moderna, è considerato uno dei più grandi e influenti pensatori nella storia dell'umanità. Con il suo pensiero estese la concezione razionalistica e matematizzante della conoscenza, che era stata propugnata da Francesco Bacone, ma formulata e applicata effettivamente solo da Galilei, a ogni aspetto del sapere, dando vita a quello che oggi è conosciuto con il nome di razionalismo continentale, una posizione filosofica dominante in Europa tra XVII e XVIII secolo.
Il razionalismo (dal termine latino ratio, "ragione"), è una corrente filosofica basata sulla tesi che la ragione umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza, ovvero attingere ad essa attraverso l'esperienza razionale dei propri strumenti di indagine e comprensione. Diviene così principio pedagogico atto a riconoscere le modalità quantitative e qualitative dell'incremento delle conoscenze umane nell'individuo e nella società in quanto mediate dal sapere.
Trasse origine dal pensiero di Cartesio e si diffuse nel corso del XVII e XVIII secolo in Europa, mentre in Gran Bretagna si affermava l'empirismo, secondo il quale tutte le idee sorgono in noi attraverso l'esperienza e dunque la conoscenza (con la possibile eccezione della matematica) ha origini essenzialmente empiriche. La distinzione tra le due correnti è tuttavia una ricostruzione successiva, ed inoltre non è così netta, visto che i più importanti filosofi razionalisti concordavano sull'importanza della scienza empirica.
Il razionalismo in particolare considera la ragione umana innata e indipendente dall'esperienza, immutabile ed identica in ogni essere umano, ma tanto da essere così alla portata dell'individuo capace di riconoscere in sé le proprie facoltà.
In genere i filosofi razionalisti sostenevano che, partendo da principi fondamentali, individuabili intuitivamente, come gli assiomi della geometria, si possa arrivare tramite un processo deduttivo a tutto il resto della conoscenza.
Nel periodo conosciuto come Età dell'Illuminismo, l'Europa del XVIII secolo fu testimone di notevoli cambiamenti culturali, caratterizzati, fra l'altro, dall'esame sempre più critico della fede nelle tradizionali autorità religiose e dalla conseguente esaltazione di idee laiche e principi razionali e scientifici, nell'ottica di una progressiva e totale emancipazione dell'uomo dalle tenebre in cui, secondo gli illuministi, egli sarebbe stato tenuto dall'oppressione religiosa: libertà, uguaglianza, fraternità (o fratellanza), diritti umani, scienza, pensiero razionale, autonomia del potere politico e laicità dello Stato.
Una certa influenza sull'Illuminismo, tuttavia, si può ricondurre anche ad alcuni aspetti collaterali e minori della vita religiosa del tempo, quali ad es. i resoconti dei viaggi dei preti cattolici in Cina, che servirono come modello per un secolare despota illuminato.
Le sollevazioni dell'Età dei Lumi portarono direttamente alla Rivoluzione Americana così come alla Rivoluzione Francese e influenzarono significativamente la Rivoluzione industriale. Le idee dell'Illuminismo, in particolare il liberalismo inglese, ebbero poi una notevole influenza nella stesura della Costituzione degli Stati Uniti e di quelle che seguirono, soprattutto negli stati europei.
L'Illuminismo fu anche segnato dal sorgere del capitalismo e dall'ampia circolazione di materiale stampato. L'Encyclopédie francese, in questo senso, fu la più importante sintesi del pensiero illuminista, la quale riassumeva al suo interno tutto il sapere del tempo, combinando articoli più marcatamente filosofici, con altri dedicati alle scienze, alle arti e alla tecnica che proprio allora cominciava ad assumere un suo proprio sviluppo.
Un'importante risposta all'Illuminismo all'interno della comunità ebraica europea fu il movimento Haskalah.
Il concetto di un singolo movimento di dimensioni europee può indurre in confusione, essendo in realtà un riflesso del reale predominio culturale del pensiero francese, all'interno del movimento illuminista. È tuttavia possibile analizzare diversi movimenti nazionali.
Il termine "illuminismo" era usato dagli scrittori del tempo, convinti di provenire da un'epoca di oscurità e ignoranza e di dirigersi verso una nuova età, segnata dall’emancipazione dell'uomo e dai progressi della scienza sotto la guida dei "lumi" della ragione. L'illuminismo ebbe come principali centri di diffusione l'Inghilterra e la Francia.L’Inghilterra era stato il Paese dove meglio si era affermato l’empirismo, un orientamento di pensiero filosofico che riconduceva la conoscenza all'esperienza dei sensi, negando l'esistenza di idee innate o di un pensiero a priori ("ciò che viene prima" ossia una conoscenza che si acquisisce prescindendo dall'esperienza, cioè mediante il solo ragionamento deduttivo). Tratti comuni alle dottrine empiriste sono l'attenzione per i dati empirici come si presentano nella percezione, l’uso del metodo induttivo rispetto a quello deduttivo, la riduzione dei concetti universali a semplici nomi o rappresentazioni mentali, l'anti-metafisica, lo sperimentalismo. Dalla "filosofia sperimentale" dello scienziato inglese Newton gli illuministi assunsero una concezione del pensiero scientifico secondo la quale, la ragione umana, attenendosi all'esame dei fenomeni, procede verso i principi, fino a pervenire, come dimostrava la scoperta della legge della gravitazione universale, a un quadro unitario del mondo fisico. L'illuminismo ebbe per precursori anche pensatori razionalisti come il francese Descartes, del quale i filosofi del XVIII secolo rifiutavano la pretesa di una conoscenza deduttiva derivante da idee innate e da principi noti a priori, ma facevano propria l'esigenza di "chiarezza e distinzione" delle idee, rifiutando il tradizionale principio d'autorità. Molti illuministi, rifiutando la metafisica, cercarono la conferma di una visione naturalistica e laica (ma non necessariamente atea: piuttosto diffuso fu invece il deismo, ovvero una credenza religiosa completamente razionalizzata, caratterizzata dalla credenza nell'Essere Supremo, chiamato anche Grande Architetto dell'Universo) della realtà, propugnarono la tolleranza e polemizzarono contro le superstizioni e i pregiudizi. Sulla base di questi presupposti, non pochi autori e intellettuali teorizzarono un anticlericalismo e un attacco alla Chiesa, soprattutto quella cattolica, che, in non pochi casi, come ad es. con Voltaire, assunse contenuti e toni molto efficaci e potenti, in particolare per la polemica contro il dogmatismo e il fanatismo, proprio di tutte le religioni positive. Nell'illuminismo si incontrarono aspetti eterogenei, della filosofia e della cultura moderne, dalla rivoluzione scientifica avviata da Copernico e Galilei alle ripercussioni culturali indotte dalle esplorazioni geografiche, dal razionalismo di Descartes all'empirismo di Locke. L'illuminismo fu portavoce del moderno spirito scientifico, che rifiutando l’autorità di Aristotele e della Bibbia rivendicò l'osservazione diretta dei fenomeni e l'uso autonomo della ragione. La fiducia nella ragione, coniugandosi con il modello sperimentale della scienza newtoniana, sembrava rendere possibile scoprire sia le leggi del mondo naturale, sia quelle dello sviluppo sociale. Si pensò allora che, usando saggiamente la ragione, sarebbe stato possibile un progresso indefinito della conoscenza, della tecnica e della morale.
L'atteggiamento della Chiesa era quindi decisamente ostile alle scoperte scientifiche; a partire da quelle di Niccolò Copernico, Johannes Kepler, Galileo Galilei, Isaac Newton (...) e costrinse gli scienziati dell'epoca a rinunciare alla divulgazione delle loro teorie. Tuttavia la scienza continuava a diffondersi, soprattutto nel campo dell'astronomia e della fisica, ma anche in quello della nascente biologia, degli studi sulle piante, sulla formazione dei ghiacci ed altro. La cultura che nel '600 si era manifestata con l'arte barocca, si esprimeva ora in un movimento, l'Illuminismo, così chiamato per la sua fede nei lumi della ragione umana, che potevano "sconfiggere" le tenebre dell'ignoranza tipiche del Medioevo.

L’idea di STATO, dopo il 500, non inteso come comunità politica ma come CENTRO DI POTERE, cresce con l’affermazione dello stato moderno, ASSOLUTO, nel senso di “sciolto”, “assolto” da ogni altro vincolo, nei confronti dell’impero o degli altri stati, nei confronti della divinità, e della Chiesa.

Esautorati tutti gli altri corpi intermedi, la struttura feudale, l’autonomia cittadina etc., il potere viene CONCENTRATO, fino all’800 nelle mani del principe (identificato con lo Stato), poi dallo Stato (astratto, inteso come PERSONA giuridica). Stato quindi non vincolato da nulla, quindi non vincolato al diritto di nessuno. Ci si basa sempre d i più su cosa detta la RAGIONE, per garantire la convivenza, in assenza di società ecumeniche. Esigenza di accertare a ogni livello una gestione razionale, a cui arrivare con ragionamenti deduttivi, un’etica razionalmente fondata da cui un diritto che ne discenda.

Quindi DOPO GIUSTINIANO si afferma l’UMANESIMO, poi nel 600, 700 e parte dell’800 un grande sviluppo del RAZIONALISMO, anche nella elaborazione del diritto, fondato su PRINCIPI da cui si deducano CONSEGUENZE, con ragionamenti deduttivi. Dopo l’800 c’è l’avvento della PANDETTISTICA.

L’approccio al patrimonio precedente è quindi di selezione dei principi, un utilizzo diverso delle fonti, una rielaborazione e rideduzione. I giuristi rielaborano e rideducono. C’è un RUOLO PREMINENTE DEI PRINCIPI.

L’ILLUMINISMO, il secolo dei lumi, con la Scuola del Diritto Naturale, elabora una società RAZIONALMENTE ORGANIZZATA, un progetto di società e di legislazione con un sovrano ILLUMINATO, e monopolizzatore del diritto, teso al benessere dei sudditi.


Scuola del DIRITTO NATURALE (schema delle lezioni 4.1)

NASCONO su questa scia, sull’onda del secolo dei lumi, i Codici della Scuola del Diritto Naturale:

Ø CODICE FRANCESE
Ø CODICE AUSTRIACO DEL 1811

Ma Francia e Austria sono in realtà espressioni già al di fuori dell’illuminismo, oltre la scuola del diritto naturale. Nascono prima due importanti realtà, sono due espressioni della stessa impostazione razionalistica (la cosiddetta recta ratio).

Ø CODICE PRUSSIANO 1794 e la
Ø RIFORMA degli STUDI DI DIRITTO in PORTOGALLO

Le quattro espressioni (codice francese austriaco prussiano e la riforma portoghese) sono una citazione classica dei codici dell’illuminismo, ma il Prof. Schipani tende a identificare solo il Codice Prussiano e la Scuola Portoghese come vera espressione, espressione più fedele del modello di diritto razionale (vedi FONTI – La Scuola del Diritto naturale).


Codice Prussiano – passi della nascita

ORDINANZA del 1746

L’ordinanza del 1746 indica le linee generali e i le motivazioni per la stesura del codice. Dà incarico di redigere un diritto territoriale tedesco, fondato sulla RAGIONE NATURALE, per avere un diritto CERTO, per accelerare i processi. Da notare il riferimento TERRITORIALE, ci sono due filoni germanici, che configurano l’Impero romano-germanico e l’Impero germanico in senso stretto.

Approvazione del diritto per ilcodice prussiano dovrà quindi basarsi su:

1) RAGIONE NATURALE (illuminismo) alla base del movimenti culturali dell’epoca, sulla naturalis ratio. Un diritto universale, uniforme, comune a tutti e uguale per tutti, come l’idea gaiana.
2) COSTITUZIONE DEL PAESE, le regole fondamentali di un paese.

Ci sono apparenti contraddizioni, che nella stesura del codice andranno eliminate. Anche qui, nell’ordinanza, si evidenzia, come per Giustiniano, la necessità di ABBREVIARE I PROCESSI, così come oggi. L’applicazione della legge deve essere breve, rapida, altrimenti perderebbe senso la giustizia. Serve un diritto CERTO, come già in passato, e questo dimostra che nei secoli si arriva sempre alle stesse conclusioni.

Poi nell’ordinanza troviamo una critica sul NON ORDINE, e si rivaluta la necessità SISTEMATICA, perché se si deve giudicare secondo l’antico diritto romano, utilizzando i Digesti, che comprendevano un diritto controverso, ed era difficile muoversi all’interno dei testi, non essendo impostati in un modo sistematico. Questa critica era già stata mossa da Cicerone, e poi dagli Umanisti. Essendo controverso, il diritto dei Digesti contiene molte contraddizioni, accresciute dalle consuetudini diverse, dal diverso diritto canonico, diverso dagli editti di autorità locali, che creano quindi ancora più confusione. Ecco quindi le motivazioni per un codice.



PROGETTO del 1749

In risposta all’ordinanza nasce il progetto, e viene introdotto il concetto dell’ORDINE, per il diritto romano. Si applica la TECNICA DEDUTTIVA RAZIONALISTICA, quindi

FISSAZIONE PRINCIPI GENERALI



CONCLUSIONI DEDOTTE, che diventano LEGGI

Si deve eliminare tutto ciò che non è applicabile allo Stato tedesco, e vanno sciolti tutti i dubbi, vanno risolti, con la soluzione migliore, esattamente come aveva chiesto di fare Giustiniano ai suoi giuristi.

Il Codice deve divenire CERTO e UNIVERSALE.

Rispetto all’ordinanza, che non lo prevedeva come fonte, nel progetto in risposta il diritto romano viene invece preso in considerazione.


DISSERTAZIONE del 1750 di Federico II

Lo stesso Federico II nel 1750 dà poi le indicazioni generali su COME PORRE LE LEGGI. Nella sua Dissertazione dice che le leggi devono essere chiare, interpretate alla lettera e non devono indurre a ricorrere alla intenzione del legislatore.

Alla fine del settecento si pone infatti il problema della legislazione: una delle conseguenze del giusnaturalismo,secondo il quale il diritto doveva essere razionale universalmente ed assolutamente valido, era stata la necessità di adeguare a questo modello perfetto i tutt'altro che perfetti ordinamenti giuridici vigenti, e questa esigenza logica si incontrava con l'esigenza pratica di porre rimedio alla confusione e all'incertezza delle norme giuridiche provocata in quasi tutti i paesi d'Europa dalla degenerazione del diritto comune e dalla sopravvivenza di usi non più compatibili con la situazione economica e sociale dell'epoca. Le tesi giusnaturalistiche si prestavano a giustificare la politica degli stati moderni che affermava la loro sovranità assoluta mediante l'eliminazione di tutti gli enti intermedi tra stato e cittadino che in qualche modo potevano limitare il potere del primo:e ciò togliendo validità alle norme che promanavano da tali enti,attribuendo obbligatorietà solo alla legge cioè al comando posto dallo stato. Era la tendenza di cui per primo si era fatto interprete Hobbes. I sovrani assoluti illuminati si servono della dottrina giusnaturalistica per affermare come esigenza della ragione e strumento della felicità dei popoli la riduzione dell'irrazionale diritto del loro tempo a legge:in quanto solo la legge può essere opera della ragione. Di qui il favore dei despoti illuminati per la codificazione ,cioè appunto per la riduzione di tutto il diritto a legge,che elimini ogni altra forma di diritto,e la loro tendenza alla proibizione di qualsiasi interpretazione che non provenga dallo stesso legislatore. In tutta Europa si sentiva la necessità di un coordinamento ,di una stabilizzazione e di una razionalizzazione delle norme giuridiche che eliminasse anche nel campo del diritto le oscurità e le contraddizioni retaggio di tempi non illuminati e che conducesse all' instaurazione di un ordine e spazzasse i vecchi istituti creati dalla storia e attuasse una volta per tutte i dettami eterni e immutabili della ragione.
(Lezione Schipani 09/01/2008)

Per riassumere: il razionalismo etico e giuridico in cui si colloca il Codice Prussiano è frutto della Scuola del diritto naturale, radicata nel diritto romano, che viene usato come MATERIALE per costruire il diritto, visto che il diritto naturale era fonte del sistema del diritto romano. La scuola tende però anche a trovare fondamento sui principi dedotti dalla filosofia generale. C’è un uso razionalistico del diritto romano, un uso moderno delle pandette, a cui il diritto francese si avvicina molto. Il diritto Federiciano ha cornice giusnaturalistica, ed è diritto romano riordinato secondo principi razionalistici. La Prussia aveva un diritto che recepiva il diritto romano come UNO dei suoi elementi. Incidevano anche le TRADIZIONI LOCALI, venivano recepite le loro consuetudini, così come le regole di organizzazione feudale.

Le Università formavano i giuristi con indirizzo romanistico e canonistico, con concetti di entrambi i diritti ma vigeva poi il diritto del tribunale imperiale.
Diritto romano quindi, che veniva quindi riconosciuto e applicato, salvo leggi specifiche del regno e consuetudini, approvate o recepite da sentenze, non costitutive di diritto, ma che riconoscevano la consuetudine. Il diritto romano era quindi TESSUTO del diritto vigente.

Il Regno di Prussia tende a staccarsi dal profilo giurisdizionale imperiale, pur rimanendo nell’impero: usa tribunali TERRITORIALI, e applica un diritto PROPRIO, rende PROPRIO il diritto romano.

Un DIRITTO TERRITORIALE TEDESCO quindi, PROPRIO, con base di diritto naturale, che assume come BASE le ISTITUZIONI e il METODO ROMANISTICO.

La codificazione prussiana
La codificazione è anche un momento formativo, per i cittadini, e le ISTITUZIONI sono anche qui alla base.
La necessità di un accertamento del diritto che mettesse fine agli inconvenienti causati dalla crisi del diritto comune aveva condotto già lungo il corso del 700 alla redazione di progetti di codici;ma le riforme legislative attuate nei vari stati non andarono più in là di alcune consolidazioni del diritto comune.Il primo codice vero e proprio è quello che entrò in vigore nel regno di Prussia nel 1794,dopo una lunga vicenda che aveva avuto inizio nel 1738 con l'incarico ,dato dal re Federico Guglielmo primo a Samuele Cocceio ,di elaborare un sistema di diritto territoriale che avrebbe dovuto avere il carattere della perennità e stabilità. Samuele Cocceio che sosteneva l'identità tra diritto naturale e diritto romano cercò di conferire razionalità al diritto vigente,cioè al diritto romano che era stato recepito anche in Germania fin dal quindicesimo secolo come diritto comune ed essendogli stato confermato l'incarico dal nuovo re ,Federico secondo, concepi un codice in cui l'ideale della razionalità non faceva passare in secondo piano l'esigenza di consolidare il diritto vigente. Federico secondo era spinto a promuovere una codificazione sia perchè era un sovrano assoluto e come tale era interessato a ridurre tutto il diritto alla legge dello stato, sia perchè essendo illuminista era partecipe dell'ideale dell'unificazione e stabilizzazione su fondamenti razionali,ma da uomo politico quale egli era pur condividendo gli ideali illuministici,riconosceva che a volte questi si presentavano come un'utopia;e in uno scritto sulla legislazione aveva celebrato come capolavoro dello spirito umano un corpo di leggi perfette e regole cosi esatte che uno stato retto da quelle leggi doveva somigliare ad un orologio,ma rendendosi conto che le cose perfette non appartengono all'umanità,non si era illuso di poterlo realizzare.Federico secondo si fece guidare da criteri assai realistici,fallito il tentativo di Samuele Cocceio egli affidò il compito di preparare un codice al cancelliere Giovanni Enrico Casimiro von Carmer,che si servi di numerosi esperti.A fondamento del codice fu preso il diritto vigente ,sia quello giustinianeo sia quello costituito dagli usi e dagli statuti locali,tanto che in esso di spirito giusnaturalistico rimase ben poco,non fu riconosciuta neppure l'uguaglianza dei cittadini e fu sancita invece la divisione della società in tre stati,i contadini,la borghesia e la nobiltà,e ogni cittadino apparteneva necessariamente a ognuno di questi tre stati o per la nascita o per l'attività svolta, e diversa era la condizione a seconda dello stato al quale si apparteneva. Dell'ideologia illuministica il codice prussiano accoglie il principio secondo il quale il codice doveva essere completo e senza lacune,in modo che all'interprete fosse lasciata la minima libertà possibile.In un dei progetti era stato addirittura stabilito l'obbligo per il giudice,nel caso di silenzio o oscurità della legge,di ricorrere alla Commissione legislativa:e questo per affermare il principio che nessuno potesse creare diritto tranne il legislatore,neppure mediante l'interpretazione che veniva riservata anch'essa agli organi legislativi dello stato.Il testo definitivo non giunse a questo estremo ma stabili ugualmente che il giudice dovesse attenersi strettamente alla parola della legge e che nel silenzio di questa, dovesse decidere secondo i principi generali del codice stesso e secondo le norme che regolavano casi analoghi a quello in questione. Tale disposizione soddisfaceva una delle istanze dell'illuminismo,cioè quella del vincolo assoluto del giudice alla legge.Essa intendeva realizzare il principio della completezza dell'ordinamento giuridico positivo,stabilendo che nell'ambito di questo è sempre possibile ritrovare la norma che regola qualunque caso in questione,anche non previsto dal legislatore. Il legislatore prussiano cercò di prevedere la maggior quantità di casi, creando una legislazione amplissima e minutissima,formulata in un numero enorme di articoli,la cui precisa conoscenza era praticamente impossibile,e questo fini col mettere in risalto la contraddittorietà e l'astrattezza dell'ideologia illuministica ,la quale da un lato avrebbe voluto poche leggi chiare, che tutti fossero in grado di conoscere e dall'altro pretendeva che fosse il legislatore a regolare tutta la vita giuridica.

Samuele COCCEIO, fu quindi uno degli autori del codice prussiano, autore in particolare della seconda parte del progetto, aveva puntualizzato lo SCOPO DEL CODICE: PROGETTARE UNA NUOVA SOCIETA’.

Il progetto conteneva il concetto di STATO MODERNO ASSOLUTO, che vedrà il potere dei nobili che affiancano il governo affievolirsi, e accentuarsi e accentrarsi il potere dello Stato, inteso come centro di potere.

Federico II, su questa scia, opera su questi due punti chiave:

ACCENTRAMENTO DEL POTERE (come già visto in altri stati)
RIORGANIZZAZIONE GIUDIZIALE – tribunali propri con diritto proprio

Assume competenza, anche in materia finanziaria (soprattutto per la spesa militare), che diventa strumento di esperienza e rafforzamento del sovrano. Il governo, divenuto camerale, riduce il potere degli organi che affiancavano il sovrano. L’organizzazione giudiziaria stessa, concessa prima in modo ereditario ai nobili, ora viene gestita da un giurista formato con competenza data dal sovrano.

Le strutture nobiliari quindi si indeboliscono su:
Ø FINANZA E ECONOMIA
Ø ESERCITO E AMBITO MILITARE
Ø ESERCIZIO DELLA GIURISDIZIONE

In questo quadro di riforme si colloca il CODICE PRUSSIANO, che riforma l’apparato giudiziario, ed essendo procedure e organizzazione connessi all’apparato, ad una sua razionalizzazione devono seguire delle procedure adeguate.

Il sistema del codice NON include però direttamente le norme processuali. La legislazione del codice è affiancata da un REGOLAMENTO giudiziario. Già le Istituzioni lasciavano da parte le azioni processuali (che erano invece contenute nei Digesti, che contenevano infatti le COGNITIONES EXTRA ORDINEM, i processi di fronte al giudice funzionario imperiale).

Nel diritto romano lo strumento processuale creato dal pretore, aveva come schema:

BENI + DIRITTI + AZIONI

Il processo formulare invece non è pervenuto a noi in nessun modo, è la parte meno pervenuta del patrimonio romanistico. Il processo comunque ha in generale poco spazio nelle Istituzioni e del Digesto, ne ha un po’ di più nelle Costituzioni imperiali. Non è infatti base diretta della discussione dei giuristi, è una parte separata.

L’ARL è quindi un CODICE UNITARIO, GENERALE, e contiene NORME DI TUTTI I DIRITTI. (vedi 4.1.1.3.2).

La sua sistematica prevede una parte generale e delle parti specifiche. E’ un codice esteso, ha moltissima materia, recepisce il principio che la legge regola TUTTO, ed è in contrasto con il principio secondo cui il legislatore si occupa di quello che accade “per lo più”, come dice il Digesto.

Schema logico dell’ARL

INTRODUZIONE
I – Diritti dell’INDIVIDUO
II – Diritti sull’appartenenza alla stessa casa (famiglia, domestici, e tutto ciò che vi è connesso)
III Diritti dei diversi ceti

Si parte dall’INDIVIDUO (prima parte del codice) per passare poi alla FAMIGLIA (seconda parte).

La terza parte, i rapporti fra i ceti, è una grande estensione del codice, parte poi sottratta al codice, si separerà e diverrà Diritto Amministrativo. I ceti spariranno dal codice, e i rapporti fra privati e stato si staccheranno, alleggerendo il Codice.

Il codice non è di diritto privato, ma è diritto CIVILE, regola le:

RELAZIONI DEI CITTADINI
Ø con la famiglia
Ø tra i ceti
Ø con i ceti
Ø con organizzazione della società

È legato all’ancien regime, una articolata società, che sarà combattuta poi dalla rivoluzione francese.

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NOTA DEL PROFESSORE:
Per la prima parte del programma il libro e l’articolo sono alla base dello studio.
Per la seconda parte ci si deve basare sugli appunti.

Studiare bene ALR PRUSSIANO e l’ESPERIENZA PORTOGHESE (capitolo IX par. 2 del libro di testo).

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Il Codice assume quindi una posizione SUPPLETORIA, prevede il monopolio della produzione, e sancisce che anche ciò che non è previsto dal codice (statuti locali, fonti del particolarismo giuridico), deve essere riconosciuto dal legislatore. Mentre Il diritto romano aveva una pluralità di fonti, la LEGGE era fatta derivare da tante fonti, diverse tra loro e sui loro modi di produzione (es. senatoconsulta, plebiscita l’editto del Pretore che produceva come magistrato avendo potere di iurisdictio, che gli derivava dal popolo, per la fonte-giuristi valeva L’AUTORITA’ A RISPONDERE conferita dal principe -ius respondendi ab auctoritatae principis - sulla base della loro COMPETENZA), questo sistema prussiano prevede invece che le fonti siano riconosciute dal legislatore, che detiene il MONOPOLIO.

Quindi fonti DERIVATE, ma non dalla legge, ma dal legislatore.


In particolare nello IUS RESPONDENDI, in una quindi delle fonti del diritto romano, il diritto nasce controverso, ma viene poi ordinato.

Ci sono quindi due principi ispiratori, per il diritto romano:
Ø VOLONTA’ DEL POPOLO
Ø AUTORITA’ DEI GIURISTI IUS RESPONDENDI

Giustiniano non aveva quindi il monopolio, chiama fondatori i giuristi, riconosce l’altra fonte e la sancisce come FONTI:

LEGGE + GIURISPRUDENZA

La giurisprudenza non derivata dalla legge, ma dalla competenza, dalla perizia dei giuristi. Mentre nel sistema prussiano il legislatore accentra su di sè la produzione.

I Glossatori e i Commentatori restano quindi una fonte importante fino al 1700, quando invece lo STATO SI RIAPPROPRIA DELLA PRODUZIONE DEL DIRITTO, e la monopolizza.

I Codificatori TENTANO di mantenere la competenza del legislatore solo sul TESTO, mantenendo un controllo sui principi, sulle fonti richiamate, tutte derivate.

La consuetudine era fonte originaria, nel diritto romano, e il diritto la recepiva, era legge non scritta. ALR considera invece la consuetudine SOLO SE il legislatore la prende in considerazione.

Il SOVRANO, ASSOLUTO E ILLUMINATO, guida il progetto.

I DESTINATARI sono gli abitanti del TERRITORIO.

L’ALR, che fu tradotto in italiano a metà del 1800 durerà fino al 1900, poi esce il Codice Civile Tedesco.

Riforma delle fonti e della formazione del giurista
in PORTOGALLO (schema delle lezioni 4.1.2)

LA TRADIZIONE GIURIDICA PORTOGHESE E IL BRASILE COLONIALE
Le Ordenações Filipinas furono promulgate nel 1603, per mano del re Filippo II di Spagna, all'epoca della unificazione iberica. Divise in 5 libri sul modello delle ordinanze anteriori (di D. Alfonso V e D. Manuel), le Filippine dedicavano il libro 4º specificamente al diritto privato. Dopo la fine della dominazione spagnola, il Portogallo confermava la loro vigenza con una legge del gennaio del 1643. Secondo Braga da Cruz, si mostravano antiquate già quando videro la luce all'inizio del secolo XVII, dal momento che avevano cercato di confermare la tradizione giuridica dei compilatori, finendo così per essere un semplice aggiornamento delle ordenações Manuelinas, a loro volta mero aggiornamento delle Ordenações Afonsinas[iii].
In ogni caso, una delle caratteristiche che segna il processo di applicazione delle Ordenações Filipinas, via via che si accendono i Lumi del secolo XVIII e trovano affermazione le esigenze della borghesia durante il secolo XIX, è senza dubbio la loro incompletezza di fronte alle nuove e sempre più complesse situazioni giuridiche. Le stesse ordinanze regie, tuttavia, fissavano in modo abbastanza chiaro i criteri per colmare le eventuali lacune: in via generale doveva essere usato il diritto romano, mentre le controversie in materia di peccato avrebbero dovuto essere risolte preferibilmente in forza del diritto canonico (ex. libro II, titolo 1, paragrafo 6º, 13 e titolo 5, paragrafo 4º, bem como livro III, título 24, "caput" e titolo 58, paragrafo 9º). Inoltre facevano esplicito riferimento anche all'uso della Glossa di Accursio e delle Opinioni di Bartolo, purché non fossero contrarie alla communis opinio doctorum. Come si può notare, tali ordinanze erano sostanzialmente parti del diritto comune europeo, che pertanto era formalmente in vigore in Brasile fin dal principio della sua colonizzazione.
È evidente, tuttavia, che queste Ordenações Filipinas non avrebbero goduto di una grande longevità, come ha sottolineato Ascarelli, se nuovi e decisivi avvenimenti non avessero costretto la cultura giuridica portoghese (che, a questo punto, costituiva un tutt'uno col diritto brasiliano) e, dopo l'indipendenza, anche la cultura brasiliana, a rendere l'applicazione di questa antica legislazione più permeabile ai bisogni dei tempi nuovi. Il primo di questi prende il nome di "Lei da Boa Razão", redatta da Marquês de Pombal, che fu uno dei rappresentanti del assolutismo illuminato portoghese.
Infatti, la legge del 18 di agosto del 1769 - cosiddetta "Lei da Boa Razão" -, fortemente ancorata all'ambiente culturale illuministico e giusnaturalistico, cercava fondamentalmente di imporre nuovi criteri di interpretazione della legge e di integrazione delle lacune[iv]. Il suo obiettivo primario è precisamente quello di reprimere l'abuso, fino ad allora diffuso, di ricorrere al diritto romano o ai testi della dottrina in disprezzo delle norme espresse del diritto nazionale portoghese. In tal modo, veniva vietato l'uso, nelle decisioni del giudice, dei testi romani o la possibilità di invocare l'autorità di qualche autore quando vi fossero disposizioni contrarie nelle Ordenações, nelle consuetudini del regno o nelle leggi patrie. Si poteva ricorrere ai testi romani solo in caso di lacune. Occorre insistere su un punto: cioè che, anche così, il diritto romano, in qualità di "diritto sussidiario", non poteva essere utilizzato come tale, ma solo per il tramite della recta ratio dei giusnatutalisti, la "boa razão". Stando alla lettera della legge, questa "buona ragione" avrebbe dovuto essere rintracciata nelle "verità essenziali, intrinseche ed inalterabili, che l'etica degli stessi romani aveva stabilito, e che il diritto umano e divino hanno formalizzato, per essere usate da regole morali per il cristianesimo", o altrimenti poteva ricavarsi da "altre regole che, per unanime consenso, ha stabilito il diritto delle genti, per dirigere e governare tutte le nazioni civilizzate", o, infine, sulla base di ciò "che si prevede nelle leggi politiche, economiche, commerciali e marittime, che le nazioni cristiane hanno promulgato". Bisogna anche segnalare che la "Lei da Boa Razão" sanciva la fine dell'applicazione in via sussidiaria del diritto canonico nelle cause civili (modificando al riguardo le Ordenações) e, in ultimo, bandiva l'applicazione della Glossa di Accursio e dei commentari di Bartolo (che, come abbiamo visto, in base alle ordinanze filippine costituivano vere e proprie fonti sussidiarie)[v].
Per garantire il rispetto di questa normativa altamente innovatrice sulla applicazione del diritto stabilita dalla "Lei da Boa Razão", furono pubblicati nel 1772, ancora su ispirazione di Pombal, i nuovi statuti universitari. La riforma dell'insegnamento si adeguava perfettamente all'indirizzo della recente legislazione: introducendo come obbligatorio l'insegnamento delle idee giusnaturaliste e dell'usus modernus pandectarum[vi], favoriva il farsi strada di una nuova mentalità nelle nuove generazioni di giuristi, oppurtunamente predisposti alla comprensione del nuovo spirito che permeava la legislazione portoghese, per ciò che concerneva il metodo di interpretazione e di integrazione delle lacune[vii]. L'insieme di questi fattori, infine, sortì come effetto, più o meno diretto, la formulazione di ‘assentos doutrinais' da parte dei supremi tribunali del Portogallo - che i giudici inferiori erano tenuti ad osservare -, i quali si caratterizzavano per la grande preoccupazione di formulare principi generali in materia di interpretazione ed applicazione della legge vigente, facendo in modo che l'incidenza dell'usus modernus e, pertanto, l'applicazione della "Lei da Boa Razão", giovasse di una ampia penetrazione di stampo innovatore nella cultura giuridica portighese (e, pertanto, brasiliana).
In questo modo, se da una parte è vero che le Ordinanze rimasero vigenti in Brasile lungo tutto il secolo XIX, dall'altra non è meno vero che la loro applicazione, già verso la fine del Settecento, non può essere considerata immune dall'influenza del giusnaturalismo razionalista, che la plasmò e dipinse sulle tonalità illuministe.
Queste rappresentano le uniche forme di allontanamento della legislazione brasiliana dal modello originariamente seguito dalle Ordenações Filipinas: le vicende della cultura giuridica brasiliana a partire dalla sua indipendenza nel sec. XIX forniranno a questo già complesso quadro altri colori ancora, e allo stesso tempo lasceranno intendere perché i rapporti con ‘l'onda codificatoria', allora tanto in voga in Europa e nel resto dell'America Latina, assumesse qui un aspetto tanto peculiare.

BOA RAZAO – LEGGI DELLA RECTA RATIO e Statuti dell’Università di Coimbra

Sono frutti del riformismo

In Portogallo non matura un codice ma si assiste a un grande intervento del legislatore. Erano stati raccolti gli ATTI LEGISLATIVI del sovrano e nella penisola iberica nascono OPERE DI RACCOLTA e ORDINE delle leggi promulgate dai sovrani.
Le Siete Partidas, invece, sono un codice che raccoglie e arricchisce, che riformula, testi tratti da interventi legislativi, RISCRITTI in lingua CASTILLANA. Le Siete Partidas rappresenta infatti la PRIMA FORMULAZIONE DEL DIRITTO ROMANO IN UN’ALTRA LINGUA.

Le LEI DA BOA RAZAO, le leggi della buona ragione, sono circa 500/600, e impongono l’uso moderno del diritto romano nei Tribunali e nel paese. Rispetto alla Prussia, non ci si avvia a redigere un Codice, e non si territorializza il diritto. I giuristi devono usare il diritto romano, ma non più in modo medievale, ora in modo razionalistico. E’ un GIUSNATURALISMO APERTO, non chiuso come la Prussia. E’ un Diritto della RAGIONE, LEGGE DELLA BUONA RAGIONE.

Si inseriscono in questo contesto gli statuti dell’Università di Coimbra, fondata nel 1290, che impongono un insegnamento ispirato alla DEDUZIONE DA PRINCIPI. Non uno studio del sistema analitico, ma un sistema per DEDURRE DA PRINCIPI. Un uso moderno delle pandette, che viene imposto attraverso la scuola. Cambia quindi la formazione del giurista. La BOA RATIO SUPERA IL DIRITTO ROMANO. Gli statuti si allacciano e si rileggono razionalmente il diritto romano, che è un diritto naturale e ha quindi sbocchi diversi.

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Nota del Professore: all’esame farà tre o quattro domande, due sulla prima parte (documenti antecedenti a Giustiniano, es. XII tavole, e Codici Giustinianei) e due sulla seconda parte (Siete Partidas, Codice Prussiano etc.).
Inoltre dovremo fare prima dell’esame una esercitazione scritta, presentare una stesura degli appunti presi in una delle lezioni, su un argomento a scelta tra quelli trattati a lezione, in tre massimo quattro pagine, scritte in buon italiano, quindi attenzione a grammatica e sintassi. All’esame farà poi una domanda sull’argomento che avremo affrontato per iscritto. Dovremo usare un linguaggio semplice e potremmo usare altre fonti oltre agli appunti, citandole nel testo.

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(Lezione Schipani 20/02/2008)

Per analizzare i testi di Giustiniano si sono dovuti usare e analizzare i testi precedenti, poi Giustiniano con i suoi codici fissa un modello, e da allora per analizzare le opere si usa uno schema, così composto:

FONTE – OBIETTIVI – CARATTERI DELL’OPERA - DESTINATARI

Questo schema sarà quindi poi seguito anche per l’analisi di altri codici, in modo da poter effettuare anche un confronto fra loro.
I codici moderni contengono REGOLE, o meglio ENUNCIATI NORMATIVI, e tendono alla economia di questi enunciati. Anche Giustiniano cercò la brevità, ma i codici moderni rispetto a lui eliminarono la parte di ragionamento, eliminarono le ragioni per cui si arrivò a tale norma, non inserirono tutta la parte di elaborazione, che consentiva la verificabilità del ragionamento.
I codici moderni lo fanno solo in forma indiretta, con la terminologia, che fornisce elementi per decodificare, per capire il codice nelle sue logiche. C’è quindi una grande differenza tra Giustiniano e i codici moderni. E’ sempre una ricerca di brevità, ma molto differente.

Da notare che anche gli antecedenti di Giustiniano contenevano solo ENUNCIATI, come nell’Editto Perpetuo, che è il maggior esempio di elenco sintetico di enunciati brevi (con la forma se.... allora....). Quindi lo stile di puro enunciato si ritrova nei codici moderni. Le leggi municipali erano anch’essi semplici enunciati, ma più lunghi, prolissi, rispetto all’editto. Si sono viste nei secoli quindi tecniche diverse di compilazione, di codificazione.

Nei codici giustinianei ci sono invece considerazioni, discussioni, ragionamenti, una grande diversità con i suoi antecedenti e anche con i nostri codici.


(Lezione Schipani 05/03/2008)

Il codice civile generale per gli Stati tedeschi – ABGB – 1811
(Schema delle lezioni 4.2.2. e libro di testo)

Il Codice austriaco del 1811 o ABGB è il codice civile approvato nell'Impero Austro-Ungarico da Francesco II.
In Austria l'inizio della codificazione può essere fatta risalire al settecentesco Codex Austriacus, consolidazione del diritto del regno che si risolse in un’operazione di raggruppamento delle fonti che non aveva certo l’ardire di chiudere il sistema, ma lasciava ancora le porte aperte al diritto comune. Diretta derivazione di questo fu il più importante Codex Theresianus, la cui estensione e prolissità fu tale da sconsigliarne l'entrata in vigore. Il figlio di Maria Teresa d'Austria, Giuseppe II, riprese i lavori da capo e giunse nel 1787 ad emanare un primo libro del cosiddetto Codice Giuseppino (che entrò in vigore solo in Galizia) riguardanti alcuni principi generali di stampo illuministico, il diritto delle persone e di famiglia.
Il Codice austriaco del 1811 fu, invece, realizzato da giuristi quali Martini e Von Zeiller e fu il primo a non essere etero-integrale, che si promise cioè di non mettere soltanto ordine, ma che conteneva al suo interno una esplicita clausola di abrogazione delle fonti concorrenti fino ad allora in vigore. Più snello del codice napoleonico quello austriaco si articola in tre libri e in paragrafi, non in articoli: la partizione sistematica di Gaio viene corretta dalla distinzione kantiana (di matrice illuministica) tra i diritti della persona e i diritti sulle cose, a loro volta distinti in diritti reali e diritti obbligatori. Il terzo libro riguarda invece le disposizioni generali sulla costituzione, modificazione ed estinzione dei rapporti giuridici. Le enunciazioni introduttive contengono le disposizioni preliminari che verranno parzialmente copiate dai codici successivi. In esso ritroviamo grande attenzione per il ruolo della ragione come antidoto al problema delle lacune e dei nessi logici (sono i primi accenni al ruolo dell’interpretazione), si fa inoltre esplicito riferimento all’analogia, come strumento per esprimere e cogliere il senso naturale della legge, da alcuni considerata come l’anticamera del ritorno a tutto ciò che si è tenuto fuori dal codice. E ciò, in effetti, lo si arguisce anche dagli istituti introdotti o conservati nel codice, che non rompevano adeguatamente con la tradizione giuridica del passato: si pensi al fedecommesso, prassi risalente al feudalesimo e fortemente limitativa della libertà testamentaria, che stonava assai con il principio di equità ed uguaglianza. Per quanto atteneva il trasferimento della proprietà dei beni si distinguevano due modi di intendere il problema: non bastava il solo accordo (il consensualismo era principio tipico del Code Napoléon), ma era necessario un accordo materiale (traditio: gli effetti traslativi si verificavano cioè con la consegna della cosa). Per il trasferimento della proprietà si rese necessaria la trascrizione- costitutiva -nelle tavole (intavolazione), ovvero in appositi registri, come avviene ancora oggi in Südtirol. Per quanto concerneva il diritto di famiglia e, in particolare, il matrimonio si discusse molto nella Commissione e alla fine si decise, che, se in Francia esso figurava come contratto revocabile come qualsiasi altro, esso sarebbe rimasto un sacramento e, per questa ragione, irrevocabile e indissolubile. Alle comunità religiose minoritarie venne consentito un regime speciale. Il codice fu poi esteso al Lombardo-Veneto e vi restò in vigore fino al 1859 in Lombardia e al 1866 in Veneto.

Dopo le varie frammentazioni, dovute alle invasioni barbariche, riappare nell’800 con l’incoronazione di Carlo Magno un tentativo di riunificare l’impero, e il relativo diritto, e nell’anno 1000 poi come sappiamo riprende vita anche lo STUDIO del diritto romano.
L’IMPERO indica convenzionalmente una UNITA’, una struttura politica UNICA, che unisce varie entità nazionali, diverse nazionalità, nonostante la divisione storica dell’impero d’Oriente e d’Occidente. L’idea di impero unificatore e di unico diritto porterà negli stati tedeschi a istituire nel 1495 il TRIBUNALE CAMERALE IMPERIALE, che rappresenterà il massimo grado di applicazione del diritto dell’impero.

Il diritto applicato fu il DIRITTO ROMANO, ritenuto valido e applicabile sia perché era appunto il diritto imperiale, ma anche per la sua concretezza e autorevolezza consolidata, tanto che lo applicarono e utilizzarono anche degli stati che non riconobbero invece l’impero.

In Germania il diritto romano fu recepito fondamentalmente attraverso due canali:

· l’organizzazione dei tribunali ecclesiastici e i loro processi
· il notariato

poi anche attraverso le università, ma più tardi.

Il nesso fra la Chiesa latina e il diritto romano era fortissimo, si ricorreva ai vescovi e ai tribunali ecclesiastici per risolvere questioni anche laiche, e i giuristi ecclesiastici avevano una sviluppatissima razionalità nel giudicare, usavano una tecnica razionale, fondata su prove, su documenti, su testimonianze, non sul giudizio di Dio. Erano esperti di elevata tecnicità e usavano la concretezza del diritto romano.

Il notariato contribuì alla ricezione del diritto romano in Germania perché nei loro documenti si trovavano clausole di origine romana. I notai per tradizione e per ragioni connesse alla loro professione conservano documenti anche molto antichi, sono per loro natura conservatori, e quindi avevano formulari romani ancora validi e utilizzati, magari non più attuali, ma che conservavano traccia del diritto romano.

Alla fine del 1300 nascono le università di Praga e Vienna, nelle quali arrivarono a studiare moltissimi studenti, in particolare i figli delle famiglie borghesi benestanti, che facevano un grande investimento sia economico che di tempo, per i loro figli, perché il corso di studio era molto lungo (8anni). Ne uscivano DOTTORI, e potevano intraprendere carriere come consigliere di alto livello per la nobiltà, incarichi di governo, professori, giudici, arbitri. Nasce quindi un filone di esperti di diritto di estrazione borghese, che conoscono e usano una tecnica razionale di diritto romano, che va ad affiancare gli esperti di diritto consuetudinario, gli SCABINI.

Lo scabino in epoca medievale era un membro del corpo di esperti nel diritto legislativo e consuetudinario dal quale si traevano i componenti del collegio che, su richiesta del conte o dei missi dominici, pronunciava un giudizio, poi fatto proprio dal conte o dai missi con la formale emanazione della sentenza. Formalmente gli scabini non erano giudici in senso proprio ma "trovatori di sentenze" (urteilfinder); peraltro, quando la fattispecie concreta sottoposta al loro giudizio non era prevista da alcuna norma, erano autorizzati a giudicare secondo equità ("ut rectum visum fuerit") creando essi stessi la norma, donde il nome legumlatores con il quale erano anche conosciuti.
Gli scabini erano nominati dai missi dominici e potevano avere giurisdizione su una contea (scabini de comitatu, in numero di sette o otto) o sul villaggio in cui risiedevano (scabini de vico).
Evoluzione dei racinburgi, gli uomini liberi che nel sistema giudiziario dei Franchi affiancavano il giudice sottoponendogli la sentenza da pronunciare, gli scabini si diffusero in Europa con l'Impero carolingio e furono introdotti anche in Italia nei secoli VIII e IX.
In seguito furono detti scabini anche taluni magistrati o giudici istituiti dai comuni medievali. A Marsiglia, ad esempio, a partire dal XVII secolo, lo scabino, eletto dalla borghesia cittadina, aveva un ruolo paragonabile all'attuale sindaco.

Poiché quando si diventava dottori si accedeva anche ad un primo grado di nobiltà, si istituirono quindi i cavalieri per nascita e per scienza, cosa che portò nel 1495 a prevedere i 16 componenti del Tribunale imperiale divisi in 8 nobili (per nascita) e 8 dottori (per scienza). Successivamente si impose anche ai nobili di studiare il diritto, altrimenti sarebbero stati sostituiti da elementi borghesi con il titolo accademico.

Il diritto applicato era quello consuetudinario, ma che doveva essere provato per iscritto dalla parte che voleva farlo valere, e, in assenza, il diritto romano. Quindi o per volontà delle parti il diritto delle consuetudini provato, o il diritto romano sussidiario.

Il Sacro Romano impero germanico finirà con Napoleone nel 1806 che farà rinunciare l’imperatore tedesco al titolo, e il codice verrà poi emanato nel 1811, ma all’avvento di Napoleone il processo di elaborazione del Codice austriaco era comunque già molto avanti, quindi si può considerare frutto dell’impero austriaco.

Gli antecedenti del codice – il progetto di Maria Teresa, il Codice Teresiano.

Maria Teresa d'Asburgo, arciduchessa d´Austria (Vienna, 13 maggio 1717Vienna, 29 novembre 1780), era moglie dell´imperatore del Sacro Romano Impero, regina d'Ungheria e di Boemia, duchessa di Parma e Guastalla, duchessa di Piacenza. L'unico figlio maschio di Carlo VI e di sua moglie Elisabetta Cristina di Braunschweig-Wolfenbüttel, Leopoldo Giovanni, era morto bambino nel 1716. Tuttavia già tre anni prima l'imperatore aveva decretato, con la Prammatica Sanzione del 1713, che il diritto di successione nel titolo imperiale dovesse essere riconosciuto anche alle figlie femmine, in mancanza di eredi maschi - benché egli stesso fosse divenuto imperatore succedendo al fratello Giuseppe I, che era morto lasciandosi dietro soltanto due figlie femmine.
Maria Teresa fu proclamata imperatrice nel 1740, alla morte del padre Carlo VI.
La validità del decreto, tuttavia, dipendeva dal consenso di tutti gli altri monarchi che facevano parte dell'impero - consenso che nessuno rifiutò esplicitamente, all'inizio, ma che fu rifiutato nei fatti, fra gli altri, dal duca di Baviera e da Federico II di Prussia (supportati da Francia e Spagna) al momento della morte dell'imperatore.
La guerra durò 8 anni, dal 1740 al 1748, e si concluse con la pace di Aquisgrana. Un importante aiuto nella lotta per il consolidamento del suo potere giunse dalla nobiltà ungherese (tradizionalmente in conflitto con i sovrani asburgici), che fornì uomini e mezzi (in particolare i reggimenti di ussari).A guerra finita Maria Teresa ricompensò l´Ungheria con ampi privilegi ai suoi nobili e al locale clero, "donando" al paese danubiano la città di Fiume. Maria Teresa fu considerata una tipica "sovrana illuminata" grazie alle numerose riforme che attuò nell'Impero Asburgico durante il suo regno, durato ben 40 anni. Maria Teresa si basò sui principi del giurisdizionalismo. Divise i poteri finanziario e amministrativo da quello giudiziario, accentrò l'amministrazione statale in 6 dipartimenti e conferì ad un Consiglio di Stato il ruolo di coordinamento. Promosse inoltre la redazione del catasto, che sarebbe stato imitato in molti altri paesi, col quale si potevano tassare anche le terre dei nobili.
Nel 1774 introdusse l'istruzione primaria obbligatoria, e finanziò le spese della pubblica istruzione con i beni requisiti alla Compagnia di Gesù, soppressa qualche tempo prima. Diminuì i poteri del clero: la censura infatti passò nelle mani dello stato, l'Inquisizione venne gradualmente abolita, e fu vietato di prendere i voti monastici prima dei 24 anni.
L'imperatrice fece di Vienna una grande capitale culturale, e la corte era meta di intellettuali e artisti, fra i quali si ricordano i musicisti Haydn e Mozart, e i letterati Pietro Metastasio e Vittorio Alfieri.
Dal 1765 Maria Teresa associò al trono il figlio Giuseppe, che alla sua morte nel 1780 le succedette con il nome di Giuseppe II.

Nel 1766 Maria Teresa, allo scopo di superare il particolarismo giuridico e avere un diritto uniforme e accessibile, fece predisporre un progetto di codice (vedi FONTI Progetto di editto di promulgazione del codice teresiano), che non entrò mai in vigore, ma che risultò molto completo, e di contenuto molto vicino al diritto comune e derivato dall’uso moderno delle pandette, cioè dei codici di giustiniano. Aveva una visione più razionale, ma piuttosto fedele. Molto esteso, il progetto conteneva 8.000 articoli, e regolava in dettaglio tutto, risultando quindi alla fine molto prolisso. Scritto oltretutto in lingua latina, in un secolo in cui ormai le lingue nazionali si erano affermate come lingue più diffuse e usate, quindi e il latino era sì in uso nelle università e era considerato la lingua della scienza, ma visto l’obiettivo di diffusione del codice sarebbe stato preferibile farlo redigere in lingua nazionale. I manuali di giustiniano oltretutto erano stati tradotti in tedesco, quindi il progetto in latino non fu ritenuto molto valido. Fu più tardi anch’esso tradotto in lingua tedesca, attraverso una nuova stesura, una revisione e traduzione da parte di Azzoni nel 1753, ma non entrò comunque mai in vigore.

Alla fine del 1700 c’è comunque il grande passaggio alla lingua tedesca.

Christian Wolff (Breslavia, 24 gennaio 1679Halle sul Saale, 9 aprile 1754) è stato un filosofo tedesco.
Wolff fu il più eminente filosofo tedesco nel periodo tra Leibniz e Kant. La sua opera riguarda praticamente ogni aspetto della dottrina filosofica del suo tempo, esposta e spiegata con il suo metodo matematico dimostrativo-deduttivo che probabilmente rappresenta il picco della razionalità illuministica in Germania.
Wolff introdusse il tedesco come lingua scolastica e di ricerca, sebbene scrivesse spesso anche in latino, allo scopo di essere letto e compreso dagli studiosi internazionali.
Fu padre fondatore, tra l'altro, dell'economia e della pubblica amministrazione come discipline accademiche. In questi due campi ebbe particolare interesse, fornendo suggerimenti su argomenti pratici come il governo e sostenendo la natura professionale dell'istruzione universitaria. Sebbene fosse sostanzialmente un pensatore dell'Europa continentale, sia per la forma che per i contenuti, si dice che la sua opera abbia avuto un forte impatto sulla Dichiarazione di indipendenza americana

Karl Anton von Martini, professore di diritto naturale, allievo di Wolff, fu coinvolto nella redazione del codice e si deve a lui l’accento posto sulla

UNIFICAZIONE DEL SOGGETTO DI DIRITTO

e l’identificazione del titolare di diritti INNATI, comuni quindi a tutti gli uomini, il concetto di UOMO/PERSONA viene riformulato basandosi appunto sulla SOGGETTIVITA’ del DIRITTO, che collegata alla persona genera il SOGGETTO DI DIRITTO, unificato, unico. E in base a questo riformula anche gli altri concetti. La dottrina sviluppa poi questa unificazione, che distinguerà dal codice prussiano e avrà uno sviluppo alternativo rispetto alla Francia.

Come si evince dall’editto di promulgazione, il codice avrà come l’elemento centrale il benessere dei cittadini (vedi FONTI ABGB Editto sovrano di promulgazione), che è compito essenziale del monarca. E dovrà essere leggibile, conosciuto.

FONTI:
Il codice sarà quindi fatto da
· GIURISTI – con l’uso moderno delle pandette e secondo il filone della scuola del diritto naturale
· LEGISLATORE – l’imperatore austriaco (non più imperatore del sacro romano impero)

SCOPO: sarà il compimento dell’unificazione del diritto. Al quale si arriverà però anche attraverso altre RIFORME.

PRECEDENTI RIFORME (Schema delle lezioni 4.2.2.2)
Ci furono riforme sostanziali prima dell’emanazione del codice, su specifiche tematiche, che prepararono il terreno alla codificazione, riducendo le differenze tra i vari soggetti di diritto, aprendo e soprattutto superando le strutture feudali, e cosa importante arrivò all’uguaglianza e al nuovo assetto giuridico senza passare per una rivoluzione, come invece avvenne in Francia, anche se la rivoluzione incise di più delle riforme austriache sull’evoluzione degli stati europei.

I maggiori documenti rappresentativi delle riforme furono:

· EDITTO DI TOLLERANZA –Giuseppe II – 1781 diretto ai sudditi non cattolici, che fu il primo elemento di uguaglianza che vedeva le diverse persone come unici soggetti di diritto, il diritto in questo caso di esercitare liberamente la propria religione, e di poter poi accedere ai vari diritti, come quello di proprietà, possedere quindi terre, esercitare mestieri, etc.
· LEGGE MATRIMONIALE – 1783 che garantiva assoluta libertà matrimoniale, e eliminava ogni forma di influenza che avevano avuto i feudatari nelle scelte matrimoniali. Dà carattere di contratto al matrimonio, che entra quindi nella codificazione civile, con il rispetto però delle regole della Chiesa.
· LEGGE SUCCESSORIA – 1786 inizialmente ci sono regole diverse per i nobili, altre per i contadini, e altre per i borghesi. Queste ultime diverranno poi le regole generali e le altre diverranno invece eccezioni, quindi altro passo verso l’unificazione.
· DECRETO SUI FONDI RURALI – 1789 si scioglie con questo decreto il rapporto feudale, e i contadini diventano affittuari perpetui, con un canone. Uno schema contrattuale sostituisce quindi il precedente rapporto di dipendenza, tipicamente feudale.

1811 CODICE ABGB

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EDITTO DI TOLLERANZA IN AUSTRIA (1781)

Sua Maestà, convinta, da un lato, dei dannosi effetti causati dall’oppressione delle coscienze e considerando d’altra parte i grandi vantaggi che derivano alla regione e allo Stato da una vera tolleranza cristiana, con decreto del 13 Ottobre scorso, ha deciso di concedere ai protestanti della confessione elvetica e d’Asburgo così come ai greci separati l’esercizio privato della loro religione; solo la religione cattolica avrà prerogativa di esercitare pubblicamente il suo culto;ma le due religioni protestanti e la religione greca separata potranno esercitare il loro privatamente.
S.M. consente in particolare:
Che i sudditi non cattolici che si trovano in numero di cento famiglie, anche se non abitano nel luogo dove risiede il loro ministro, o nel quale si trova l’oratorio, e una parte di loro è da qualche lega di distanza da esso, possono recarsi all’oratorio più vicino purché sia situato sul territorio di Sua Maestà- che i loro ministri sudditi di Sua Maestà possono visitare quelli della loro fede, istruirle e amministrare i sacramenti ai malati
E’ loro (ai sudditi non cattolici) consentito di nominare propri maestri di scuola che saranno mantenuti a spese delle comunità. Essi tuttavia saranno soggetti all’ispezione della direzione scolastica qui stabilita per quanto riguarda il metodo e l’indirizzo dell’insegnamento.
S.M. permette agli abitanti non cattolici di scegliere i propri pastori , purché provvedano al loro mantenimento.
i non-cattolici in avvenire potranno acquisire, previa autorizzazione, i diritti di proprietà; di cittadinanza e di esercizio ed essere ammessi alle dignità accademiche e altre cariche civili; essi non saranno tenuti a nessuna formula di giuramento non conforme ai principi della loro religione.
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Caratteristiche tecniche del CODICE

È un codice CIVILE, non generale come quello prussiano, ed è infatti preceduto da un codice PENALE. Il modello è molto vicino a quello francese, ha un testo breve (1.502 articoli).
Il codice austriaco è SINTETICO, anche se ha uno stile meno sintetico di quello francese, ma molto più di quello prussiano, che è invece più prolisso. Il codice austriaco ha una formulazione agile e leggibile, elegante, ma sempre meno di quello francese, risulta alla fine un po’ più pesante. Il codice civile tedesco del 1900 risulterà molto più elegante.

Scritto nella lingua MADRE, in tedesco, mette il SOGGETTO al centro, e cita la PERSONA (vedi FONTI par. 16, ogni uomo è da considerarsi come una persona, e ha diritti innati), mentre il codice francese parla di CITTADINO. Principio molto importante, questo, il fatto di mettere al centro la PERSONA e non il CITTADINO, perché significa riconoscere all’essere umano dei diritti propri, a prescindere che sia cittadino dello stato o straniero, ed è un passo enorme verso l’uguaglianza. Per quanto riguarda lo straniero infatti, egli sarà trattato come i cittadini nazionali, avrà eguali diritti e obblighi, salvo quelli per i quali lo status di cittadino sia necessario, ma dovrà dimostrare però che nel suo paese di origine avrebbe avuto gli stessi diritti, e che non sarebbero stati discriminati gli austriaci, nel suo paese. E’ sancito il COMUNE GODIMENTO DEI DIRITTI CIVILI.

Il codice prende in considerazione anche la CONSUETUDINE e gli statuti locali (vedi FONTI par. 10), ma la subordina alla legge e prevede che sia applicata solo ove la legge stessa riporti alla consuetudine.

Per quanto riguarda la SISTEMATICA, il codice è diviso in tre parti (vedi FONTI Sistematica), e per le prime due segue lo schema classico delle Istituzioni di Giustiniano, e quindi di Gaio. Prima quindi LE PERSONE e di conseguenza la FAMIGLIA, poi la seconda parte sulle COSE (intese come categoria, difficile da organizzare sistematicamente, e viene spezzata la categoria delle cose incorporali), che è divisa in due sezioni, la prima disciplina i diritti reali e la seconda i diritti personali sulle cose. Per le COSE prevede azioni che richiedono la cooperazione di altri e azioni dirette sulle cose.
La terza parte sono le disposizioni comuni, la cosiddetta parte generale, che troviamo quindi alla fine, dopo aver elencato nelle prime due parti le disposizioni, alla fine indica quelle comuni (come si trova nel Digesto il Libro 50,17) e disciplina come si modificano, come si estinguono i diritti delle persone e i diritti sulle cose.

Quindi lo schema è:
PARTE I
Introduzione
Del diritto delle PERSONE (e la famiglia)
PARTE II
Sezione I - Diritti reali sulle COSE (es proprietà, pegno, servitù, eredità, testamenti)
Sezione II – Diritti personali sulle COSE (es. patti nuziali, donazioni)
PARTE III
Disposizioni comuni ai diritti delle persone e ai diritti sulle cose (garanzie, modificazioni, estinzione, prescrizione)


Mentre il codice francese mette la Proprietà e la Successione come MODI di acquisto del diritto sulle cose, il codice austriaco li indica come diritti reali sulle cose, li fa rientrare nelle obbligazioni in genere, come fonti di obbligazioni.

Mentre Gaio e Giustiniano nei diritti reali indicano la proprietà e poi via via gli altri, indicando per ciascun diritto reale i modi di acquisto, di ogni singolo bene, quindi viene esaminato il passaggio da un soggetto all’altro del singolo bene, quindi da tizio a caio la tale cosa, il codice austriaco esamina invece il RAPPORTO, il modo di acquisto per le COSE in blocco. Ad esempio la SUCCESSIONE, viene vista come un DIRITTO ALL’EREDITA’, e viene disciplinata guardando ad UN SINGOLO FATTO, la morte, che provoca il PASSAGGIO IN BLOCCO dei rapporti.

C’è disomogeneità nella sistematica per il trattamento delle cose, lo schema applicato è:

Diritti reali – Diritto sulla cosa (es. Successione, diritto all’eredità)
da cui nascono obbligazioni – che danno diritto ad azioni.


Di solito la sistematica presta più attenzione e pone l’accento sugli ATTI, sui FATTI che producono VICENDE giuridiche e agli attori, (es. atto-testamento, o altro esempio nell’editto perpetuo si parte da atti e delitti, dalle azioni), invece Wolff fa uno sforzo e mette una rara attenzione sistematica alle VICENDE dei rapporti giuridici, mettendole in luce.

Gaio aveva usato invece i TITOLARI dei RAPPORTI per dare una sistematica, parte dai titolari dei diritti, e aveva posto gli ATTI in secondo piano, da cui faceva derivare le vicende dei rapporti.

Esempio di sistematica gaiana:

PERSONA
che è titolare del DIRITTO DI PROPRIETA’
questo diritto come SI ACQUISTA o come si perde


Esempio di sistematica dell’editto, al contrario:

AZIONE per acquistare la proprietà
Diritto di proprietà
Titolare del diritto


Per esempio l’EREDITA’, può essere inquadrata sistematicamente come DIRITTO, o come VICENDA del rapporto giuridico nascente dalla SUCCESSIONE.

Le VICENDE DEL RAPPORTO GIURIDICO sono:

Ø COSTITUIRE
Ø MODIFICARE
Ø ESTINGUERE

E le modificazioni possono essere:
- SOGGETTIVE – relative al soggetto
- OGGETTIVE – relative al contenuto

La sistematica seguita, che presta attenzione principalmente alle VICENDE, non ebbe successo, ma è interessante osservare l’uso di criteri diversi per organizzare il diritto.

Nella prima parte quindi rientra la FAMIGLIA (intesa come realtà familiare, i rapporti familiari, personali, patrimoniali, le esperienze di vita), poi i DIRITTI REALI, e le relative OBBLIGAZIONI che nascono da VICENDE DEI RAPPORTI GIURIDICI, come la successione.
Questa sistematica non ha soddisfatto le prospettive, ma è un contributo alla costruzione di una parte generale, e l’opera di Wolff, anche se mediata dal suo allievo Martini, che fu coinvolto nella elaborazione del codice, merita attenzione per la sua particolarità.

E’ comunque un ottimo codice, tanto che vivrà per due secoli, anche se ha avuto scarso successo all’estero. E’ inserito in un sistema (vedi Schema delle lezioni 4.2.2.3.2), che comprendeva altra legislazione in materia di commercio e penale, e un regolamento giudiziario.

Entrò in vigore il Italia nel 1815, nel Lombardo Veneto, e vi rimase fino al 1865, quando l’Italia per il suo primo codice preferisce il modello farncese. Il codice austriaco fece da ponte tra il codice napoleonico e il codice italiano del 1865.
(Lezione Schipani 12/03/2008)

LA CODIFICAZIONE ITALIANA PREUNITARIA (Schema delle lezioni 4.3)

Verso la fine del 1700 si avverte una stanchezza metodologica della scuola del diritto naturale, che addirittura si esaurirà nel 1800. Si arresta quindi l’attività di elaborazione del nuovo, ma avrà due sviluppi interessanti:
· una filone di dottrina sul codice francese
· il rinnovamento della scienza giuridica tedesca che porterà alla pandettistica

L’Italia per quanto riguarda la scienza giuridica è in fase di stallo, in quanto è occupata a realizzare l’unità del paese e solo alla fine del 1800 riprenderà l’attività vera e propria. Non c’è quindi rinnovamento giuridico fino all’arrivo di Napoleone con le sue truppe, e fino al 1796 si userà il diritto comune, basato sul particolarismo giuridico di natura medievale con un rilancio però del diritto romano come diritto sussidiario, come in altre parti d’Europa. Con Napoleone arriva in Italia il clima della rivoluzione e del ripensamento del diritto.

Nascono due progetti di codice, in Italia: uno nella repubblica romana, predisposto da Daunu, e uno nella repubblica cisalpina, predisposto da De Simoni, giurista italiano che vive in un clima culturale di origine austriaca, permeato dall’uso moderno delle pandette, vicino alla scuola del diritto naturale, che però già arrivato ad un uso più consapevole della codificazione giustinianea. De Simoni redige il progetto sulla linea di una mozione di Lamberti, che ne da le direttive.

Il progetto viene poi dato in revisione a Pompeo Signorini, giurista toscano, nato nel Granducato di Toscana, che rispetto al Piemonte, più orientato alla Francia, era più orientato alla cultura giuridica dell’impero austriaco, come lo era anche il Lombardo-Veneto (anche Francesco II, futuro imperatore austriaco, era nato in Toscana, ma si era poi formato a Vienna).

La Repubblica Cisalpina venne creata il 29 giugno 1797 ad opera del generale Bonaparte su quella che era la "giovane" Repubblica Cispadana (nata il 9 gennaio 1797). Ad essa venne unita la Repubblica Transpadana (ex Ducato di Milano) il 9 luglio dello stesso anno. La capitale della Repubblica fu stabilita a Milano Il territorio della repubblica nella sua massima estensione era formato dal vecchio Ducato di Milano (ex Repubblica Traspadana), dal Ducato di Modena e Reggio, da Bologna, Ferrara e Ravenna (ex Legazioni Pontificie), dai principati di Massa e Carrara, dal territorio di Mantova e dai territori veneti compresi tra l'Adda e l'Adige, tra cui Verona e Rovigo, e dalla Valtellina. La forma istituzionale dello Stato fu istituita nell'agosto 1796 e ricalcava pesantemente quella francese, si trattava della cosiddetto forma di governo direttoriale.
Il territorio venne diviso in dipartimenti, nei quali venivano eletti i giudici di pace, i magistrati e gli elettori, uno ogni duecento abitanti aventi diritto di voto. Questi ultimi eleggevano due consigli: quello dei Seniori e quello dei Giuniori. Il primo era composto da quaranta a sessanta membri ed aveva il compito di approvare le leggi e promuovere eventuali variazioni della Carta Costituzionale, il secondo invece era formato da ottanta a centoventi membri ed aveva il compito di proporre le leggi. I compiti comuni di entrambi i consigli erano l'approvazione dei trattati, la scelta di un Direttorio e la determinazione dei tributi.
Il Direttorio era formato da cinque ministri e rappresentava il potere esecutivo. L'autorità suprema rimaneva il comandante delle truppe francesi in Lombardia. Venne anche adottato il calendario e l'era francese. L'8 luglio 1797 venne emanata la Costituzione cisalpina, di contenuto moderato, modellata su quella francese del 1795. A capo del Direttorio furono posti uomini politici locali come il duca Gian Galeazzo Serbelloni e Francesco Melzi d'Eril, mentre nel corpo legislativo vennero nominati personaggi noti come i letterati Pietro Verri e Giuseppe Parini e scienziati come Alessandro Volta.

Nel 1798 (vedi FONTI 4.4) nell’ambito del primo progetto di un codice civile italiano, nella Repubblica Cisalpina viene approvata una MOZIONE, presentata dal membro del direttorio Giacomo LAMBERTI, che chiedeva la redazione di un codice unitario, facendo presente che nella repubblica esistevano al momento 400 statuti diversi, tra l’altro anche in contraddizione uno con l’altro spesso, che diventasse la base per tutti i giudizi civili e criminali. La stessa mozione domandava inoltre di mettere in osservanza il diritto romano, provvisoriamente, per tutto ciò che le leggi della repubblica non disciplinavano, quindi come diritto sussidiario. In quell’epoca erano già nati il codice ARL prussiano, che era un codice generale, e il progetto del Codice Teresiano, anch’esso generale, ma che escludeva il diritto criminale. Era già diffusa l’idea comune di CODIFICARE, tra chi voleva RINNOVARE il diritto. Il riferimento ai 400 statuti vigenti mette in risalto il particolarismo giuridico, con la sua enorme varietà di regole, contro cui operava l’idea di una maggiore libertà personale, politica ed economica. Obiettivo anche della rivoluzione francese, il benessere per tutti, in un mercato libero, e una unificazione del diritto. E’ in questo periodo che nasce l’economia politica, cioè lo studio di come lo Stato possa guidare e promuovere il benessere, come possa intervenire, attraverso un accentramento fiscale e di intervento nei vari settori di produzione.

L’idea di un diritto comune, inteso come diritto unificato, è funzionale allo sviluppo dell’economia, ma ci si chiede quale diritto? E’ la risposta è già nella mozione, il diritto ROMANO.

Don Alberto de' Simoni - illustre giureconsulto e filosofo, consigliere nella Corte di cassazione vantaggiosamente conosciuto per le dotte sue opere di giurisprudenza e legislazione. Nato a Bormio nel 1740, di nobile ed antica famiglia patrizia, insignita pure della nobiltà austriaca, fra le occupazioni degl’impieghi municipali e giudiziari in patria e in Valtellina e nell'esercizio della professione legale aspirò alla gloria di ridurre la giurisprudenza, massime criminale, ai suoi veri principi e di purgarla dalle inveterate abusive opinioni colla scorta della sana filosofia.

Il membro della commissione per il Codice, Alberto De’ Simoni, nel suo Discorso Preliminare al Progetto del Codice Civile per la Repubblica Italiana (vedi Fonti 4.4) fa rilevare che se non viene lasciato al giudice il “pregio di illuminare” e di interpretare le leggi, e quindi un potere discrezionale di decidere, si dovrà poi ricorrere troppo sempre al legislatore, che dovrà fare leggi per ogni controversia.
Un codice deve quindi regolare TUTTO o solo CIO’ CHE PER LO PIU’ ACCADE? Il frutto di una politica anti-giudici, che predica il togliere ai giudici l’arbitrio e quindi il potere discrezionale professata da Montesquieu, e che professa una netta divisione tra potere giudiziario e potere legislativo, ben distinti, e tra i due dare il potere di fare diritto solo al legislatore, fa presumere che la legge debba quindi prevedere tutto. Pensiero tipico dell’illuminismo giuridico, che al giudice fa solo DIRE la legge, APPLICARLA, e non farla, non interpretarla, e trovare analogie. Il giudice secondo questo pensiero dovrà quindi fermarsi ogni volta davanti a un caso non previsto, non disciplinato, ecco il motivo per cui alcuni codici risultano molto estesi, perché basati su questo principio di completezza inteso come disciplina di TUTTO, per non lasciare al giudice spazio di giudizio.
Il De’ Simoni evidenzia la necessità di lasciare al giudice il potere di interpretare e, guidato dall’interpretazione dottrinale, anche un potere discrezionale, quindi propone che la legge preveda solo CIO’ CHE PER LO PIU’ ACCADE.
L’interpretazione, ecco il nuovo RUOLO DELLA SCIENZA GIURIDICA, che rimane esterna, estranea agli interessi in gioco, ma offre uno SCHEMA per decidere e per interpretare la legge. La dottrina studia e critica in caso le decisioni sbagliate, dà indirizzi interpretativi.
La decisione del giudice comunque non varrà per altri casi, ma solo per quello concreto a lui sottoposto in quel momento.
De Simoni nel suo discorso cita anche l’ANALOGIA (criterio già citato addirittura nell’Editto Perpetuo, che permetteva di applicare azioni contenute nell’editto a casi non previsti, ma appunto di analogo contenuto). Cita come fonte le Leggi Romane, con i loro contenuti di equità e giustizia, e propone l’uso di questo diritto romano comune facendo presente che già altre nazioni, altri popoli, lo usano come diritto sussidiario.

C’è quindi un capovolgimento nel modo di usare le leggi, perché con gli statuti, così dettagliati e particolari, non si poteva applicare il criterio dell’analogia, lo statuto andava strettamente applicato, non dava adito a interpretazioni estensive né ad applicazioni analogiche.

Ecco quindi la polemica tra TEORICI, che hanno studiato il diritto romano comune, il mos italicus, e i PRATICI, che si basano sulle regole statutarie, e che professano una codificazione di TUTTO il diritto, particolareggiato, che vogliono usare il legislatore per risolvere le questioni, non l’interpretazione e l’applicazione analogica, vogliono usare il diritto che già si conosce, già regolato.

Tra il filone naturale e dell’illuminismo giuridico e il filone del mos italicus e dell’uso moderno delle pandette De Simoni propone di far prevalere il futuro codice, con il diritto romano come sussidiario,che indica la via per stabilire poi la legge. C’è una crescita del ruolo dello Stato, una affermazione di un diritto comune, di tutti, ma con produzione statale.

Il progetto di De Simoni viene quindi poi revisionato da Pompeo Signorini, che nel suo discorso preliminare (vedi FONTI 4.4) conferma il ruolo sussidiario e suppletorio del diritto romano.

In Francia Napoleone come noto accentra i poteri nelle sue mani, tra cui quello legislativo, fa un codice e gli dà il suo nome. Vista la rilevanza e la portata di questo codice francese, il progetto di De Simoni viene abbandonato, e viene adottato ALLA LETTERA il Codice Napoleone. Tanto che viene redatto in forma trilingue, italiano francese e latino.

I CODICI DEL REGNO D’ITALIA
(schema delle lezioni da 4.3.1 a 4.3.2.5)

Taglioni fu il giurista che per primo fece un’opera di commento al nuovo codice, al suo uso, e lo fece articolo per articolo. Discute e affronta ogni questione, confronta il codice con le dottrine romanistiche e trova un tessuto di continuità tra i prammatici e il nuovo codice, si rende conto che il codice è lo sbocco delle linee, delle tendenze maturate nel tempo fino a quel momento, e che è un codice a base romanistica. Collega quindi il codice napoleone con le opere romanistiche.
Un’altra opera, di Dupin, collega il diritto romano, sempre alla base, con il diritto canonico, il diritto francese e il diritto austriaco, vede il punto di arrivo della elaborazione dei principi romanistici.
Nascono poi molte altre opere che mettono a confronto i vari codici

Nel 1815, caduto il regno napoleonico, nel Lombardo Veneto viene adottato e entra in vigore il Codice Austriaco, e viene fatta una traduzione dal tedesco in italiano.

Nel resto dell’Italia invece si segue un’altra linea. Nel 1819 entra in vigore il Codice del Regno delle due Sicilie, un codice unitario.

Quindi SISTEMA ROMANO che diventa BASE per i vari CODICI, e a seguito dell’emanazione dei codici nascono OPERE di CONFRONTO tra codice e sistema romano.

Durante la RESTAURAZIONE non cambiano i codici civili che sono stati emanati nei vari paesi, cambiano magari il nome, ma non il contenuto. Il diritto civile ha infatti un TEMPO DIVERSO di vita rispetto alle vicende politiche istituzionali, non coincide con i cambiamenti, può sopravvivergli e durare di più. Può vivere di più in quanto è legato e relativo alle VICENDE SINGOLE dei cittadini, più che alle vicende politiche. Infatti come abbiamo visto gli schemi giuridici del diritto romano hanno una vita lunghissima, attraversano i secoli, riemergono nei codici, e non sono più in concorrenza con i principi medievali, che erano chiusi, il diritto romano di base rivive, riemerge, e attraverso il nuovo diritto civile guida scambi commerciali e la vita quotidiana dei cittadini, è di nuovo diritto comune, nel senso di usato dalla comunità. Ha quindi vita estremamente lunga, e nei secoli risulta a volte attenuato, messo in ombra, come successo nel medioevo, ma sopravvive e riemerge con i codici moderni.
Quindi accanto a trasformazioni politiche significative c’è invece continuità di schemi giuridici. Per fare un esempio, dopo che fu offuscata nel medioevo, soppiantata dalla proprietà collettiva tipica dei barbari, la proprietà unitaria, il suo schema giuridico, viene recuperato, ripensato e modernizzato, ma resta di fondo quello romano di base. Attraverso quindi i cambiamenti istituzionali e politici si ribadisce la stabilità degli schemi di diritto civile.

Nella Restaurazione il matrimonio (e la famiglia), è un punto molto sensibile, e la condizione giuridica della PERSONA essendo al centro, diventa punto di partenza (già il modello austriaco non privava il diritto civile della regolamentazione del matrimonio).

Il Codice di Parma Piacenza e Guastalla del 1820 è un’anomalia tra i codici moderni. Non contiene il codice del commercio, cosa probabilmente dovuta ai prevalenti rapporti agricoli di quell’area, e ai pochi rapporti commerciali, quindi una non necessità impellente di regolare commerci. Un’altra interpretazione dice che la mancanza del codice di commercio va imputata a una unificazione concettuale dei due diritti, civile e commerciale, ma non sembra una teoria attendibile. E’ più facile che siano le ragioni economico-sociali che abbiano portato a non definire in quella zona un codice di commercio.

Nel 1828 nasce invece il Codice FELICIANO, in Sardegna. Non è un codice di matrice francese, è un po’ anomalo. Vale solo per la Sardegna ed è emanato dal RE FELICE. Molto legato alle istituzioni medievali, quindi attento alle consuetudini locali. Non contiene una distinzione tra nobili e clero, come invece fa il codice prussiano, non è codice di uno stato moderno, assoluto, centralizzato. Esce dal panorama complessivo delle codificazioni. E’ in vigore fino al 1848/1849, quando avviene la fusione tra Sardegna e Piemonte.

In Piemonte vige già il Codice Albertino, detto anche “di Sardegna”, perché il nome seguiva l’ordine dei titoli del re, quindi il codice era il codice del regno di sardegna, di piemonte etc. ma per brevità si indicava solo quello che veniva per primo. Quindi il nome non indica il posto dove era applicato, ma piuttosto una abbreviazione di tutti i territori indicati nel titolo del Re. Anzi in Sardegna in realtà non viene applicato per i primi dieci anni, si insedia solo dopo i moti borghesi locali, promossi appunto dalla borghesia che ai fini di incrementare i commerci vuole poter circolare più liberamente e chiede quindi l’adozione del codice che con il suo contenuto favorisce i commerci, e ad essere annessi ad un regno più grande, per poter essere cittadini di un regno più grande, salire in gerarchia, avere più importanza. Chiedono quindi loro attraverso i moti l’annessione, la fusione con il Piemonte. Cessa così la validità del Codice Feliciano e entra in vigore il Codice Albertino anche il Sardegna.

Il primo progetto del Codice Albertino è del 1832, approvato nel 1838. E’ scritto in italiano, ma viene insegnato ancora in latino, i manuali istituzionali su cui si studia sono ancora in latino. Il passaggio all’italiano come lingua ufficiale per gli studi avverrà nel 1841.

Il Codice Albertino, come già altri, non è quindi una novità, contiene il rinvio ai Principi generali del Diritto per le questioni non disciplinate. Federico II diceva invece che il codice (prussiano) doveva regolare tutto, e predicava quindi il dominio del legislatore, in caso di dubbio. Invece il RINVIO, contenuto nel codice albertino, aveva poi due sbocchi:
Ø RINVIO ad una rilettura del codice stesso, quindi un rinvio RESTRITTIVO (secondo i pratici)
Ø RINVIO ai principi generali, già del diritto romano (secondo i teorici)

In Toscana, nel Granducato, come abbiamo già visto, si era più orientati a Vienna, non viene adottato il codice austriaco, ma viene recepito uso moderno delle pandette, tipicamente tedesco. (vedi schema delle lezioni 4.3.2.5)

Lo Stato Pontificio non emana una codice, ma una dettagliata legislazione (vedi schema delle lezioni 4.3.2.6)


Per fare un bilancio delle CODIFICAZIONI, va rilevato che il diritto romano RIEMERGE attraverso le codificazioni, per far fronte all’esigenza di superare il particolarismo giuridico, e la necessità di tornare a un diritto comune, eliminando le istituzioni medievali, e ostacolare sempre più gli influssi “PARTICOLARI” nella pratica, accomunando il più possibile le regole di vita dei cittadini.

Altro aspetto peculiare della codificazione è l’attenzione alla PERSONA, e una necessità di RECIPROCITA’, un universalismo nei confronti della persona, una concezione universale della persona come titolare di diritti INNATI, che nasce libera ed è per sua natura soggetto di diritto (concetto che solleva problematiche come il riconoscimento degli indigeni come persone alla scoperta dell’America, come abbiamo visto).

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