mercoledì 21 gennaio 2009

Diritti fondamentali

Diritti fondamentali Nov 7

Diritti fondamentali nel diritto naturale e nelle convenzioni internazionali. Cerchiamo di capire qual è l’oggetto di questo lungo titolo. Innanzitutto è fondamentale la distinzione tra diritto naturale e diritto positivo. Per diritto positivo (jus positum) si intende il diritto posto dall’ordinamento giuridico, dal legislatore. Per diritto naturale (jus gentium) si intende il diritto delle genti, comune a tutti, che lo stato riconosce perché preesistente alla normazione. Corrisponde all’ontologia, alla natura dell’uomo. Il diritto alla vita, alla salute, sono diritti fondamentali dell’uomo, che vengono riconosciuti, e non posti dallo stato. C’è un rapporto stringente tra la norma e la realtà delle cose. Kant era solito dire che le leggi di oggi sono la morale di domani. Il contesto della società si abitua a tal punto della norma da ritenerla l’unica ipotesi possibile. A Singapore è vietato per esempio sputare per terra: la pena prevista è la fustigazione, fatta con una lunga bacchetta di legno particolare; tre colpi comportano un ricovero di tre mesi, dieci colpi l’invalidità permanente. La legge in certi momenti della storia è stata utilizzata fortemente al punto tale che si è arrivati a pensare che il diritto positivo potesse rappresentare l’orizzonte ultimo dalle cose, prescindendo da un principio ultimo di verità. La vita è un diritto sicuramente riconosciuto o che deve essere riconosciuto dagli stati. Ma negli Usa, in occasione dell’elezione, ci sono stati al contempo 42 referendum sull’argomento “vita”. Si rimetteva nelle mani del popolo l’impossibilità di trovare una convenzione che sigillasse un rapporto condiviso in tema vita. Tuttavia non sempre la soluzione felice per le questioni di questo genere è nel compromesso. Nel nostro caso il compromesso è la legge. La legge è il riflesso del compromesso perché le leggi sono fatte dal parlamento, e il parlamento (luogo del politico) vive di compromessi. Il sale della vita politica è il compromesso. La ricerca dell’accordo, il dialogo, è una esperienza che conosciamo perché viviamo in una cultura pluralista. Il diritto positivo non garantisce la verità della cose perché è fondato sul compromesso, sul dialogo e sui discorsi logici staccati dalla realtà. Dal punto di vista del diritto positivo potrei produrre delle norme assolutamente perfette ma che trascendono completamente il cuore o l’essenza delle cose. Ad esempio tutte le legislazioni che ritengono che la vita non inizi dal concepimento prescindono dal giudizio di valore. Per esempio le istituzioni europee hanno consentito di recente le ricerche sulle cellule staminali embrionali, prelevati dall’embrione. Tutto l’aspetto normativo conseguente a questa decisione si produce su un giudizio di valore sottaciuto: l’embrione non è vita o comunque non è vita personale o non è vita personale umana o è un accenno di vita che poco vale. Allora solo da un dato giorno in poi possiamo ritenere che quella è una vita e quindi essere sottoposta agli obblighi di legge, cioè il riconoscimento dei diritti. Ma se non c’è la persona non ci si sente obbligati a riconoscergli i diritti. O il diritto naturale è una favola o il diritto positivo è il più straordinario degli strumenti messi a disposizione del potere. Quando Hitler scrive il Mein Kampf scrive pagine encomiabili. Dice che l’uomo è una creatura affascinante, ma qualche pagina più avanti dice che gli ebrei non sono persone ergo devono essere uccisi. La logica è un sistema per cui con determinate premesse si raggiungono certe conclusioni. Un’espressione logica famosa è quella aristotelica che postula l’esistenza della natura umana: i cavalli hanno quattro zampe, l’ippopotamo anche, il cavallo e l’ippopotami appartengono al genus dei quadrupedi. Non tutti i quadrupedi sono ippopotami ma tutti gli ippopotami sono quadrupedi. Questo processo logico è rispettoso della realtà. Se invece procedessimo dicendo che tutti gli esseri con due gambe sono umani e considerassimo l’andatura della scimmia come bipede allora erreremmo poiché non ragioneremmo in palese contrasto con la realtà delle cose. Altro esempio: la bottiglia viene creata perché più agevolmente distribuisce le razioni d’acqua in un modo di servizi. Può essere usata per bere o può essere usata per malmenare una persona. Nell’ultimo caso si nega lo scopo dell’oggetto, cioè la ragione per cui la bottiglia è una bottiglia e non è un manganello (quella che Tommaso chiama la quidditas rei materialis della bottiglia). Finché parliamo della bottiglia i problemi non sono molti. Ma qual è la natura dell’uomo, il suo scopo? Se diciamo che la natura dell’uomo è la sua libertà (ed è già un elemento importante), un sistema sociale e politico che toglie all’uomo la libertà è una violenza. Quando diciamo che la dittatura impedisce agli uomini di essere se stessi diciamo una cosa vera. Se c’è un ambito in cui le leggi funzionano benissimo è proprio la dittatura. Se c’è un periodo della storia in cui c’è ordine esso vede governare una dittatura. Se la natura dell’uomo è anche amore come deve essere organizzata la società per esprimere con amore la propria natura? E come deve essere fatta la politica e le leggi? Le leggi possono avere un carattere positivo, cioè di convenzione tra le forze della società, ma se il diritto positivo, se questa convenzione è svincolata dal rapporto con la natura, ci addentriamo in un corpo circuito logico che vede l’uomo come unico perdente. L’uomo ci perde e si perde perché non ritrova più il fondamento di se stesso, la sua natura. Nell’arco della storia del mondo l’uomo ha indagato con la ragione partendo dall’evidenza delle cose. Lo scetticismo è quella corrente filosofica che dice che la realtà è un sogno e che l’unica realtà di cui possiamo essere sicuri è il nostro pensiero sognante. Questa corrente nasce nella Grecia antica e subito si crea contrasto tra gli scettici e coloro che invece affermano che la realtà esiste ed è conoscibile. Lo scettico più famoso è un tale Pirrone. Socrate, che credeva che la vita avesse un senso e lo ricercava discutendo con i suoi allievi, si prende a braccetto Pirrone e comincia a camminare con lui. Socrate dice di essere molto interessato alle teorie scettiche e parla con Pirrone. Camminano e giungono fino a ridosso di un dirupo. Socrate si avvia verso quel dirupo. Quando Pirrone si accorge che Socrate non si fermava e lo teneva a braccetto con lui, si rivolge a Socrate dicendogli: “Socrate, dove mi porti? Mi porti a morte certa”. E Socrate: “Qual è il problema, se la realtà è un sogno?”. Pirrone se ne viene fuori con un sofisma dicendo che nel sogno sarebbe morto. La verità è che Socrate, in quel momento, afferma l’intenzionalità della realtà. La realtà è evidente, e non possiamo ignorarla o far finta che non esiste. Il principio di evidenza è quello che esiste nella natura delle cose. Quando nei libri del Deuteronomio si scrive che l’uomo ha la capacità di distinguere il bene dal male si vuole intendere che ogni uomo ha dentro di sé un cuore, un complesso di evidenze ed esigenze che forma la natura dell’uomo. L’uomo riconosce la verità delle cose e questo suo libero arbitrio permette alla fine di non essere sottoposto a tutte le implicazioni dell’ambiente. Anche in un posto dove ogni giorno viene detto che gli ebrei non sono uomini (come è successo in passato o come potrebbe succedere oggi contro ogni uomo qualsiasi) l’uomo ha la possibilità di andare a vedere se è vero. Così, allo stesso modo, è possibile verificare se veramente la persona che ho di fronte è la persona giusta per me. Se non c’è il cuore, con cui noi possiamo giudicare la realtà e verificare la verità, lo strumento della legge altro non è che lo strumento che ci impedisce di essere noi stessi. Nietzsche ha fortemente approfondito questo passaggio: dice che la legge è uno strumento enorme e che non esistendo Dio (o meglio, essendo morto) l’uomo è costretto a fare i conti con questo fatto di essere totalmente immanente alla realtà. Se tutta la realtà è solo quella che vedo, io dipendo solo dal potere, ossia da chi ha in mano questa realtà che vedo. Se la realtà va oltre quello che vedo, io posso entrare in relazione con questo essere e comprende meglio la realtà che vivo. Un punto fuori dalla realtà al quale io sono legato è la verità della mia vita. Lo sforzo che l’uomo deve affrontare per la comprensione della natura sta nella scoperta del fatto che l’uomo non è soltanto viscere, ma è anche altro trascendente. Il problema del diritto naturale è che esso postula fin dall’inizio il problema di Dio. Se la realtà ha un senso, allora anche la manifestazione più disperata dell’umanità ha un senso. Noi per convenzione viviamo in un contesto che ha rifiutato la pena di morte, ma perché l’abbiamo rifiutata? Si può rifiutare la pena di morte se il serial killer va in galera, altrimenti perché si dovrebbe difendere un uomo che uccide continuamente tra la popolazione? Il problema di quello che poniamo in essere come atti normativi è totalmente ricompreso al fondamento delle cose stesse. Se c’è la verità allora vale la pena organizzare le cose in un certo modo. Se la verità non c’è perché dovremmo preferire una convenzione piuttosto che un’altra? Allora il fatto che preferiamo una convenzione rispetto ad un’altra sembra riflettere solo dalle circostanze storico-politiche, dal costume. Quarant’anni fa ci scandalizzava per adulterio; oggi (ahinoi) non più. Quarant’anni fa c’era un problema di buon costume; oggi il costume è molto cambiato. Ma questo in Italia: se oggi una donna passeggia per Il Cairo vestita in maniera occidentale corre il serio rischio di essere bastonata dalle altre donne egiziane. Nella convenzione sociale, se non c’è il riconoscimento della verità, vale tutto. Il nesso tra le convenzioni che facciamo (diritto positivo) e il fondamento di diritto delle cose stesse (la natura) non deve essere mai ignorato. Se l’uomo vuole trovare la verità deve porre sotto indagine tutto quello che il mondo dice e valutarne la sua coerenza con il cuore, con la realtà dei fatti. Es.: un professore del liceo punisce un ragazzo per un fatto da lui non commesso. Il ragazzo cerca di dimostrare che non è vero, ma il professore insiste ed esegue la punizione. Il ragazzo in quel momento ha una esigenza forte di giustizia. E può soddisfare questo suo impeto di giustizia in molti modi: può parlare con il professore, può vendicarsi verso il professore etc. La libertà del ragazzo gli permette di agire in vari modi. Ma quale sarà l’azione più corretta? Sarà quella che nel miglior modo sa soddisfare l’esigenza più profonda di giustizia. Avere un punto di appartenenza esterno alla realtà non vuol dire allontanarsi dalla realtà ma vuol dire saperla leggere nel modo migliore. Altro esempio: se vuoi vedere meglio la flora e la fauna del mare, è necessario che usi una maschera. Con la maschera la realtà marina viene vista e compresa molto meglio. Il lavoro che ogni uomo deve compiere e avere tra le mani quel mezzo, quella “maschera”, che permette di leggere la realtà nel modo migliore. Questa esperienza, per essere condivisibile da tutti, prende il nome di norme, di leggi. Quelle leggi che devono essere chiamate a tutela della nostra esperienza dell’umano. Non si può per ogni atto umano discutere se sia buono o no, ma per convenzione si stabilisce che ogni caso simile deve essere tutelato nella stessa maniera. Non si può, ogni volta che nasce un bambino, affrontare il tema della sua tutela, ma si sancisce, sulla base di una originaria riflessione, che esso debba essere nutrito, educato e cresciuto. Per questo si scrive una norma con tale contenuto. Il portato delle leggi, anche quelle più antiche, se conserva un aggancio con la realtà, è utile e serve alla società. Diversamente, se non è agganciata con la realtà, crea problema: subisce più l’influenza del potere del momento che della realtà. Le antinomie esistenti tra diritto naturale e diritto positivo si basano sul rapporto tra natura e cultura. La cultura è il complesso di usi, credenze e tradizioni di un popolo. La natura umana è una; le culture sono molteplici. Ciò che appare scontato per la natura non avviene per certe culture. Nessuna cultura, così come nessuna legge, si sottrae al confronto con la natura, con il cuore di cui parlavamo prima. Perché allora in certe culture si affermano nel tempo delle cose talmente radicate da sembrarci “naturali”? Oggi ci mostriamo scandalizzati per la considerazione della donna in certi luoghi del mondo (burqa in Afghanistan). Ma viviamo nella stessa società italiana che 35 anni fa vedeva la struttura familiare patriarcale. Che cosa vuol dire questo? O siamo capaci di stabilire che la natura della donna è inferiore a quella dell’uomo oppure c’è stata una situazione culturale che ha determinato nel tempo questa convenzione. La sharia, la legge islamica, nata su una impostazione religiosa concepita come fatto normativo, dice con molta chiarezza che la donna deve essere sottoposta all’uomo. Lo dice fondandolo teologicamente, cioè affermando che questo sia il volere di Allah. Ma nella cultura dei vari paesi musulmani si arriva a delle vere e proprie aberrazioni. Visitando “le carceri” del Sudan il professore ha visto che l’80% dei carcerati sono donne. Come è possibile? Quello non era un carcere, ma una grande area determinata da un muro in calce biancastra all’interno del quale c’erano migliaia di persone. Molte in terra, molte in piedi. Proprio perché la donna è sottomessa all’uomo, vige il principio del ripudio: l’uomo può mandare via la donna quando vuole, se si ritiene danneggiato dal suo comportamento. In alcune situazioni non è nemmeno importante che la donna lo sappia. Quella donna non solo perde i suoi diritti, ma perde la possibilità di avere un sostentamento, perché in quel paese le donne non possono lavorare. Per mangiare la donna contrae il debito. Se il debito supera un certo valore, le donne sono incarcerate. Per andare a processo, la donna deve saldare il debito. Il professore ha trovato donne in “carcere” per 40 anni. Nel rapporto tra natura e cultura è evidente che spesso e volentieri la cultura non sia umana, rispettosa dei diritti dell’uomo. Se si prende in considerazione il principio relativista, si deve accettare quella realtà. Ma se c’è un fondamento di verità, dobbiamo affermare che il mondo deve pur pendere da una parte, che riconosce cosa fare nella tutela della persona. Il mondo deve porsi il problema di giudicare tutto, comprese le religioni. Nella religione cristiana Cristo dice di essere Dio, e ciò deve essere verificato da chi crede. Cristo, nel proporre questa esperienza, ha sovvertito tutte le leggi perché le leggi si organizzano intorno a una convenzione. Una convenzione salta nel momento in cui c’è un fatto nella storia che può fare a meno di tutte le convenzioni possibili. Gesù, che si siede nella polvere e scrive i peccati di tutti, costringendo ognuno a paragonare il proprio cuore con la norma che si voleva applicare alla donna adultera, fa saltare tutte le convenzioni. Il giudice non agisce così: ha i suoi codici e deve amministrare la giustizia con un po’ di buon senso. Cosa ha di diverso Gesù, chiamato nella Bibbia “l’ultimo giudice”? Ha l’asso nella manica. Può permettersi una tale sovrabbondanza di giudizio perché è l’unico che non è definito dal proprio male. Il problema del rapporto tra natura e legge è il rapporto che c’è lo strumento e il fine. Le leggi sono uno strumento: ci servono nel momento in cui abbiamo un fine. Se non abbiamo un fine le leggi non ci servono a nulla, anzi diventano un impedimento. Se l’uomo non ha una sua natura cosa vuol dire affermare che siamo tutti uguali? E se io sono più intelligente, o ricco? Su cosa si basa il presupposto che dobbiamo vivere in una società che deve dare pari opportunità a tutti quanti? Immortale è l’immagine di Alberto Sordi che si rivolge al Marchese del Grillo: “Io sono io e voi non siete un c...o”. Questa espressione, così cinica, dice una verità enorme: non siamo mica uguali. Siamo uguali nella dignità, se questa dignità, questo scopo è riconosciuto. Altrimenti le leggi sono solo un freno per i deboli, perché il forte delle leggi può fare a meno. L’uomo che nel villaggio Western diceva “la legge sono io” si basava su quel presupposto: con la forza delle armi poteva imporre le sue condizioni. Tutto, nel rapporto tra istituzioni e politica, legge e potere, gerarchia della libertà umana e libertà della gerarchia umana, si fonda su questo. Se viene meno l’esperienza umana, se non si riconosce la natura, tutto è relativo, e il potere si può organizzare come vuole. Abbiamo parlato di cultura. C’è una deformazione della cultura, molto pericolosa, che si chiama ideologia. L’ideologia è causa del corto circuito tra ciò che è nella realtà e ciò che ne prescinde. Per esempio, quando Pol Pot (uomo intelligentissimo, ha studiato alla Sorbona a Parigi) prende il potere in Cambogia, fa fuori due milioni di persone. Tra quelli che fa fuori decide di far ammazzare quelli con gli occhiali perché immagina che questi abbiano studiato e siano stati quindi “contaminati” da una cultura diversa da quella marxista o leninista. L’ideologia è un modo di rapportarsi alla realtà prescindendo dalla realtà stessa. Non guardo come tu sei, ma ti immagino come io vorrei che tu sia, e se non sei come io voglio ti distruggo. Questo accade per Pol Pot, per Hitler, per Stalin e Lenin. Il problema dell’uomo nuovo (che non c’è nella realtà) c’è anche nell’esperienza della relazione affettiva. Quando si dice “mi sono innamorato di te” non ci si innamora della persona, ma dell’immagine di quella persona. Se nel rapporto non sei come io ti voglio, si rompe. Si cerca di trasformare la persona come la si vorrebbe. Quante volte uno fa pesare il fatto che l’altro non è come egli vorrebbe! Anche il quel caso il problema è lo stesso: la natura delle cose si scopre solo andando a vedere come le cose stanno, solo vincendo un approccio ideologico, che prescinde dalla realtà. Per tornare al tema di fondo, la relazione che quest’anno dobbiamo comprendere è quella relazione tra il diritto di natura e diritto positivo, prima di tutto nella storia. Oggi quale è il luogo in cui, più che in altri consessi, si celebra questo conflitto tra diritto di natura e diritto positivo? Sono quei contesti normativi che regolano la vita degli uomini, cioè le Convenzioni Internazionali. Esiste la Dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo del 10 dicembre del 1948 voluta dall’ONU. Quella dichiarazione corrisponde veramente ai problemi e al modo di essere dell’uomo dei nostri tempi? Esiste la Dichiarazione dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. C’è poi la Convenzione di Pechino e del Cairo sulla salute riproduttiva della donna. Descrivono veramente quello che la donna è e come bisogna organizzarsi nel mondo perché sia fino in fondo se stessa? Tenete presente ad esempio che quella del Cairo postula l’azione di profilassi voluta dagli ultimi 30 anni dall’ONU che fissa come obiettivo lo strumento della sterilizzazione forzata delle donne dei paesi più poveri. E’ pensabile che il problema della curva demografica dei paesi ricchi sia pagata dai paesi poveri? Il problema è a un livello tale che il problema degli embrioni si può capire così. L’ideologia si inventa un uomo che non c’è. Oggi abbiamo un livello di ideologia che non ha bisogno neanche un uomo che non c’è: lo fa. Oggi la tecno scienza è in grado di produrlo. Il livello raggiunto è talmente alto per cui dall’ideologia di immaginare l’uomo ariano di Hitler si è passati oggi alla possibilità di realizzare l’uomo con gli occhi azzurri, capelli biondi, alto tot, etc. Siamo su una variante dell’esperienza del’umano per cui se la norma non centra con forza il punto della questione, nel migliore dei casi è inutile. Si sono rivelate inutili le leggi sul fine vita nel caso di Eluana Englaro. Qual è la vita vera? Lo stabilisce la legge, il papà, la natura, la chiesa, Dio? E’ fondamentale capire se le norme cogenti servano allo scopo ultimo di realizzare la libertà e la natura dell’uomo. Si faranno ancora delle lezioni teoretiche, per andare a fondo dei concetti di natura, cultura, sviluppando il contenuto di alcune riflessioni. Si farà una parte più tecnica di analisi e sviluppo cogente dei fondamenti e i problemi storici verificatisi nell’organizzare le più rilevanti convenzioni internazionali che regolano la vita dell’uomo contemporaneo. Sarete capaci di analizzare e quasi produrre un testo normativo di quel livello. Un aspetto del lavoro sarà capire come nascono quel tipo di testi.

Diritti fondamentali Nov 17

Testi:

- capitolo quarto della parte prima del libro di Vari (pag. 69 – 95) sulla tutela del concepito e la legge sulla procreazione medicalmente assistita. Tutela del diritto alla vita del concepito sulla carte internazionali;

- Contro il Cristianesimo di Scarrafia Roccella

- Dio d’Europa di Mario Mauro

Quando abbiamo parlato delle costituzioni contemporanee abbiamo detto che esse sono il tentativo più sofisticato posto in essere per codificare il diritto naturale. L’archetipo delle costituzioni contemporanee è la costituzione della Virginia del 1776 con cui, proprio in una prospettiva di diritto naturale, si cercava di codificare quelli che sono i diritti fondamentali per la realizzazione della persona, mettendoli per iscritto, imponendo il loro rispetto di fronte a tutti i poteri costituiti. L’idea della costituzione come legge superiore che si impone al legislatore è una idea antica, ma nei tempi moderni viene ripresa dalle colonie americane. I coloni, partiti dalla madrepatria Inghilterra, prima di andare si rivolgevano alla regina per domandare quali fossero i propri diritti. La regina redigeva una carta che faceva da legge principale su cui basare la colonizzazione di quel determinato territorio. I coloni andarono e queste carte diventavano una sorta di accordo che non era possibile modificare da parte del potere costituito. Questa tradizione dell’immodificabilità ha una influenza determinante nel momento in cui le colonie cominciano a staccarsi dalla madrepatria. Progressivamente le colonie si danno le proprie costituzioni ricalcate sull’idea che ci siano diritti che nessun titolare del potere costituito può toccare. Nascono così le costituzioni contemporanee che si impongono come documento superiore rispetto allo stesso legislatore. Questa prospettiva è diversa rispetto a quella della rivoluzione francese, nella quale il legislatore è onnipotente perché esprime l’autorità della nazione, cioè la borghesia. Questa tradizione francese dell’onnipotenza del legislatore si perpetua ancora oggi al punto tale che in Francia non c’è un controllo successivo di costituzionalità. Il controllo di costituzionalità (fatto dal Conseille constitutionel) è sempre preventivo. Non è un caso che proprio nella tradizione anglosassone, che prevedeva la supremazia della carta, nasca l’idea della giustizia costituzionale. Basti ricordare la sentenza Marbury vs Madison americana. Per la prima volta si afferma, in epoca “post rivoluzione francese” cioè contemporanea, l’idea che la costituzione sia superiore e si impone a rispetto di tutti i poteri costituiti. Questa è la tradizione anglosassone (britannica e americana). Sul continente la tradizione culturale è particolarmente diversa. Per il costituzionalismo francese la legge, in quanto volontà del parlamento, esprime la volontà della nazione, cioè la classe borghese, e pertanto la legge è la fonte per eccellenza. Questa è una semplificazione, ma serve. La prospettiva secondo la quale i diritti naturali sono tutelati a livello di diritto interno entra in crisi con i disastri prodotti dalle due guerre mondiali. Dopo questi disastri si afferma l’idea che non è più sufficiente, per garantire i diritti elementari della persona, la prospettiva del diritto interno, ma è necessario affermare la garanzia di questi diritti su scala planetaria. Le vicende drammatiche della Seconda Guerra Mondiale dimostrano come la tutela dei diritti garantiti dalle costituzioni nazionali non è sufficiente se tutti gli stati non si accordano e anche essi garantiscono su scala mondiale la tutela di quei diritti. Fino alla Carta di San Francisco gli stati nazionali, in posizione di parità nella comunità internazionale (superiorem non recognoscentes), godono del c.d. ius belli: ciascuno stato poteva, a proprio piacimento, muovere guerra nei confronti degli altri stati. La guerra è la condizione peggiore per la tutela dei diritti fondamentali. Dopo la seconda guerra mondiale si afferma l’idea, codificata nella Carta di San Francisco (a fondamento dell’ONU), che gli stati non sono liberi di muovere guerra gli uni agli altri ma possono soltanto dar vita a una guerra che abbia carattere difensivo. Nell’immediato dopo guerra si capisce da un lato che la garanzia dei diritti sul lato interno è inefficace se si permette di dichiarare guerre senza presupposti. In realtà, fino alla pace di Westfalia, l’imperatore era ancora un’entità superiore agli stati nazionali. Di conseguenza non esisteva questo diritto di muovere guerra gli uni verso gli altri. Era il Papa colui che poneva le condizioni per le quali una guerra poteva essere considerata legittima. Venute meno queste due autorità gli stati si ritrovano in condizioni di parità e ognuno gode del diritto di muovere guerra all’altro. Il primo tentativo, fallito, di unificare le nazioni fu quello della Società delle Nazioni. Si avverte la necessità di far sì che la comunità internazionale riconosca l’esistenza di certi diritti. Nascono così queste “Carte sovranazionali” accettate dai singoli stati che mettono per iscritto quelli che sono i fondamentali diritti dell’uomo. Si cerca di codificare il diritto naturale. Tutto il dibattito nella scienza giuridica si può ricondurre in maniera complementare a due posizioni: una legata alla prospettiva del diritto naturale (dal diritto romano); l’altra legata alla prospettiva positivistica (è legge ciò che il legislatore pone). Nel dopo guerra si toglie allo stato lo ius belli e si cerca di codificare i più elementari diritti dell’uomo, garantiti dagli stati. Nel diritto interno lo stato ha una costituzione che garantisce i diritti ma, qualora non lo avesse o la garanzia non fosse perfetta, esistono dei diritti proclamati a livello sovranazionale. Nasce in questa prospettiva la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948). Nell’ambito dell’ONU vengono promossi dalla seconda metà degli anni ’60 i Patti Internazionali dei diritti civili e politici e i Patti Internazionali sui diritti sociali, culturali ed economici. Nell’ambito della Carta dell’ONU sono promossi due patti che costituiscono una specificazione dei principi della dichiarazione dell’ONU. Il sistema sovranazionale di garanzia dei diritti da un lato con la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e questi patti internazionali. Ai patti è stata data esecuzione con legge in Italia. L’ONU, oltre questi patti, promuove una serie di dichiarazioni particolari. Ad esempio la Dichiarazione sui Diritti del Fanciullo. Successiva alla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo è anche la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e le Libertà fondamentali che viene firmata a Roma il 4 novembre 1950. Siamo nell’ambito di un’altra organizzazione sovranazionale, il Consiglio d’Europa, formato da molti stati europei. Si firma questa convenzione a cui viene data esecuzione in Italia nel 1955. Questa convenzione è di grande interesse perché prevede una corte (la Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha sede a Strasburgo) che è competente a verificare che i singoli stati rispettino le prescrizioni previste nella convenzione e, da una certa data in poi, i singoli hanno il diritto di adire questa corte per lamentare violazioni da parte di uno stato dei diritti garantiti dalla convenzione europea. Terzo pilastro è rappresentato dal sistema comunitario e in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nell’ambito del sistema di integrazione economica si è progressivamente sviluppato un filone, prima della giurisprudenza della Corte di Giustizia (a partire dalla fine degli anni ’60), poi attraverso la dichiarazione congiunta degli organi della comunità (durante gli anni ’70-’80), per cui i diritti fondamentali costituiscono un patrimonio proprio del diritto comunitario, che il diritto comunitario è tenuto a rispettare. Questo processo di costituzionalizzazione e scrittura dei diritti fondamentali nell’ambito del processo di integrazione europea giunge a più compiuta maturazione con questa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che viene elaborata alla fine degli anni ’90 e viene proclamata a Nizza nel dicembre del 2001. Le vicende di questa carta sono particolari perché la carta, attualmente, è priva di valore giuridico. Questa carta costituisce, anche nell’intenzione dei suoi redattori, una ricognizione di quelli che sono i diritti fondamentali come elaborati dalla giurisprudenza della corte di giustizia delle comunità europee e dai singoli atti normativi comunitari che ne garantiscono l’attuazione. La Carta di Nizza è tuttavia priva di valore vincolante. E’ stata inserita nel Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa (ottobre 2004) ma a ciò è seguito il no referendario di Francia e Olanda. Questa carta, pur non avendo valore giuridico ma semplice valore ricognitivo, è stata applicata da giudici della corte di Appello di Milano nel 2002. La corte di Giustizia, pur formalmente proclamando che la carta non ha valore vincolante, moltiplica i richiami ad essa nell’ambito della propria giurisprudenza. La cita come se fosse in vigore. Nel trattato di Lisbona è previsto che, nel momento in cui il Trattato di Lisbona entra in vigore, la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea avrà lo stesso valore giuridico dei trattati. La carta è stata anche ritoccata. Riassumendo, è stata redatta nel 1999-2000, proclamata del 2001. Siccome non riusciva ad entrare in vigore, è stata rivista e proclamata a Strasburgo. E’ stato previsto nel Trattato di Lisbona che avrà pari valore dei trattati. Tuttavia il processo di entrata in vigore del trattato di Lisbona si è arrestato perché l’Irlanda ha votato contro la ratifica del trattato di Lisbona. Siccome è previsto che i trattati che modificano i trattati fondativi della Comunità europea si approvino ad unanimità, tutto il processo ora è fermo.

I tre pilastri che dobbiamo conoscere sono:

- Onu e dichiarazioni ad esso collegate: Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948) a San Francisco, i Patti Internazionali dei diritti civili e politici, i Patti Internazionali sui diritti sociali, culturali ed economici (patti internazionali)

- Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (con il tribunale che prende il nome di “Corte Europea dei diritti dell’uomo” che ha sede a Strasburgo)

- Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il cui giudice è sostanzialmente la Corte di Giustizia delle comunità europee che ha sede a Lussemburgo

Le carte dell’ONU hanno valenza mondiale. La CEDU e la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea riguardano solo il continente europeo. Per gli altri continenti ci sono altre carte. Per esempio per l’America Latina c’è la Carta Interamericana sui diritti dell’Uomo.

La Corte di Giustizia di Lussemburgo ha una funzione peculiare perché assomma in sé le funzioni della corte di cassazione e della corte costituzionale. L’accesso diretto è molto limitato. L’accesso più frequente è quello in via incidentale. Nell’ambito di un giudizio dinanzi a uno dei giudici degli stati membri sorge un incidente legato all’applicazione di una norma comunitaria (pregiudiziale comunitaria). Questo incidente può riguardare sia la legittimità del provvedimento dell’atto comunitario sia soprattutto l’interpretazione che di quell’atto comunitario bisogna dare. In Italia manca un riconoscimento pubblico delle forme di convivenza diverse dalla famiglia fondata sul matrimonio. In Germania c’è un sistema di riconoscimento pubblico delle convivenze omosessuali. In Germania la famiglia e il matrimonio sono tutelate dalla Carta suprema. La corte costituzionale tedesca era stata chiamata a occuparsi della questione e aveva affermato che queste convivenze non violano l’affermazione della costituzione perché le forme di convivenza sono cosa diversa dalla famiglia fondata sul matrimonio. Succede che due persone dello stesso sesso che avevano fatto una convivenza affermano che questo trattamento diverso dal matrimonio è contro alcune norme di diritto comunitario che prevedono che il lavoratore debba avere una pensione di reversibilità. Il giudice sospende il giudizio e pone la questione alla Corte di Giustizia. Il ricorso diretto alla Corte di Giustizia è una fattispecie estremamente rara e complessa. La corte di giustizia interviene per sindacare la legittimità degli atti comunitari ma soprattutto su richiesta delle istituzioni comunitarie. Il quadro è molto complesso. Rispetto a questo sistema sovranazionale di tutela dei diritti ci sono due approcci:

a) quello entusiasta, il quale afferma che più ci sono giudici più si riesce a garantire il singolo (costituzionalismo irenico).

b) quello realista, che afferma che la moltiplicazione di diritti a livello sovranazionale può per certi versi andare bene, ma nel momento in cui le carte costituzionali nazionali sono più garantiste, c’è il rischio di un centralismo che stravolge le identità culturali degli stati che aderiscono a questi trattati.

Questa visione entusiasta è estremamente ottimistica e dà un’importanza enorme al ruolo del giudice. In questa prospettiva si è parlato di un costituzionalismo multilivello: i diritti fondamentali che un tempo trovavano garanzia solo a livello statuale oggi trovano tutela a più livelli. In Italia il diritto di difesa è tutelato all’art. 24 della costituzione, in Europa dall’art. 6 della CEDU. Un singolo diritto trova una tutela multilivello. Altri autori, tra cui Mauro, Luciani, hanno un approccio estremamente perplesso verso questa evoluzione. In paesi come l’Italia e la Germania le carte costituzionali elaborate nel secondo dopoguerra sono quasi ovunque di carattere rigido, perché si impongono al legislatore. Prevedono una disciplina analitica dei diritti fondamentali. Queste carte invece hanno un contenuto estremamente vago. Se si legge il contenuto della CEDU e della Carta di Nizza si trova una disciplina molto meno garantista rispetto a quella prevista dalle costituzionali nazionali, tanto è vero che la CEDU e la Carta di Nizza prevedono una clausola per cui se un diritto è maggiormente tutelato a livello interno rispetto alla garanzia offerta dallo strumento sovranazionale, prevale la maggiore garanzia offerta dallo strumento interno. La garanzia della libertà di espressione sancita dall’art. 10 CEDU è rapportata ad altri diritti che il legislatore oppone alla libertà di manifestazione del pensiero. La CEDU prevede che all’art. 10: “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere e di comunicare informazioni o idee senza inferenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. […] L’esercizio di queste libertà può essere sottoposto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza nazionale l’integrità territoriale o l’ordine pubblico …”. L’art. 10 della CEDU prevede che la libertà di espressione può essere ristretta dal legislatore per tutelare il bene e la sicurezza dell’ordine pubblico. La garanzia della libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano è molto più ampia. L’art. 21 è molto più garantista. In caso di necessità di tutelare l’ordine pubblico nel nostro ordinamento, l’ordine pubblico non può mai prevalere sulla libertà di manifestazione del pensiero. Secondo la CEDU invece sì. Allora la garanzia interna è molto maggiore rispetto alla garanzia sovranazionale. Questo è un caso ma ce ne sono tantissimi nei quali la disciplina prevista dalla costituzione interna è molto più garantista rispetto alla convenzione internazionale. Questo avviene perché queste convenzioni internazionali, anche la CEDU, nascono con l’intento di riconoscere con funzione ricognitiva, il minimo comune tra paesi profondamente diversi. Tra gli stati membri del Consiglio d’Europa troviamo stati che non hanno quasi tradizione democratica. La stessa Carta di Nizza è nata come fonte ricognitiva ed è stata redatta nel periodo in cui si pensava che sarebbe stata prossima l’adesione della Turchia nell’Unione Europea, al fine di garantire un minimo di garanzie. Da un lato le costituzioni nazionali sono più garantiste. Sotto un altro aspetto la prospettiva irenica trascura il fatto che le costituzioni nazionali, e la costituzione italiana nel nostro caso, prevedono un accurato bilanciamento nella tutela di determinati diritti. A dare concreta realizzazione a questo bilanciamento è chiamato il legislatore. Per esempio la libertà di riunione in pubblico (art. 17 Cost.) è garantita se senz’armi ed è vietata solo in caso di sicurezza o incolumità pubblica. Questo equilibro, nella costituzione italiana, è chiaro per molti diritti. Il legislatore ha il compito di attuare la decisione costituzionale. Nella CEDU questo equilibrio è molto meno definito. Ci sono proclamazioni di diritti in forma assoluta e limiti in forma assoluta. Trovare poi il bilanciamento tra due diritti che si scontrano è molto difficile. Mancando un legislatore il bilanciamento è chiamato a farlo il giudice. Ma un primo problema che si pone è che il parametro per il giudizio è vago. Maggiore è la vaghezza del parametro maggiore è l’arbitrio di chi giudica. Più la norma è chiara più la garanzia è maggiore. La garanzia sottesa alla certezza del diritto è il principio di eguaglianza. Inoltre, quando il parametro è vago, il giudice non applica più la legge ma svolge una funzione politica. Per tutto l’ottocento s’è detto che l’applicazione della legge è un sillogismo (se A allora B). Questa idea del sillogismo è una forzatura. C’è un margine in cui giudice porta la sua qualità di uomo. Tuttavia una cosa è giudicare con la propria esperienza di vita, un’altra è svolgere una funzione che non gli è propria. Se il parametro è vago il giudice non applica più la legge ma crea una norma. Ciò pone un terzo problema: nel momento in cui il giudice sceglie la norma da applicare il giudice svolge una funzione politica che non gli è propria perché la funzione politica, nelle democrazie, la svolge il parlamento. Il parlamento è l’organo che esprime la rappresentanza popolare. I rappresentanti del popolo stabiliscono la regola che deve valere in tutti i casi. Dopodiché il giudice ha una funzione radicalmente diversa. Il giudice non ha una legittimazione democratica, bensì tecnocratica. Il giudice non deve scegliere la norma, ma è chiamato ad applicare la norma in situazioni di terzietà, indipendenza e imparzialità. Il che vuol dire che se tutto il popolo italiano, sulla base di un’onda emozionale, si convince che un certo imputato sia colpevole, ma in realtà, in base a un giudizio tecnico, non risultano gli elementi per i quali il legislatore prevede la condanna, il giudice non deve dare ascolto alla coscienza sociale ma il giudice deve applicare la norma anche in contrasto con la coscienza sociale. La sentenza giusta non è la sentenza che accontenta la maggioranza degli italiani ma è la sentenza che applica la norma generale ed astratta in modo imparziale. La decisione politica deve essere presa dall’organo rappresentativo che esprime la volontà popolare. E’ opportuno che il giudice sia imparziale e indipendente perché solo così si garantisce il principio di eguaglianza e la volontà della legge. Cicerone dice appunto che “legum omnes servi sumus ut liberi esse possumus”. Il giudice, proprio per la funzione che ha nel sistema, deve essere distaccato da tutto ciò. Il giudice non decide sulla base degli umori della piazza. Non è chiamato a svolgere la funzione di dar voce alla coscienza sociale, compito che è invece del parlamento. Tutto questo perché i rischi di un approccio legato al costituzionalismo irenico multilivello è quello di svuotare di significato la democrazia per affidare la scelta ai giudici. Luciani mette in luce come una comunità non può delegare le scelte sulle decisioni che la riguardano in maniera determinante ai giudici. Una comunità, riguardo le scelte fondamentali, deve prendere le scelte per proprio conto, e non può delegare il compito ai giudici, a prescindere dal merito della vicenda. La drammaticità e l’attualità di questo discorso emerge con forza proprio adesso in occasione della vicenda di Eluana. Il procuratore generale della corte di cassazione ha detto che il ricorso è inammissibile. In subordine, se il ricorso è ammissibile, è fondato. Se è così il procuratore stesso si accorge che la sentenza è sbagliata ma non c’è nessuno legittimato a far valere questa invalidità. Ciò dà l’idea della situazione allucinante in cui stiamo: se il tutore e il curatore speciale sono d’accordo, si stacca il sondino. Il che è una follia. In una comunità democratica le decisioni le prende il parlamento. Queste convenzioni a cui ci si richiama e, se vogliamo, anche l’applicazione diretta dei principi costituzionali da soli non sono sufficienti. Nell’art. 2 della costituzione la repubblica riconosce i diritti inviolabili. Di questa disposizione si danno due interpretazioni:

- a fattispecie chiusa: i diritti inviolabili sono quelli che la costituzione dice essere inviolabili

- a fattispecie aperta: i diritti inviolabili sono quelli che la coscienza sociale ritiene diritti inviolabili, anche se non sono scritti in costituzione

E’ prevalsa in giurisprudenza l’interpretazione dell’art. 2 come norma a fattispecie aperta. Ma che cosa è la coscienza sociale? E’ per tutti uguale? Questa moltiplicazione dei diritti fatta in forza dell’art. 2 in realtà è pericolosissima perché introduce in un sistema ispirato alla certezza della norma e del diritto margini di arbitrio impressionanti. Quando il giudice deve fare applicazione diretta di queste norme il giudice si inventa la norma, come è avvenuto nel caso di Eluana. Aldilà di come la si pensi, il problema è che il giudice, dopo 16 anni, si sta inventando la norma (con norme positive che dicono tutto il contrario). Per concludere, il richiamo a queste convenzioni e principi, nel momento in cui prevale sulla norma penale, mette in capo all’applicatore della norma un potere politico enorme.

Diritti fondamentali Dic 1

Qual è il diritto che costituisce la premessa per il godimento di tutti gli altri diritti? E’ il diritto alla vita. Sul piano logico Alimena fa notare come la precondizione per il godimento dei diritti è il godimento del diritto alla vita. Se il diritto alla vita non è tutelato non è tutelato il godimento di nessun diritto. Altra chiave di volta del sistema è la dignità. La dignità è un concetto che nella costituzione italiana è data per presupposta. Viene citata all’art. 3 e all’art. 41. In un ordinamento così garantista come quello tedesco, la dignità assume un valore fondamentale. All’inizio della costituzione c’è la proclamazione dell’inviolabilità della dignità dell’uomo. Anche nella Carta di Nizza sulla dignità si costruisce tutto il sistema. Ma quello che è più importante è capire come il diritto alla vita sia la precondizione per il godimento di tutti gli altri diritti.

Per chi crede nell’esistenza del diritto naturale tra diritto e morale c’è un legame molto stretto però non tutto quello che è moralmente corretto deve essere oggetto di prescrizione giuridica (questo lo diceva anche S. Tommaso). La Chiesa Cattolica è contro l’omosessualità tuttavia non chiede che penalmente lo stato punisca l’omosessualità. Chiede che alle coppie omosessuali non sia dato il rilievo pubblico che si dà al matrimonio. Non tutto ciò che è costituisce una violazione della regola morale automaticamente deve costituire violazione della regola giuridica. Il Magistero è pieno di regole che riguardano solo la morale, in relazione alle quali non si chiede, per fortuna, l’applicazione di una norma di diritto. Questo perché le liberaldemocrazie riconoscono al singolo una sfera di libertà. Dopodiché la libertà può essere esercitata in senso moralmente buono o cattivo, però lo stato non può obbligare le persone ad esercitarla in un senso moralmente buono. La costituzione italiana, dove riconosce la libertà di salute, garantisce anche la libertà di non curarsi. Se ho un problema ad affrontare un’operazione chirurgica lo stato non mi può obbligare a operarmi. Moralmente può essere sbagliato, ma giuridicamente tutto ciò non ha conseguenza. Lo stato riconosce a tutti la libertà di scegliere l’istituto dove svolgere i propri studi ma non può obbligare le persone allo studio. Lo stato garantisce una sfera di libertà ed è giusto che il diritto riconosca la libertà di curarsi o non curarsi. Diverso è che chiedere l’aiuto per essere uccisi, o chiedere di essere uccisi. Però giuridicamente è opportuno che ciascuno sia libero di decidere se curarsi o no con quella terapia. La tutela giuridica ha una radice morale, checché se ne dica. Le costituzioni del secondo dopoguerra proclamano molti principi che hanno una innegabile radice etica. La radice di tutti questi principi si ritrova nel cristianesimo. I positivisti fanno uno sforzo immenso per non riconoscere questi principi. Innegabile che queste norme abbiano una origine etica. Ma non possiamo pretendere che ogni comportamento che provveda allo sviluppo dell’uomo sia giuridicamente imposto. Anche nelle religioni è lasciata la libertà. Se sono compos mei e non voglio farmi operare non esiste strumento che mi obblighi. Il medico non può intervenire contro la libertà del paziente. Che moralmente sia sbagliato siamo d’accordo, ma l’ordinamento non può obbligare le cure. Ci sono casi in cui inoltre l’eventuale imposizione sanitaria avrebbe implicazioni etiche per il paziente. Per evitare questi casi la volontà del paziente è fondamentale.

Moralmente dovrei curarmi; giuridicamente nessuno può obbligarmi a curarmi perché si creerebbe un male peggiore di quello che si vuole risolvere. L’eutanasia è tutta un’altra cosa: un uomo chiede a un altro di ucciderlo. L’ordinamento protegge la vita e fa tutto il possibile per tutelare la vita (promuove la vita, le cure palliative, le cure e l’assistenza gratuita). L’ordinamento non può tutelare la morte o spingere persone ad uccidersi. Nessuno può consentire che gli altri privino della vita un’altra persona. In Lussemburgo stanno approvando un progetto di legge che garantisce l’eutanasia sul modello belga e olandese. Con l’eutanasia o suicidio assistito l’ordinamento premia la scelta di tizio di farsi togliere la vita. Altrimenti non avrebbe senso la punizione dell’incitamento al suicidio, la valorizzazione di colui che salva chi tenta di suicidarsi. E’corretto che ci sia tolleranza verso chi decide di non farsi curare perché altrimenti il rimedio sarebbe peggiore del male. Mentre spesso la regola morale può avere conseguenze giuridiche, giuridicamente non si può immaginare una norma che impone di curarsi. L’ordinamento ti deve spingere verso un bene ma la scelta di quel bene è personale. Il consenso del paziente è fondamentale.

La vita costituisce la precondizione per il godimento degli altri diritti. Vediamo come la tutela della vita, dal concepimento, viene garantita nelle diverse convenzioni internazionali. Nella prospettiva del diritto naturale la vita è il diritto dei diritti, la libertà delle libertà. Non a caso l’ordinamento giuridico romano, che si basava sulla garanzia del diritto naturale, del diritto delle genti e del diritto civile, tutelava la vita sin dal concepimento. “Conceptus pro iam natus habetur”, il concepito deve essere considerato nella stessa condizione giuridica del nato allorché si tratti di garantire posizioni di vantaggio al concepito. Questo perché. Qualitativamente, tra il momento del concepimento e della nascita, non ci sono differenze. Dal concepimento inizia uno sviluppo che costituisce un continuum in ordine al quale non è possibile determinare alcun salto qualitativo. Tra il concepimento e la nascita c’è uno sviluppo nel quale non c’è soluzione di continuità. Razionalmente non è stata mai provata l’esistenza di un salto qualitativo. Ciò impone, proprio sotto il profilo del diritto naturale, di garantire il diritto alla vita del concepito sin dall’inizio, anche in ragione della tutela del principio di precauzione. Il principio di precauzione è quel principio in forza del quale, quando si è di fronte alla tutela di un bene fondamentale, si sceglie la soluzione più rigorosa. Siccome non è mai stato provato un salto qualitativo tra concepimento e nascita, anche chi crede che ci sia tale salto, ma non riesce a spiegarlo, finché non lo spiega dovrebbe adottare la soluzione più rigorosa, cioè quella per cui si adotta la soluzione più garantista.

Vediamo come è tutelato il diritto alla vita nelle convenzioni internazionali. Questo aspetto è molto importante soprattutto dopo la modifica del Titolo V della Costituzione. Nel Titolo V, dal 2001, è stato proclamato che la funzione legislativa fa esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali. Mentre in precedenza la dottrina considerava vincolante nei confronti del legislatore interno soltanto il diritto internazionale consuetudinario, dal 2001 è successo che si ritiene vincolante anche il diritto internazionale pattizio. Il che vuol dire che gli obblighi che lo stato assume nel piano del diritto internazionale finiscono per determinare, a carico del legislatore interno, un obbligo di rispetto. Se il legislatore interno non rispetta gli obblighi internazionali pattizi (non solo quelli consuetudinari) la legge interna è incostituzionale. Sul piano del diritto internazionale, sulla tutela del diritto alla vita, va ricordato innanzitutto l’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che proclama che “everyone has the right to the life”. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non prevede la tutela della vita dal concepimento. Dice che ognuno ha il diritto alla vita, ma non specifica se dà garanzia di diritti al concepito. In realtà, tanto questo articolo, come l’art. 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, sono interpretati nel senso di garantire la vita alla persona già nata. Un riferimento alla vita prenatale si rinviene nella Dichiarazione dei diritti del Fanciullo del 1959 e nella Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989. Entrambe garantiscono che “every child has the inherent right to life” e affermano che al bambino deve essere garantita una speciale protezione tanto prima che dopo la nascita (“before as well as after”). Importante è la Convenzione di Oviedo del 1997, elaborata dal Consiglio d’Europa, che porta il titolo di “Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (o Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina)”. Si limita a sancire una serie di regole di carattere generale la cui specificazione è affidata ai protocolli addizionali. C’è un protocollo addizionale del 1998 firmato a Parigi sul divieto di clonazione. La convenzione di Oviedo è stata firmata dall’Italia. Ai sensi dell’art. 80 della costituzione per determinati trattati internazionali è previsto che ci sia la legge di esecuzione della ratifica del parlamento e la ratifica del presidente della Repubblica. Ci si è resi conto che questa convenzione è estremamente lacunosa, perché pone direttive di carattere generale. Inoltre per questa convenzione non è stato depositato lo strumento di ratifica. La Convenzione di Oviedo è volta a garantire il rispetto di determinati diritti della persona nei confronti della biomedicina e dà una tutela all’embrione. Fa una distinzione tra l’essere umano e la persona perché alcuni non riconoscono all’embrione la qualità di persona ma solo quella di essere umano (sulla base di però di un mero sofisma). L’art. 5 della convenzione garantisce il consenso informato: chi si fa curare deve essere informato su quello che sta per accadere. Dopodiché ha la possibilità di prestare o meno il proprio consenso è ha sempre la possibilità di ritirarlo. Iniziata la pratica di procreazione medicalmente assistita, siccome esiste questo art. 5 di Oviedo (che in teoria però non è in vigore), anche dopo che l’ovulo è stato rifiutato la madre potrebbe rifiutare di farselo impiantare, visto che nell’ordinamento l’impianto non è previsto coercitivo. Questa opinione è diffusissima ma sbagliata dal punto di vista del diritto positivo. La stessa convenzione di Oviedo prevede una serie di regole fondamentali proclamate in via assoluta, come la difesa della vita. L’art. 5 trova il limite nella garanzia degli altri diritti, come il diritto alla vita. Quando si feconda l’ovulo e sorge il diritto alla vita dell’embrione, la possibilità di ritirare il consenso si arresta di fronte all’esistenza del diritto alla vita del concepito. Oviedo è importante perché garantisce il divieto di clonazione.

Altra convenzione internazionale è la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. E’ stata elaborata dal Consiglio d’Europa e prevede un organo giurisdizione che faccia valere i diritti garantiti dalla Convenzione. A Strasburgo c’è la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (da non confondere con la Corte di Giustizia dell’UE con sede a Lussemburgo) che fa valere questi diritti nei confronti degli stati allorquando gli stati si macchino della loro violazione. Questa convenzione prevede che esista un tribunale dinnanzi al quale o gli altri stati o i privati possano citare uno stato che non rispetta i diritti. L’art. 6 prevede il diritto di difesa e prevede che il processo debba avere una durata equa. L’Italia è stata condannata moltissime volte perché i processi in Italia si trascinano per anni. Talmente è stata condannata l’Italia che due legislature fa si è prevista la legge che quando il processo superi determinati limiti le parti abbiano il dirittodia ottenere un risarcimento del danno. Ogni stato membro propone un proprio giudice che dura in carica 9 anni. L’istituzione lavora in francese e inglese. La convenzione è interpretata automaticamente dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Ci sono pronunce molto importanti della Corte Costituzionale: 348/2007, 349/2007, 39/2008. In queste si afferma che il nuovo articolo 117 prevede che il legislatore interno sia vincolato al rispetto degli obblighi internazionali. La CEDU pone degli obblighi internazionali e l’entità di questi obblighi è determinata dalla Corte di Strasburgo. Quindi la legge italiana che si pone in contrasto con un articolo della CEDU così come interpretato dalla Corte di Strasburgo è incostituzionale. L’art. 2 della CEDU proclama che “everyone’s right to life shall be protected by law”. Anche qui manca la specificazione del diritto alla vita garantito dal concepimento. La Convenzione Interamericana di San José di Costarica difende il diritto alla vita a partire dalla concepcion. La CEDU invece non fa questa specificazione, e non la fa volutamente, perché in sede negoziale una discussione di quel genere (è triste dichiarare) avrebbe rallentato il lavori. Per questo ci si limita a proclamare la regola generale. La giurisprudenza della CEDU mantiene questa ambiguità. Ci sono una serie di pronunce in cui la Corte segue percorsi contraddittori per non pronunciarsi sull’esistenza del diritto alla vita del concepito. Un caso molto interessante è Vo VS France. In una sala d’attesa d’ospedale si trovavano due donne con il cognome simile (Vo e Wo). Una delle due donne doveva essere operata di appendicite. L’altra doveva partorire. Chiamano la signora Wo; entra la donna sbagliata (che era incinta) e intervengono ma la fanno abortire. E’ iniziato un processo penale per individuare il responsabile. I medici vengono assolti in primo grado, condannati in appello. Ovviamente non era omicidio doloso. In appello si afferma come l’uccisione di feto di 24 settimane deve classificarsi omicidio. La cassazione invece li assolve. Presupposto per adire la Corte di Strasburgo è che siano esauriti i mezzi di ricorso interno. La Corte CEDU non è alternativa alle corti interne ma è sussidiaria ad esse. Ultimamente, su questa regola, ci sono state delle aperture. E’ stato dichiarato ammissibile il ricorso di tre sorelle inglesi proprietarie di una casa. Sono tutte e tre molto vecchie ed hanno lamentato una discriminazione. In Inghilterra c’è la legge che consente alle coppie omosessuali di contrarre un vincolo equiparato in molti aspetti al matrimonio. Queste sorelle non possono accedere a questo istituto. Se fossero state non parenti e omosessuali avrebbero beneficiato dei vantaggi della legge che assegna a chi contrae questo vincolo, tra cui la riduzione delle tasse di successione. Hanno lamentato l’istituto di successione. Hanno condiviso tutta la vita, si sono volute bene (non si sono sposate), ma quando morirà la prima le altre dovranno supportare un costo altissimo per il passaggio della successione. Il ragionamento di queste sorelle è esatto. Nel momento in cui si riconosce che il beneficio non viene dato alla funzione sociale che svolge la famiglia, unione naturale di un uomo e di una donna, quando si dà valore assoluto al valore assoluto, dove sta scritto che il legame affettivo di due omosessuali è maggiore di quello tra sorelle? Le sorelle hanno ragione. Tanto è vero che la Corte CEDU, pur non avendo le sorelle ricorso a tutti i gradi interni, ha dichiarato ammissibile il ricorso. C’è una tendenza di questi tribunali ad estendere le proprie competenze. Altra fattispecie importante è quello delle persone in stato vegetativo permanente. C’è una ragazza di Napoli che ha proposto un ricorso alla Corte. E’ nello stesso stato di Eluana. La ragazza ha una madre che ne esercita la potestà. Se la madre muore, si applica lo stesso principio della sentenza di Eluana: in presenza di uno stato vegetativo permanente e di una manifestazione di volontà si può determinare la morte della persona, senza andare incontro alle regole stabilite dal codice penale. Se la madre muore non ha più la garanzia che il futuro tutore di sua figlia ne garantisca il diritto alla vita. La regola di diritto che ha sancito la cassazione viola o no il diritto alla vita? Se la corte dice di sì la condizione del padre è molto più problematica. Siamo di fronte a una usurpazione clamorosa del potere legislativo da parte del potere giudiziario. Palesemente la Cassazione si è inventata una regola che nel sistema non esiste, esercitando una funzione politica che non ha. Difatti non s’è mai visto che il presidente della cassazione faccia un commento alla sentenza. Una comunità responsabile non può affidare al giudice le decisioni fondamentali sul proprio destino. La decisione politica l’assume l’organo politico. Resta il fatto che il parlamento non può decidere, in base al principio maggioritario, sui diritti fondamentali dell’uomo (e tra questi rientra sicuramente il diritto alla vita, attaccato dall’eutanasia). Ma men che meno può farlo il giudice. Inoltre il potere giudiziario contraddice sé stesso: se è vero che esiste quel diritto perché fino a quel momento tale norma non è stata mai applicata? Il potere giudiziario rinviene le norme del sistema, non le crea. Perché allora Eluana è stata sottoposta a questa norma solo ora in sedici anni? Stessa domanda si può porre al giudice che ha dichiarato incostituzionale l’esposizione del crocifisso: come si fa a dire nel 2000 che la norma sulla esposizione del crocifisso è incostituzionale, dopo 52 anni di applicazione? Torniamo al caso di Vo. I medici non vengono condannati per omicidio colposo in Francia. Allora siccome in Francia, come da ultima interpretazione della corte di cassazione, manca la protezione del diritto alla vita come da art. 2 della CEDU, Vo decide di adire la Corte di Strasburgo. La Corte dice di non potersi esprimere sulla violazione dell’art. 2 sul diritto alla vita, però nel caso di specie, anche se ci fosse questa protezione, l’art. 2 non è violato perché non c’è un obbligo per lo stato di prevedere le pene, per cui può bastare il risarcimento civile. Ma dire una cosa del genere significa riconoscere implicitamente l’applicazione dell’art. 2 anche a chi non è nato. Un altro caso riguarda la legge sulla procreazione assistita in Inghilterra. Se si fecondano gli ovuli e non si impiantano, se uno dei due genitori decide di non impiantare gli embrioni, questi non si impiantano.

Diritti fondamentali Dic 5

La CEDU riconosce il diritto alla vita. Questa Convenzione, diversamente dalla convenzione americana di San José, non identifica con precisione il momento a partire dal quale si tutela il diritto alla vita. La signora Vo aveva subito un trattamento sanitario erroneo ed il bambino è stato abortito. Esaurisce i gradi di giurisdizione interna francese e fa causa alla Francia perché nel proprio ordinamento la Francia non tutela il diritto alla vita, almeno sotto il profilo penale, proprio perché non c’era stata una sanzione penale nei confronti dei medici che avevano causato l’aborto. La Corte Europea respinge il ricorso, ma la motivazione non è minimamente convincente. La Corte compie un’operazione concettuale incongruente su questi temi. L’art. 2, per la Corte, non si applica alla vita prenatale. Se si applicasse non ci sarebbe la lesione perché da nessuna parte è scritto che ci deve essere una tutela penale per il concepito.

La giurisprudenza della corte costituzionale sulla distinzione tra uomo e persona. Quando si toccano questi temi così delicati, l’argomentare del giudice è quasi sempre molto impreciso e non soddisfacente. Stesso problema nell’ordinamento italiano. L’art. 2 cost. è stato interpretato come norma a fattispecie aperta: riconosce i diritti inviolabili dell’uomo e fa riferimento non solo ai diritti citati ma anche ai diritti che si affermano nella coscienza sociale. La corte fonda sull’art. 2 anche il diritto alla vita del concepito. La posizione del concepito, più che sull’art. 2 si fonda su altre norme. L’art. 31 afferma che la repubblica “protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù”. L’art. 30 sancisce che “i genitori hanno il dovere di mantenere i figli”. Non c’è bisogno di scomodare l’art. 2 per difendere il diritto alla vita. La maternità è indubbiamente un rapporto intersoggettivo. Una donna non incinta non vive un rapporto di maternità. L’aborto è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 1978, ma ad aprire le porte alla legge c’è stata la sentenza 27/’75. Nella sentenza c’è un passaggio che sotto il profilo logico non vuol dire assolutamente nulla. La corte dice: “esiste il diritto alla vita ed esiste il diritto alla salute della donna. Quando si incontrano questi diritti non c’è equivalenza tra l’uno e l’altro. Il diritto alla vita del concepito rientra tra i diritti dell’uomo, ma non c’è equivalenza tra chi è già nato e chi persona deve ancora diventare”. Il concepito, dice la corte, gode del diritto alla vita; quindi è un uomo. La corte ammette che ci sono uomini che non sono persone. Ciò sotto il profilo logico non si regge. Quale sarebbe la differenza tra uomo e persona? Sfido chiunque a individuare una distinzione logica e valida tra uomo e persona. I due termini sono usati come sinonimi. Non esistono persone che non sono uomini e uomini che non sono persone. Questo falso sillogismo sul quale si regge tutto l’aborto nel nostro ordinamento è passato in tantissima dottrina. Il vizio mentale si appoggia sul fatto che il codice civile afferma che la capacità e personalità giuridica si acquista dal momento della nascita. Quando la corte si riferisce a persona intende personalità. Però nella costituzione i diritti sono incardinati in capo all’uomo, non alla persona. Pur ammettendo che esista differenza tra uomo e persona (ma non c’è) i diritti la costituzione li incardina sull’uomo. Chi può dire che il concepito non è uomo? Questo ragionamento civilistico vale per il codice civile, cioè solo per i rapporti economico-patrimoniali. Ciò è ovvio: pensate se bisognasse aprire la successione nel caso in cui la donna perde il bambino dopo due mesi! Ciò è assurdo perché l’esigenza del codice civile è quella della certezza dei rapporti giuridici. per questo considera solo chi nasce. Solo chi nasce può acquistare. Il problema è che spesso i civilisti fanno di questa prima norma del codice civile una norma meta costituzionale. Invece riguarda solo i rapporti economico-patrimoniali. Il concepito, ancora non nato. Molto spesso, quando si affrontano questi temi, il potere giudiziario è profondamente impreparato. Non solo nella giurisprudenza costituzionale i diritti sono incardinati in capo all’uomo, ma la giurisprudenza recente in materia di procreazione assistita riconosce che l’embrione è persona.

Altra sentenza significativa della Corte Europea dei diritti dell’uomo riguarda la vicenda della procreazione medicalmente assistita in Inghilterra. La sentenza è Evans VS United Kingdom. Tizia conviveva con Caio. Fecondano diversi ovuli e creano embrioni. La legge inglese consente di congelare gli embrioni e se vuole di distruggerli. In Inghilterra il principio di precauzione viene interpretato nel modo in cui se qualcosa è male bisogna dimostrarlo. Fin quando non è dimostrato si può fare. Il compagno cambia idea. La signora Evans si oppone perché non vuole che i suoi figli siano distrutti. La Corte Europea dei diritti dell’uomo parte da un presupposto in cui afferma che l’art. 2 in questo caso non si applica, però in seguito lo affronta. La corte dice che c’è un dominio riservato a ciascuno stato per disciplinare tali fattispecie per cui ognuno si regola come crede. La vicenda era ancora più drammatica perché gli embrioni erano stati generati erano originati dagli ultimi ovuli di quella donna.

Vicenda del Lussemburgo. In Lussemburgo la forma di governo è la monarchia costituzionale. Il re si chiama Granduca e compartecipa all’esercizio della funzione legislativa. Non solo promulga le leggi ma le sanziona. La sanzione è una compartecipazione all’esercizio della funzione legislativa. E’ come se si fosse un’altra camera. La sanzione è un istituto ottocentesco. La carta costituzionale era in sostanza l’accordo tra il sovrano e la borghesia e si accettava il fatto che le leggi venivano fatte col consenso di entrambe le parti. Per questo le costituzioni dell’Ottocento sono quasi tutte costituzioni flessibili, perché tanto per cambiare la costituzione serviva il consenso di entrambe. Anzi, allora il concetto di costituzione rigida non esisteva perché tanto se una delle parti non era d’accordo la revisione non era compiuta. Il fatto: il parlamento lussemburghese sta approvando una legge che vuole introdurre l’eutanasia ed il suicidio assistito (con il controllo successivo sull’esistenza delle condizioni per l’eutanasia). Questo progetto è anche in contrasto con l’art. 11 della costituzione del Lussemburgo che dichiara che lo stato protegge i diritti naturali della persona. Trai diritti naturali della persona il primo è il diritto alla vita. Una società nella quale alcuni sono legittimati ad uccidere altri è una società in cui si mina il bene comune e si crea una profonda incertezza nei rapporti sociali. I medici sarebbero autorizzati a curare e uccidere la gente! Il Granduca ha affermato che non avrebbe sancito questa legge per ragioni di coscienza. Al governo c’è il primo ministro Junker, anche presidente dell’Ecofin. Junker, cristiano sociale, quando ha saputo che il Granduca non avrebbe sancito la legge, ha detto che si sarebbe cambiata la costituzione togliendo al Granduca il potere di sanzione. E’ una vicenda che si trascinerà nei prossimi mesi. Nella dialettica politica tutto quello che si oppone alla volontà della maggioranza viene considerato antidemocratico, ma le costituzioni contemporanee e le convenzioni internazionali sono eccezioni al principio democratico. La costituzione rigida che prevede un procedimento aggravato è una eccezione al principio democratico. Se la maggioranza stabilisce una legge contro la costituzione, quella legge è incostituzionale e viene espunta dall’ordinamento. La regola maggioritaria non è l’unica essenza delle democrazie contemporanee. Esistono valori sottratti al gioco democratico. Su questo si fondano le democrazie. Non sempre quello che decide la maggioranza è giusto. Tanto è vero che la costituzione è rigida e la maggioranza, se non qualificata, non può cambiarla. Tanto è vero che esistono tribunali costituzionali che annullano la legge approvata a maggioranza.

Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Dalla fine degli anni ’90 si è concretizzata l’idea di costituzionalizzare l’ordinamento comunitario, cioè creare una costituzione europea. La creazione tout court della costituzione europea avrebbe creato dei problemi immensi. Tanto è vero nel 2004, quando s’è cercato di fare una costituzione per l’Europa, i francesi e gli olandesi hanno detto no per via referendaria. Il progetto era pessimo e lunghissimo (600 pagine). Più che una costituzione era una specie di zibaldone. Si è partiti con l’idea di muoversi per tappe. Alla fine degli anni ’90 si decide si scrivere una carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. La commissione per la carta era presieduta da Herzog. Herzog scrive questa carta con molta ambiguità. La carta viene proclamata a Nizza nel dicembre del 2001 senza valore giuridico-formale. La carta costituisce una sorta di summa dei principi costituzionali vigenti negli stati membri dell’Ue, priva di valore vincolante, come riconoscono diversi tribunali internazionali e riconosce la stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee. La Carta sarebbe servita perché la prospettiva di allora era quella dell’allargamento ai paesi del blocco ex comunista, e soprattutto c’era la possibilità dell’entrata della Turchia. La Ue stabilisce quindi un patrimonio comune minimo per chi vuole entrare nella comunità. La carta inizialmente era stata inserita nel progetto di Trattato che istituiva una costituzione per l’Europa. Poi ci sono stati i referendum in Francia e Olanda che hanno affossato questo trattato costituzionale europeo. E la carta, che era stata inserita in una parte del trattato internazionale, è stata riesumata. La carta è stata riploclamata a Strasburgo nel dicembre del 2007 con alcune modifiche e tutt’oggi non ha valore giuridico formale. Per questo le sentenze che applicano la Carta sono un esercizio esorbitante e illegittimo della funzione giurisdizionale, perché la carta non ha valore giuridico formale. Dopo la crisi del Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa, il processo di integrazione si è rimesso parzialmente in moto nel 2007 con la firma del Trattato di Lisbona. Nel trattato di Lisbona è scritto che quando il trattato entrerà in vigore, la carta dei diritti fondamentali dell’Ue acquisterà lo stesso valore giuridico dei trattati. Ma quando entrerà in vigore il trattato di Lisbona? Nel 2008 in Irlanda il popolo irlandese ha espresso il proprio No verso il trattato di Lisbona. E il trattato di Lisbona, per entrare in vigore, deve essere approvato da tutti. Lo stesso trattato di Lisbona prevedeva la sua efficacia soltanto in caso di entrata in vigore prima delle elezioni europee del giugno 2009. Ciò significa che il trattato di Lisbona, probabilmente, non entrerà in vigore. E’ significato che nelle tre occasioni in cui i popoli europei sono stati chiamati ad esprimersi su trattati europei, tutte e tre le volte si sono espressi contro. La stessa cosa sarebbe successa in Inghilterra e Repubblica Ceca. Ciò crea un blocco incredibile nell’Ue. Ci sono le élites che sono euro-ottimiste e favorevoli all’integrazione europea. A livello popolare invece c’è una profonda preoccupazione. Prima o poi la situazione si sbloccherà e il trattato di Lisbona o un futuro trattato entrerà in vigore, e probabilmente nel trattato sarà previsto il valore giuridico della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Anche la Corte di Giustizia, che ha sempre negato il valore giuridico, inizia a richiamarsi alla Carta senza specificare che questa non abbia valore giuridico. Anche la Corte di Giustizia sa che prima o poi la carta entrerà in vigore. Questo, in una prospettiva di retorica dei diritti umani, può essere considerato un evento positivo. Però ci sono tantissimi rischi legati all’entrata in vigore della carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Rispetto a costituzioni profondamente garantiste (come quella tedesca) la carta è molto meno garantista: rinvia molto spesso alla legge per l’apposizione dei limiti ai diritti garantiti, quando invece la costituzione italiana specifica chiaramente quali sono i limiti. il buon costume è un limite all’esercizio della libertà religiosa. La costituzione italiana contiene un bilanciamento chiaro dei poteri. In queste carte il bilanciamento non è contenuto. C’è un rischio enorme legato all’interpretazione per valori della carta, cioè sganciata dal dato testuale che finisca per trasferire il peso e il momento decisionale in capo al giudice che dà applicazione alla carta (la Corte di Giustizia, ma anche il singolo giudice del singolo ordinamento). La corte di giustizia ha funzione analoga alla corte costituzionale e alla cassazione. Quando sorge una questione relativa all’interpretazione del diritto comunitario si solleva la questione alla corte di giustizia. Se non sorge la questione in caso di antinomia tra diritto interno e diritto comunitario si disapplica il diritto interno e si applica il diritto comunitario. Per questo motivo la carta rischia di rivelarsi uno strumento pericolosissimo nelle mani dei singoli giudici. Il problema di fondo è che la carta contiene una serie di garanzie. Ad un suo articolo si afferma che la carta nulla aggiunge e nulla toglie ai rapporti di competenza tra ordinamento interno e comunitario come sanciti dai trattati. La carta disciplina il diritto di sposarsi e formare una famiglia. Ma nessun trattato attribuisce all’ordinamento comunitario la competenza a disciplinare il diritto di sposarsi e formare una famiglia. Nessuna norma del trattato attribuisce la competenza a disciplinare il diritto alla vita. La carta non aggiunge competenze e questi diritti proclamati valgono soltanto in relazione alle competenze già esistenti in favore della comunità. Però c’è un equivoco di fondo: questa norma che limita le competenze della comunità probabilmente perderà sempre più importanza. In Germania un articolo della Legge Fondamentale prevede che la famiglia e il matrimonio stanno sotto la particolare protezione dello stato. All’inizio del 2000 si è inserita una disciplina sulle convivenze omosessuali. Queste convivenze hanno attribuito molti diritti analoghi a quelli del matrimonio, tra cui il diritto di adottare. Il tribunale costituzionale tedesco ha sempre detto che questo sistema di convivenze è costituzionale perché c’è una differenza sostanziale tra famiglia fondata sul matrimonio e queste forme di convivenze. In tanto queste convivenze sono costituzionali in quanto sono differenti dalla famiglia. C’è una direttiva comunitaria sulla non discriminazione e un lavoratore che aveva fatto un partenariato registrato aveva un trattamento deteriore rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio. Questo impugna tale disciplina deteriore poiché la ritiene una discriminazione, vietata dal diritto comunitario. Il tribunale costituzionale tedesco ha giudicato la questione prima giudicasse la Corte di Giustizia. La corte di giustizia dice che, siccome nell’ordinamento tedesco s’è scelto di porre sullo stesso piano la famiglia con le convivenze (cosa falsa perché sono su piani diversi), una volta che si dà rilievo pubblico alle forme di convivenza, bisogna equipararle alla famiglia fondata sul matrimonio. Ciò dà l’idea della pericolosità dei progetti tipo Dico. La corte di Giustizia afferma di non poter disciplinare i matrimoni omosessuali, ma laddove ci fosse un ordinamento che ponga sullo stesso piano convivenze e famiglia, la differenza di trattamento di regime pensionistico sarebbe vietata dal diritto comunitario. La Corte di Giustizia, sia pur indirettamente, finisce per tutelare aspetti essenziali legati alla convivenza sociale. Si tocca il tema dei “contro-limiti”. In una prospettiva euro-entusiastica tutte queste proclamazioni sono positive, ma in realtà, quando si analizzano nei fatti, si corre un rischio enorme di centralismo delle istituzioni sovranazionali che sottraggono il momento decisionale al popolo (perché non godono di alcuna legittimazione democratica diretta) e finiscono per imporre una disciplina uniforme a fronte di culture e identità tra loro profondamente diverse. C’è un rischio di centralismo nell’Unione Europea. Il modello da seguire è quello di una confederazione o federazione dove però sono chiare le competenze, e i giudici non devono essere necessariamente dipendenti comunitari. I giudici della corte di Giustizia prendono lo stipendio dalla comunità. La corte ha sempre avuto una funzione propositiva, ma deve essere mirata alla politica, e non alla disciplina dei diritti fondamentali. Il rischio fortissimo è quello dell’ideologia.

Diritti fondamentali Dic 15

In Lussemburgo si vuole approvare una legge per ammettere l’eutanasia e il suicidio assistito. Sono ammesse dichiarazioni anticipate di volontà (testamento biologico). C’è un caso molto interessante di un americano, Jesse Ramirez, difeso dall’Alliance Defense Fund, al quale si voleva staccare il sondino. La causa in tribunale, condotta da questo fondo, viene vinta, riattaccano il sondino e dopo tre settimane si risveglia ed esce con le sue gambe dall’ospedale.

In Lussemburgo la costituzione all’art. 11 prevede che “lo stato protegge i diritti naturali della famiglia e della persona”. Di fronte a questa proposta di legge il Granduca. La costituzione lussemburghese è di fine ottocento. Le costituzioni di fine ottocento (periodo della monarchia costituzionale) era una sorta di contratto tra borghesia e re. Per approvare le leggi era necessario l’assenso del re e della borghesia. Questo spiega perché la rigidità delle carte ottocentesche era minore rispetto a quelle di oggi. Questo spiega anche perché le carte ottocentesche nulla dicono in riferimento al procedimento di revisione. Le carte di fine ottocento prevedono il potere di sanzione da parte del re. Le leggi sono approvate dal parlamento, sanzionate e promulgate dal re. Stessa cosa accade per la costituzione del Lussemburgo. In Granduca afferma che non avrebbe sanzionato la legge sull’eutanasia. In Lussemburgo si ritiene che il potere di sanzionare non esista, ossia esista solo sulla carta. Questa sanzione è solo sulla carta o è oggettiva? Su questo si discute. Il Lussemburgo ha un governo di coalizione guidato da un cristiano sociale. I cristiani sociali, invece di contrapporsi a questo progetto, hanno deciso di permettere libertà di coscienza. Si è deciso quindi di cambiare la costituzione, togliendo il potere di sanzione al Granduca. Il Granduca resta soltanto per promulgare le leggi. Tutto ciò pone alcuni problemi. A dicembre hanno iniziato la modifica della costituzione: anche il Lussemburgo ha un procedimento aggravato di revisione costituzionale, con una doppia approvazione dei due terzi della camera a distanza di tre mesi. La prima approvazione avviene a dicembre. Intanto la legge sull’eutanasia viene approvata a dicembre. Questo progetto apparentemente fa invece sorgere due problemi:

1) in un governo parlamentare dove il capo dello stato è eletto, nel potere di promulgazione si ritiene implicito il potere di rinvio. Per cui anche in caso di revisione costituzionale che limita il potere del Granduca alla mera promulgazione, il Granduca potrebbe sempre rinviare la legge.

2) Per le norme procedurali vale il principio tempus regit actum. Il che significa che la norma sull’eutanasia, approvata a dicembre, dovrebbe in ogni caso seguire il procedimento che termina con la sanzione.

Perché una legge che introduce l’eutanasia si pone in contrasto con i diritti dell’uomo e con i diritti fondamentali? L’uccisione volontaria di un essere innocente è sempre violazione del diritto alla vita. L’uccisione degli innocenti, in Occidente, è proibita, come affermano le regole di condotta etica. Il riflesso di ciò costituito dalle condizioni internazionali che proteggono il diritto alla vita, evitando anche la pena di morte. Da ciò si ricava un’implicita garanzia del diritto alla vita. Se la vita è protetta nei confronti del colpevole, a maggior ragione è protetta nei confronti dell’innocente. Fra i diritti fondamentali della persona, tra cui il diritto alla vita, c’è il diritto alla protezione effettiva contro la propria uccisione e il diritto a vivere in una società dove l’uccisione diretta di una persona è completamente vietata. Sotto altro profilo, la presenza nella società di persone che si ritengono abilitate ad uccidere altre persone è una minaccia ai diritti naturali. Il diritto alla vita di persone vulnerabili, di malati di mente, è messo a rischio nel momento in cui ci sono persone che si ritengono legittimate ad uccidere volontariamente altre persone. Queste persone sottoposte a stress psicologici, nel momento in cui si introduce l’eutanasia, sono soggetti ad una pressione sociale impressionante: dalla famiglia che vuole ereditare, da terzi che vedono solo un enorme impiego di risorse per queste persone malate etc. Tutto ciò provoca che il diritto a essere liberi alla paura di essere uccisi viene messo in pericolo dalla legge sull’eutanasia. L’eutanasia fa sì che venga meno una delle condizioni essenziali su cui si fonda lo stare insieme: cioè la garanzia che i poteri pubblici hanno acché ciascuno possa vivere tranquillo dalla minaccia di essere ucciso. Una volta che si introduce l’eutanasia volontaria diventa inevitabile l’approvazione anche dell’eutanasia involontaria. Una volta che si ammette che sia preferibile una scelta di non vivere rispetto a quella di vivere, nelle persone che si trovano in situazioni di incapacità questa scelta può essere fatta da altri. In Olanda, i minori che non hanno capacità di agire per compare una casa tuttavia possono essere soggetti a eutanasia in presenza di condizioni gravi perché c’è la decisione del genitore. Tutto questo porta a teorizzare che esistono delle vite che non valgono la pena vivere, e questa era la stessa concezione che avevano i nazisti.

La convenzione sui disabili. Questa convenzione dell’ONU è stata sottoscritta assai di recente. Questa convenzione riconosce alcuni diritti naturali delle persone, soprattutto delle persone portatrici di inabilità. In realtà la legislazione italiana, non la prassi, è molto evoluta nel settore. E la convenzione nulla aggiunge e nulla toglie alla legislazione italiana. La convenzione non riconosce nuovi diritti, ma è volta a estendere i diritti alle persone con disabilità. La convenzione in sé è uno strumento positivo. Sono garantite le assunzioni per i disabili. Se le aziende non assumono disabili sono soggette a multe. Ma le multe sono così basse che le imprese preferiscono non assumere i disabili. Il vaticano ha deciso di non ratificare la convenzione sui disabili. In sede ONU e nelle varie organizzazioni internazionali c’è uno straripamento dei diritti proclamati nelle convenzioni dal diritto naturale. I documenti internazionali nascono come tentativo sofisticato di codificare il diritto naturale. A livello di diritto interno invece il diritto naturale è riconosciuto nella costituzione. Con il passare degli anni, sotto la pressione di importanti lobbies, l’attività di queste organizzazioni internazionali si stacca dal tentativo di codificare il diritto naturale. Il concetto di diritto umano nasceva come ricognizione del diritto naturale. Questa prospettiva salta con il passare degli anni. L’attività delle organizzazioni tende a staccare il concetto di diritto umano da quello di diritto naturale: diritto umano non è più ricognizione, ma è ciò che il detentore di turno del potere decide che venga qualificato come diritto umano. Nell’attività di queste organizzazioni le politiche antinatalizie (aborto, controllo demografico) vengono qualificati come diritti umani, e la stessa cosa avviene per il concetto di identità di genere. Nel libro della Scarrafia si vede come, in ragione di questi programmi fondati formalmente sulla tutela dei diritti umani, si compiano invece sterilizzazioni di massa. Nella convenzione dei disabili sono inseriti concetti estremamente pericolosi, e per questo il Vaticano non l’ha ratificata e l’Italia, pur ratificandola, farà delle precisazioni. Accanto alle norme molto utili che riconoscono diritti alle persone con disabilità in altre norme si ricava il concetto di identità di genere. Il concetto di genere è estraneo all’ordinamento italiano. Il concetto di genere o identità di genere afferma che non esiste un carattere somatico biologico che permette di distinguere chi è uomo o chi è donna, ma la scelta del sesso è una scelta culturale. Ciò, sotto il profilo della natura delle cose, è una prospettiva completamente fuori dalla realtà. Gli uomini e le donne sono educati in modo parzialmente diverso perché c’è una differenza alla base. Gli uomini non sono diversi perché educati diversamente, ma sono educati diversamente perché diversi. La differenza di sesso non è un punto di arrivo ma un punto di partenza, evidenziato innanzitutto da una realtà biologica, fisica, naturale. La prospettiva dell’identità di genere è quella per la quale esistono cinque generi, come dichiarato da una conferenza dell’ONU. Nell’ordinamento italiano anche nella costituzione la definizione di due sessi è fondamentale. L’art. 30 della costituzione parla della paternità. L’art. 51 parla delle azioni nei confronti delle donne. La battaglia sottesa all’identità di genere è quella per la quale salta il concetto di matrimonio. La costituzione definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. La diversità di sesso è un elemento essenziale per il concetto di matrimonio. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è fuori dalla realtà come il matrimonio uni personale. A monte del concetto di matrimonio c’è quello di bimorfismo sessuale. Nel momento in cui si assume una prospettiva opposta, per cui è diritto umano quello che decide l’organo del potere, ci si discosta dalla realtà. Il compito del legislatore è attenersi alla realtà sociale, e cercare di agevolare al meglio lo svolgimento dei rapporti sociali. La prospettiva di genere è quella di far saltare il concetto di matrimonio. Per cui il matrimonio, secondo questa ideologia, non è l’unione di un uomo e di una donna bensì l’unione di due generi. Questo è ciò che è accaduto in Spagna. In Spagna la costituzione è chiarissima: il matrimonio è l’unione di un uomo e di una donna. Zapatero ha attuato una riforma del codice civile, sottoposta ora al giudizio del tribunale costituzionale, in cui s’è detto che il matrimonio è l’unione di due generi. Ma i generi possono essere qualsiasi cosa. Per questo, quando passa l’ideologia del genere, automaticamente si arriva al matrimonio di persone dello stesso sesso senza passare per nessuna battaglia culturale. Il tutto fondando questa operazione su una profonda ambiguità. Difatti, nell’immaginario collettivo, il concetto di genere è inteso come sinonimo di sesso. Questa operazione di concettuale viene portata avanti in maniera nascosta. Questo è uno dei motivi per cui la convenzione rischia di essere pericolosa. In Italia c’era l’idea di porre una riserva. L’altro aspetto molto pericoloso contenuto nella convenzione sui disabili è quello che permette alle persone disabili di avere accesso a un “reproductive public planning locations” e l’obbligo degli stati di assicurare ai terzi di esercitare questi diritti. L’art. 25 richiama i diritti della salute sessuale e riproduttiva. Tutte queste dichiarazioni sono delle edulcorazioni per ampliare la possibilità di ricorrere all’aborto e per far considerare l’aborto come un diritto umano. La convenzione ha norme importanti, ma sotto altri aspetti rischia di diventare uno strumento pericolosissimo. Alla convenzione è stato allegato un protocollo che prevede una serie di controlli sulla legislazione degli stati in materia. C’è la possibilità di controllare quanto la legislazione dei singoli stati sia adeguata a quelle norme. Questi controlli possono costituire uno strumento per richiedere agli stati di modificare la propria politica o la propria legislazione in tema di contraccezione e aborto. Si cerca di utilizzare problemi seri come quello della disabilità per introdurre nell’ordinamento italiano dei concetti pericolosi. In Italia l’aborto, anche se inserito con la 194, non è mai considerato come diritto. Invece in questi programmi delle Nazioni Unite si cerca di considerare l’aborto come diritto umano. Aldilà del merito del caso specifico dell’aborto, è sempre un errore quello di attribuire al titolare del potere la possibilità di determinare quale è il diritto umano. Il diritto umano è quello che ha un legame indissolubile con la natura dell’uomo. Tutte queste politiche poi si risolvono come politiche a danno dei paesi emergenti. Quando sono state stipulate le più importanti convenzioni internazionali non s’è fatto alcun tentativo compromissorio o politico. L’accordo non è il compromesso, ma un tentativo che si compie insieme, sulla base dell’esperienza, di riconoscere la verità. Si presuppone che la verità sia riconoscibile e che su di essa ci si possa accordare. Questa è la prospettiva iniziale. Una volta che ci si stacca dalla realtà umana questi accordi rischiano di diventare uno strumento potentissimo nelle mani del potere. Carl Schmitt diceva che i crimini peggiori sono quelli che si riconnettono al concetto di umanità: in nome dell’umanità si possono compiere i peggiori crimini, perché farsi portatore di un’ideologia legata all’umanità squalifica l’avversario. Tutte le guerre coloniali erano svolte in nome dell’umanità. Oggi l’umanità può costituire lo scopo fittizio con il quale questa impostazione distorta cerca di affermarsi. Aldilà del merito, è evidente che l’uomo è l’uomo e la donna è donna perché diversi. Una prospettiva diversa cozza con l’evidenza della realtà.

Il Primo Ministro lussemburghese Jean-Claude Junker, cristiano sociale, a capo della coalizione di governo tra Partito Popolare Cristiano-Sociale e Partito Socialista dei Lavoratori, per risolvere la crisi costituzionale provocata dal rifiuto (caso unico nella storia del Paese)del Granduca Henri di Nassau-Weilburg di sancire la legge votata dal parlamento che legalizza l’eutanasia e il suicidio assistito, ha ritenuto percorribile la strada della modifica della costituzione lussemburghese al fine di limitare il ruolo del Granduca nell’iter legislativo e permettere che la legge votata dal parlamento venga approvata. Nelle intenzioni del Primo Ministro si dovrebbe provvedere alla novella dell’art. 34 della costituzione (« Le Gran-Duc sanctionne et promulgue les lois. Il fait connaître sa résolution dans les trois mois du vote de la Chambre », « Il Granduca sancisce e promulga le leggi. Rende nota la sua soluzione entri tre mesi dalla votazione della Camera »), eliminando il termine “sanctionne” e lasciando solamente “promulgue” . In questo modo il Granduca non avrebbe più potere di sancire le leggi, bensì solo un compito meramente formale, quasi notarile, di promulgare le leggi, al quale non potrebbe opporre nessuna forma di obiezione di coscienza.

Il Granduca Henri, cattolico, venuto a sapere della votazione della legge sull’eutanasia in parlamento, ha affermato pubblicamente che non avrebbe sancito la legge. In molti hanno dubitato che il Granduca abbia il potere di rinvio al parlamento del disegno di legge, visto che la costituzione nulla dice riguardo tale facoltà. Difatti finora mai era stata posta obiezione ad una legge votata dal parlamento in tutta la storia del Granducato. Ma la sopraggiunta necessità della modifica della costituzione rende implicito e riconosce il potere di rinvio del Granduca. Se il Granduca Henri non avesse avuto tale potere, sicuramente non sarebbe necessaria la novella costituzionale. Ulteriore ragione di ordine storico è la seguente: la costituzione lussemburghese risale a fine Ottocento, periodo in cui le costituzioni approvate avevano la funzione di contratto-compromesso tra Re (Granduca) e borghesia (parlamento). Per tale motivo era ritenuto implicito il potere di rinvio del Re.

La costituzione lussemburghese, risalente al 1868, è una costituzione rigida e la sua procedura di revisione(art. 114) richiede due votazioni successive della Camera dei deputati, separate dal almeno tre mesi, con una maggioranza di almeno due terzi dei suoi membri. Entro i due mesi seguenti alla prima votazione, se venticinquemila elettori o più di un quarto dei membri della Camera lo richiedono, il testo votato in prima lettura dalla Camera è sottoposto a referendum. In tal caso non è necessaria la seconda votazione poiché la revisione è adottata solo se ha la maggioranza dei voti del referendum.

Da ciò se ne deduce che una modifica della costituzione necessita di tre mesi di tempo in caso di doppia approvazione della Camera o di due mesi più il tempo necessario per l’organizzazione del referendum dall’esito positivo (in ogni caso si immagina non meno di tre mesi). Probabilmente l’iter di revisione costituzionale inizierà in questi giorni di dicembre per poi terminare in marzo, con la seconda approvazione della camera (a meno che un quarto della Camera o 25'000 elettori non richiedano il referendum). Nel caso in cui la costituzione venga modificata, le leggi dovranno seguire un nuovo iter legislativo che termina con la promulgazione e non più con la sanzione del Granduca. Difatti attualmente le leggi sono votate dalla Camera dei deputati e poi sancite e promulgate dal Granduca. Secondo la costituzione l’esercizio del potere legislativo spetta congiuntamente al Granduca e alla Camera dei deputati, e non può esistere nessuna legge senza il doppio consenso dei due rami del potere legislativo. Per questo, come stabilisce l’art. 34 della Costituzione lussemburghese, è necessaria la funzione svolta dal Granduca il quale “sancisce e promulga le leggi. Rende nota la sua decisione entro tre mesi dalla votazione della Camera”.

Se la costituzione sarà novellata, le leggi dovranno seguire il nuovo iter legis che si conclude solo con la promulgazione. Ora, la legge sull’eutanasia probabilmente sarà riapprovata in dicembre. Per dicembre, sicuramente il procedimento di revisione costituzionale ancora non s’è concluso. A questo punto, l’iter legis che si conclude solo con la promulgazione dovrà essere seguito anche dalle leggi (e tra queste, anche quella che riapprova l’eutanasia) il cui iter è iniziato prima della conclusione del procedimento di revisione costituzionale ? Per risponde a questa domanda torna utile chiamare in causa il brocardo latino “Tempus regit actum”, che sancisce il principio secondo il quale ogni atto è valido solo se rispetta il procedimento che lo regola in quel preciso momento storico. Ovvia conseguenza di tale principio per la fattispecie in esame è che fino a quando non avviene la seconda approvazione di modifica della costituzione non esiste un nuovo iter legis che si conclude con la promulgazione, ma esiste soltanto il precedente iter che termina con la sanzione. Se dovessimo accettare la soluzione inversa secondo la quale l’approvazione della modifica della costituzione incide anche sulle leggi il cui iter è iniziato prima della revisione costituzionale, si correrebbe il rischio, in caso di non approvazione della revisione costituzionale da parte della Camera o da parte degli elettori per mezzo del referendum, di veder approvare una legge seguendo un procedimento mai esistito, ma solamente presunto. Aporia insostenibile.

Per tale motivo il nuovo procedimento non può che essere valido solo dopo la seconda approvazione per la modifica della costituzione. Solo dopo potrà esser fatta una legge per legalizzare l’eutanasia con la certezza della sua promulgazione. Cioè, a quanto pare, a marzo. E solo da marzo scatterebbero i tre mesi di tempo concessi al Granduca per promulgare la legge. Ma nella prossima primavera ci sono le elezioni. E forse gli interessi partitici potrebbero far slittare sine die l’approvazione di questa legge. Difatti un’eventuale legalizzazione dell’eutanasia a poche settimane dall’elezione potrebbe far dirottare il voto dei tanti cattolici che hanno votato il cristiano (?) sociale Junker, incline alla legalizzazione dell’eutanasia nel proprio paese.


Diritti fondamentali Gen 20

Il tema di un’analisi critica dei diritti umani si basa su un approfondimento del rapporto tra diritto naturale e diritto positivo. Nella contrapposizione giurisprudenziale che si è originata sul concetto di diritto naturale si gioca quella che in termini moderni potremmo chiamare l’ideologia dei diritti umani. Quando parliamo di ideologia dei diritti umani parliamo di una perversione di quella che è invece la tematica del diritto umano, un fondamento ben storico, diverso del frutto ideologico delle ideologie totalitarie. L'uomo fa la pace e la guerra da migliaia di anni: non è che il concetto del diritto umano fosse al di fuori dell’esperienza del rapporto di forza della storia delle vicende umane. C'è però un tempo ben preciso nel quale esso si qualifica: le dichiarazioni che si stabilizzano attorno al tempo delle rivoluzioni settecentesche, americana e francese. Quello che è l’analisi precedente rapporto tra profili di giurisprudenza e le ragioni per cui la vita dell’uomo vale più di ogni altra cosa, stanno prima in un’altra dimensione: la dimensione religiosa. La vita ha un certo valore perché legato a una concezione della divinità ben precisa. Questa concezione della divinità è varia: nei culti dei Maya e Atzechi la vita vale poco, perché il loro dio non è altro che un abilitatore del processo di potere generato dall’uomo. La concezione di persona discende dall’irruzione nella storia della rivelazione. Da quando il cristianesimo fonda il percorso della persona, abbiamo la nozione vera e propria di diritti dell'uomo. Prima del cristianesimo, nell'esperienza della monarchia assoluta tutti i diritti derivano da una concessione del re che ha tutto il potere, derivatogli direttamente da Dio. Diversamente, con l’esperienza medievale abbiamo una sorta di comproprietà di questo diritto di vita e di morte (ius utendi et abutendi), che fonda alcuni particolari passaggi di etica medievale (addirittura lo ius primae noctis). Questa continua insistenza sul fatto che addirittura l’esistenza dell’essere umano deriva da una concessione è la quasi normalità fino al medioevo. Le reazioni a questo tipo di condizione sono pochissime nell’antichità: fra tutti il mito e dramma di Antigone, che sottrae le spoglie del fratello all’ordine sovrano di negata sepoltura, affermando un diritto che trascende perché si fonda su qualcosa che si fonda – direbbe Kant – nelle stelle. Antigone disobbedisce perché reputa che la fonte del diritto non sia nell'esercizio del potere ma in una fonte non precisato, più grande e profondo, di qualcosa scritto nella natura, in re ipsa. Questa questione rimane sottesa in tutta l'antichità. Il tema è ripreso in Prometeo, e fonda le affermazioni chiave prese polemicamente da umanesimo e illuminismo. Il cristianesimo ribalta la prospettiva e lega l'esercizio dell’autorità al fattore di natura. Già esistono tutti i termini della questione e appare chiaro a tutti che c'è qualcosa che accede il potere di per sé, e che questo qualcosa è legato all’umanità più profonda. Pur tuttavia l’uomo dell’antichità, della razionalità filosofica greca, non riesce a prendere le distanze dai principi del diritto fa ricondurre la possibilità dell’uomo di essere sé stesso a null’altro che non sia la concessione del potere sovrano. Nei testi dell’antichità si ritrova più volte questo dilemma che eppure l’uomo dell’antichità non riesce a sciogliere. L'irruzione della figura di Cristo nel diritto è spiazzante per questo schema. Quando Cristo scrive col dito per terra le colpe di coloro che volevano uccidere l'adultera, sovverte i termini della legge e lascia capire che esiste una sorta d'alleanza tra lo strapotere di Dio e il cuore di ogni uomo. E’ come se ricucisse una ferita che sembrava ormai non rimediabile tra Dio e gli uomini, e schiera Dio dalla parte degli uomini. Questo è il fondamento della presenza nelle aule di giustizia del crocifisso. Il senso originario di quella presenza era far comprendere che la divinità veniva schierata dalla parte dell'uomo nel processo. In quel momento i giudici dovevano essere capaci di stabilire la verità. Questo è un passaggio molto delicato. Se non lo capiamo non capiamo come in tempi moderni si sia generato il concetto di genocidio, di olocausto. Perché questi due concetti si manifestano solo in tempi moderni? Eppure tutta la storia dell’uomo ha visto dall’inizio ammazzamenti e stragi. Cosa qualifica la modernità? Il termine ideologia chiarisce il passaggio dal diritto classico al diritto moderno-positivo. Il diritto positivo si accosta all’ideologia perché prescinde dall'uomo come è per ricollegarsi all’uomo come dovrebbe essere. Il diritto positivo carica una legge di una forza che è eccentrica rispetto alla natura dell’uomo, tanto di essere capace di affermare leggi che prescindono dalla natura umana. Le leggi razziali non sono logicamente controvertibili, perché poste delle premesse sbagliate, tirano delle conclusioni logicamente corrette, ma umanamente sbagliate. Hitler nel Mein Kampf scriveva che l’uomo è il centro dell’universo, e subito dopo diceva che gli ebrei non erano uomini. E le traeva le logiche conseguenze. Ma le logiche conseguenze non sono le vere conseguenze. La logica è la capacità di mettere in rapporto premesse e conseguenze, senza necessariamente verificare se le premesse esistono. Lo iato tra logica e metafisica sta nel fatto che la metafisica ha la capacità di verificare se le cose esistono. Siccome la legge è un rapporto formale abbiamo la responsabilità di verificare che il percorso logico sia anche vero, che abbia anche fondamento metafisico. Diversamente, l’approccio contrario è ideologia. Questo è vero soprattutto in un momento come quello di oggi, in cui l’ideologia è riconducibile ad un percorso di natura politica. Gli atti dei tribunali speciali che hanno giudicato in Spagna nella guerra civile, i giudici, pressati dalla violenza politica di quel contesto, già erano convinti della condanna a morte. Hanno fatto delle forzature del diritto perché a fronte della condanna a morte c’era la loro vita. Formalmente si è sottoposti alla legge, ma si nega la verità dell’uomo. In questo macerarsi delle condizioni dell’umanità prende consistenza la necessità di affermare un diritto più grande, profondo e vero del diritto condiviso: un diritto dell'uomo. L'esperienza con cui l’esigenza di chiarire cosa sono i diritti umani si qualifica nel Novecento è delle contraddizioni delle rivoluzioni illuministe del Settecento (americana e francese). Non solo l’ideologia ma neanche lo stato è padrone dell’uomo. Oggi il nuovo presidente Usa rileggerà quella dichiarazione che pone in un’entità ultraterrena il fondamento della possibile felicità dell’uomo. E’ un momento importante. Eppure quanto si fece quella dichiarazione c'era ancora la schiavitù. Ci vorrà Lincoln e il superamento di quella contraddizione, e altri secoli. Solo nel novecento si intravede la possibilità di rimediare con la creazione di un contesto di istituzioni internazionali che siano difensori del diritto più vero della legge, che pone la legge fuori dal rapporto formale: il diritto di natura. I diritti dell'uomo, nella prima e piena formulazione, fotografano tutto quello che è irrinunciabile. Il primo dei diritti che si afferma è il diritto all'esistenza, il diritto alla vita. La vita è principio imprescindibile affinché l'uomo possa affermare la propria umanità. Se non è tutelata, non ci sarà nessun compimento della legge. La riflessione sulla vita investe temi importanti. Cerchiamo di capire cosa è cambiato dal 1948 ad oggi. La riflessione sulla vita ha certe conseguenze. Se affermiamo il diritto alla vita le istituzioni hanno o no il diritto di togliere la vita, possono valutare o no quale vita vale la pena vivere (pena di morte, aborto, handicap, eutanasia)? Paradossalmente chi s’è spinto su questo terreno è stato proprio il nazismo. Nei lager si compivano esperimenti sui bambini ebrei e rom. Ma prevale il diritto della vita dell’individuo o il diritto alla sperimentazione eugenetica? Quale vita vale la pena vivere? Cosa è cambiato in questi anni? Quella contraddizione si verificava durante il periodo di guerra. C’era “il diritto” (della forza ) del vincitore che permetteva di compiere certi abomini. Eppure oggi si fanno le stesse cose, le stesse sperimentazioni protetti e garantiti da centinaia di leggi. Non si fa nulla di diverso in Olanda, in Svizzera, dove si somministra l'eutanasia. Si fa tutto quello che veniva poi condannato a Norimberga. Quando oggi parliamo di diritto dell’uomo, parliamo di un qualcosa che è tutela vera dell’esperienza più profonda di umanità di ciascuno di noi? Cosa succederebbe se il nostro diritto alla vita finisse per configgere con alcuni parametri, oggi maggioritari in questa società? Nell'arco di tutti i diritti che esistevano 50 anni fa, oggi ce ne sono di nuovi? Se sono una persona nata da papà e mamma ho diritto all'eredità. Questo fatto, fino a 30 anni fa, era incontrovertibile. Ma se sono nato oggi con un percorso scientificamente complesso come quello di una donazione di seme che avviene su base anonima, dove comincia e finisce il mio diritto? La legge inglese afferma che il donatore di seme può rimanere anonimo. La giurisprudenza inglese afferma che il bambino che nasce ha il diritto di ricercare il suo genitore. E nel momento in cui lo trova ha il diritto di “fargliela pagare”, per quel che gli è mancato nel tempo che ha vissuto in mezzo. La legge australiana è ancora più precisa. Ammette la Fivet, ma questo non esime da dei principi di responsabilità. I giudici devono garantire i “terminali finali”, i nati, che hanno dei diritti rispetto a coloro che hanno preteso di generarli. Questo pacchetto di diritti è anche pacchetto di conflitti. Se si è nati dal seme di un donatore che intendeva rimanere anonimo, era perché quel donatore pretendeva l’irresponsabilità. Nella posizione di alcuni avvocati che hanno difeso i donatori, c’è la pretesa di difendere quel diritto all’anonimato. Tra il diritto di chi è nato in virtù di una donazione di un terzo, tra le vicende della separazione della coppia che ha curato il bambino, alla fine quel figlio si è ritrovano in mezzo alla strada. Questo ragazzo pretende di conoscere il suo vero padre genetico. Trova l’uomo ma il padre è tutt’altro che contento, perché non vuole essere coinvolto. Le sentenze sull'argomento sono un esempio della difficoltà di questa materia ma anche della tendenza del giudice a riallacciarsi al passato. Il giudice, posto davanti a queste contraddizioni, cerca di superare l'aspetto formale e di andare alla metafisica. Il giudice stabilisce il principio per cui viene prima il diritto del più debole, cioè del figlio. Se il figlio vuole ritornare presso suo padre, ha il diritto di farlo. Ciò crea i conflitti con gli eredi. Questo riconduce a riprendere il principio per cui l'uomo è responsabile delle sue azioni, sempre e comunque, anche quando non c'ha pensato. La tendenza umana alla deresponsabilizzazione si infrange con la ragione per cui dura lex sed lex. La legge ha il diritto di profilarsi come tale perché nel momento in cui pronuncia un divieto è per affermare un diritto.

Oggi c'è la tendenza a fare della teoria del diritto una sorta di supermarket dei diritti, in cui i diritti finiscono col configgere e creare questa dispersione dell’umano, in cui nessuno si sente tutelato. Questa è la frontiera estrema di un complesso di norme che erano state generate per uno scopo ma che poi ne hanno raggiunto un altro. E importante è che chi si forma nella giurisprudenza abbia il desiderio di riannodare dei fili. La casistica è minima, ma potremmo fare una lunghissima teoria di casi insoluti. Alcuni sono alla cronaca da molto tempo: basti pensare alla vicenda di Eluana Englaro. Ma ci sono realtà anche più complesse, che abbracciano tematiche più diverse. Abbiamo parlato di diritti della natura, e giungiamo alle tematiche relative all'orientamento sessuale. Se sempre l'omosessualità è stato considerato un atto contro natura, perché oggi ha tanti diritti e perché gli stati europei fanno della difesa dei diritti di chi vive orientamenti sessuali diversi la bandiera della terra del diritto? Oggi gli stati si rimpallano l’accusa di essere di volta in volta razzisti. Nello stesso tempo sono i primi che affermano che al proprio interno il problema non esiste. Nell’OSCE ogni stato tendeva a fare una precisazione per definire il mandato relativo alla xenofobia, intolleranza, discriminazione in particolarmente nei confronti dei cristiani. I turchi e chi è intervenuto a nome dei paesi musulmana hanno detto che era giusto che ci fosse questo rappresentasse che difendesse i problemi dell’omosessualità. Questo ha colpito, perché nei paesi musulmani l’omosessualità è perseguita fino alla morte. Poi però il rappresentante turco ha precisato che questo problema valeva solo per i paesi cristiani, perché nei paesi musulmani gli omosessuali non ci sono. E’ intervenuto il rappresentante della Romania che ha posto il problema dei rom. Ha spiegato che i rom vengono discriminati all’estero. Quando qualcuno ha fatto notare che il grosso dei rom è romeno, il rappresentante ha risposto che i rom in Romania non ci sono, perché sono tutti romeni. Per il governo i rom sono tali sono quando questi escono dallo stato. Se metti un rom in galera in Romania, è un atto lecito. Se un rom va in galera in Olanda, si dice che è discriminazione. Sulla questione dei diritti umani, pesa anche il dibattito politico. Oggi un uomo di colore diventa presidente degli Usa. Eppure per la società americana era uno schiavo. Chi fa giustizia deve avere una percezione profonda di quello che c’è in gioco. Con questo corso vogliamo giudicare i passaggi di diritto e politici degli ultimi anni. Ci limitiamo agli ultimi anni perché negli ultimi hanno ha fatto irruzione la tecno-scienza. Il problema dell'ideologia per tanti anni è stato che, piuttosto che vedere com’è l’uomo nella realtà, l’ideologia ha voluto inventarsi l’uomo nuovo. Oggi non c'è più bisogno di affermare l'uomo nuovo, perché l'uomo nuovo lo posso fare, lo posso clonare e creare. Ho a disposizione strumenti scientifici per creare l’uomo, come Dio. Ma se posso fare un essere umano, quell’essere umano ha diritto a prescindere da me che l’ho fatto o dipende da me? Quando si crea un uomo, chi ha i diritti? La teoria dei diritti umani oggi è a questo livello, ed è in grado di influenzare le leggi degli stati. Non c’è mai stato un livello come quello di oggi in cui le leggi, tra stato e stato, erano così lontane. Per Cesare Beccaria si pagava non per motivi forzosi ma perché con la pena è consentito di ricongiungersi con il senso stesso della propria. Oggi le leggi sono molto lontane. Mentre ad Hong Kong chi sputa viene frustrato, in Papua nuova Guinea si riceve l'ergastolo per la pornografia, in Iran si viene uccisi per accusa non provata di omosessualità, in Olanda si viene condannati se non condividi l’omosessualità. Se la contraddizione è così ampia, evidentemente c’è un dibattito ideologico in corso su che cosa sia il fondamento di verità di una opzione rispetto alle altre. Quando ci si allontana molto sulla definizione tra ciò che è vero e ciò che è falso è il momento prima dello scontro. Quando questo avviene sulla scala del rapporto tra gli stati, è il momento che precede il conflitto. In quel percorso di diritti segnalati prima, ci sono stati dal 1948 in poi delle tappe significative.

Toccheremo tre passaggi chiari:

1) Evoluzione del diritto alla vita fino alla generazione dei cosiddetti diritti della salute riproduttiva, in rapporto al diritto della donna a considerarsi alla pari nel rapporto con l'uomo (il 65% della legislazione riguarda la parità);

2) Diritti di uguaglianza: la tematica del genere, relativa al principio di non discriminazione. Per principio di non discriminazione si intende che la libertà finisce dove comincia quella altrui. Nel principio di non discriminazione fa esplicito riferimento alle tematiche della libertà religiosa. Di fronte alla presa di posizione dei 2000 islamici che hanno esibito la propria preghiera davanti al Colosseo era in gioco il diritto all’espressione religiosa o c’era un problema politico, mostrato per mezzo di una provocazione? Il diritto alla libertà di espressione dove si ferma, quali doveri ha rispetto alla capacità di non produrre falsi o rispetto al tema della bestemmia? Oggi perché se ci sono le vignette su Maometto alcuni stati convocano il parlamento per chiudere i rapporti commerciali con la Danimarca, invece se ci sono delle rappresentazioni blasfeme si fa a gara per incentivare la capacità di satira? Tutti questi conflitti finiscono in un tribunale, e per questo riguardano. La convenzione politica purtroppo ha avuto un peso determinante negli ultimi 50 anni. Mentre per 1500 anni i progressi del diritto era rarissimamente condizionati dalla politica, oggi negli ultimi cinquanta anni le leggi vengono proprio indotte dalla politica. Quando Cesare Beccaria affermava l’ingiustizia della pena di morte sono stati necessari 100 anni prima dell’assimilazione del concetto nell’ordinamento. Negli ultimi 50 anni alcuni processi politici cominciati con carte internazionali hanno finito per condizionare la giurisprudenza. Tant’è che oggi molti giudici, quando vanno a sentenza, dicono: “questa sentenza la faccio così perché all'art. X della convenzione internazionale c'è scritto così”. Negli ultimi 50 anni il legame (soprattutto nella giustizia penale, di famiglia e del lavoro) tra ideologia politica e giurisprudenza ha vissuto un corto circuito. Nelle sentenze di diritto del lavoro dei giudici italiani che allora ascrivevano al pretore verso il '68/'78, ci sono molte sentenze politiche. Un gruppo di operai della Fiat militanti delle BR fanno irruzione in uno dei reparti di pittura e aggrediscono uno dei capi. La fiat li licenzia, il pretore li riammette al posto di lavoro motivando la sentenza dicendo che i lavoratori, vivendo in uno stato alienante, avevano il diritto di portare avanti la ribellione allo stato borghese. Nelle sentenze traspare la prepotenza della politica e della ideologia. Se non fosse così non ci spiegheremmo il grave stato di difficoltà in cui versa il nostro sistema di giustizia. Questo è un problema di scala globale. In Iran vive una avvocatessa che ha ricevuto il premio Nobel per la pace, poiché cerca di difendere le donne nei processi islamici. Anche questa donna cerca di affermare le verità. Sulla base di questo è stata posta agli arresti domiciliari perché nega che ci sia quel fondamento di verità.

3) Diritti di espressione: libertà di pensiero, religiosa, di riunione etc.

Tutto questo pacchetto fa parte dei diritti umani. Un documento che ha una forza notevole è il documento ultimo che abbiamo a disposizione: la carta fondamentale dei diritti contenuta nel testo mai pienamente approvato della Costituzione Europea. Questo testo deve essere messo a paragone con la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo per vedere quanto sono cambiati i tempi. Nel testo si vede come, nel caso primigenio, quando si dice vita si intende a tutta la vita, mentre nel secondo prevalgono i distinguo. La carta di Nizza parla di un diritto alla vita facendo delle specifiche. Oggi, come in uno iato profondo, da un lato più sono aumentate le possibilità di assistere chi ha difficoltà, dall’altro più sembra che questo portato tecnologico metta ancora più in evidenza che si stia vivendo una vita che non vale la pena vivere. Il Protocollo di Groningen, elaborato da giuristi e medici, pone un'ipoteca sul diritto alla vita dei portatori di handicap. Se si verificano certe condizioni, la famiglia e la stessa persona handicappata devono pensare seriamente alla propria condizione, valutando se vale la pena vivere. Tra l’altro questo testo ha firme illustri. Questo testo fa da riferimento in molti contenziosi che riguardano gli ospedali che assistono i malati terminali. Esistono delle percentuali che valutano quando la vita vale e quando non vale la pena vivere. Si sente dire da più parti che deve essere la legge a stabilire quando la vita vale la pena di essere vissuta. Sembra una affermazione razionale. Ma pensate al mestiere del medico. Il medico ha la responsabilità di curare le malattie; quando diventa medico fa il giuramento di Ippocrate. Se arriva una legge che afferma che certe condizioni permettano di staccare la spina, si toglie completamente la responsabilità della persona. Viene messa da parte la responsabilità personale e sostituita con una norma. Altro esempio: molti contenzioni ci sono stati tra bidelli e professori per valutare chi avesse la responsabilità verso gli alunni. La sentenza ha affermato che la responsabilità è del professore. Poi è subentrata un'altra sentenza (provocata dal sindacato) che ha stabilito che il bidello ora neanche più ha l'obbligo di pulizie. Infine alle bidelle delle scuole materne è stata tolta l'incombenza della distribuzione del cibo. 241 mila bidelli hanno un contratto con mansioni zero. Questo paradosso si è infranto con il diritto degli handicappati. Chi aiuta gli handicappati che vanno a scuola? Se con la norma si vuole estinguere la responsabilità, si creano disastri più grandi. Quando si vuole stabilire con legge ciò che è vita, si commettono errori incredibili. Se la base della scelta vitale è una norma e non un principio di evidente umanità, si giunge a contraddizioni senza fine. Come si ricostruisce un principio di responsabilità personale? Bisogna far sì che il giurista o il legislatore sia formato sullo stesso orientamento. Questo chiama in causa un principio di responsabilità personale. Non si possono applicare le leggi semplicemente rimanendo rinchiusi in un principio astratto. Le leggi non sono perfette. Se nelle leggi non c'è l'amore, le leggi saranno la corda alla quale ci impiccheremo.

In cinquanta anni si è affermata una giurisprudenza che ha cambiato il concetto di vita e di persona. Gli strumenti di giurisprudenza attraverso i quali è ciò stato compiuto si ricollegano al metodo nominalistico. Usando le parole si è finito per cambiare il senso alle cose. Un esempio: ho una figlia sorda. E' un problema. Cosa è cambiato nelle leggi nel rapporto tra noi e lei ma tra la sorda e il mondo? Quando è nata era sorda, dove il male era indicato come privazione di essere. I documenti delle Asl degli ultimi 25 anni, i sordi, ciechi, gli storpi, sono diventati prima handicappati, poi non udenti, non vedenti, poi ipo-vedenti e ipo-udenti, poi come diversamente abili. Il fine ultimo di questa terminologia è negare il problema. Quello che si viveva come problema è semplicemente un altro punto di vista della realtà: così come esistono quelli che ci sentono, così esistono quelli che non ci sentono, o meglio, sentono “diversamente”. Nel campo specifico della sordità ciò ha creato una frattura profonda tra scienza e la rendita politica legata alla gestione del problema dei sordi. Da molti anni c'è la tecnologia dell'orecchio bionico. Viene applicato un computer che fa le veci dell'orecchio. E’ una tecnologia benvenuta. L'ente nazionale sordomuti si è sempre opposto al riconoscimento di queste tecnologie perché l'avvento di quella tecnologia, estinguendo il problema, estingueva le rendite politiche legate a tale problema. Molto spesso nella differenza di terminologia si celano forti interessi. Il cosiddetto wording è importante per capire la strategia ideologica e politica degli ultimi 50 anni sul tema dei diritti umani. Quaranta anni fa una delle più grandi multinazionali farmaceutiche, la Bayer, organizza in Thailandia un grosso seminario per gli addetti del settore. Tema del seminario è il cristianesimo: la Bayer elabora a tavolino una strategia per il contenimento del cristianesimo e soprattutto dell’azione dei missionari protestanti e cattolici, per diffondere maggiormente un kit usato tramite l'UNPFA, per la sterilizzazione delle donne. Queste multinazionali finanziano una strategia dell'ONU per una modifica dell'approccio sul tema vita. Si elabora la decisione di non chiamare più le cose con il proprio nome (aborto, sterilizzazione, etc.) e svuotare con il wording quelle che possono essere aree di conflitto della giurisprudenza per favorire la diffusione di tali strumenti. Alcune tecnologie abortive vengono ridefinite come “regolazione mestruale”; in questo trasferimento non si parla più di diritto alla vita, all’accoglienza della vita e della maternità, ma si parla di diritti della salute riproduttiva. Questa locuzione ha dentro un aspetto di indeterminatezza che permette più facilmente di vendere prodotti e profilassi. Questa questione viene ben documentata da Eugenia Roccella, una delle fondatrici del movimento femminista italiano. Ha alle sue spalle un passato di storia radicale, di estrema sinistra. Il movimento femminista italiano è stato molto rilevante ed ha causato il cambio di fisionomia del comune sentire del nostro paese, arrivando all’approvare la legge sul divorzio e sull'aborto. La strategia del wording è estesa così a tutto lo scibile umano. Nella bibbia per prendere possesso della realtà si dà un nome a tutte le cose. Quando in una civiltà si ridenominano le cose, si cambia il significato delle cose. C'è una valutazione da fare nel momento della ridenominazione. Con le ridenominazioni effettuate nelle carte internazionali, negli ultimi documenti spariscono i riferimenti al padre e alla madre. Addirittura nei documenti spagnoli per la riforma della scuola non si parla più di padre e madre ma di genitore A e di genitore B. Non si vuole entrare nel merito se i genitori siano o meno dello stesso sesso. Ecco il sistema del gender: passiamo da una civiltà che basava sé stessa sul fatto di riconoscere che i fattori di genitorialità erano ancorati all’esser maschio e femmina a una civiltà in cui tutto si regge sulla possibilità di scegliere il genere a cui si vuole appartenere. Sulla base della costituzione italiana in Alto Adige c'è un accordo per italiani e tedeschi per i posti di funzionario di P.A. Siccome non si poteva fare una legge razzista, si afferma che c'è una quota che parla la lingua tedesca e un’altra che parla la lingua italiana. Si lascia la libertà ai cittadini di scegliere il proprio gruppo di lingua. Così accade che tra l'elenco dei lavoranti di lingua tedesca si chiamano quasi tutti Esposito. I mestieri poco pagati di funzionario sono stati presi dagli emigranti dal sud Italia.

Se prendiamo il caso dell'Italia, l'Italia è una eccezione. La nostra costituzione è ancorata ad una interpretazione del rapporto di genere dove è ampiamente promosso l’aspetto della parità tra uomo e donna, ma oltre non si va. Se in Italia la costituzione è quella e le leggi derivano da quella, quando l'Italia aderisce a trattati con obbligazioni interne, i diritti di coloro che in Italia si configurano in un certo modo e fuori si configurano in un altro, nel nostro paese si possono ritenere tutelati? Se una coppia omosessuale olandese che contrae matrimonio in Olanda viene in Italia per lavoro, paga le tasse e i contributi, ha il diritto della pensione di reversibilità? In Italia no. Le convenzioni internazionali esercitano con forza un’azione che punta a sradicare la cultura giuridica di un paese. Negli ultimi 50 anni lo si è visto. Se torniamo ai temi della salute riproduttiva, questo ha voluto dire che per alcuni paesi non accettare di promuovere legislazioni abortiste significava non ricevere gli aiuti internazionali. Abbiamo avuto secoli in cui la giurisprudenza ha fatto il suo percorso intellettuale e individuale; oggi la ragione di stato è molto più incidente sulla vita della giurisprudenza di quanto non fosse in passato. Se il profilo di accordi internazionali può snaturare la cultura giuridica di un paese a tal punto di implicare che a costituzione vigente non vale quella costituzione bensì un’altra legge, questo indica la complessità del momento giuridico e internazionale. Oggi, comunque, come principio generale la giurisprudenza italiana ha accettato che gli accordi internazionali vengono prima di alcune leggi, teoricamente non della costituzione. Da un lato abbiamo un presidente della repubblica che ci ricorda che non va mai modificata la parte prima della costituzione italiana. Lo stesso presidente ha sempre sollecitato a partecipare ai processi europei. Ma attenzione. Se voglio stare in un consesso internazionale che promuove norme di un certo tipo che configgono con la mia costituzione, come faccio che la costituzione non va cambiata e che devo stare nel consesso internazionale? O l'una o l'altra. Siamo ormai di fatto in una situazione in cui o stiamo violando la costituzione o stiamo violando i principi degli accordi internazionali. Nella costituzione il nascituro ha diritto all'eredità, non il nato. Difatti se uccidi una donna in gravidanza vieni incriminato per duplice omicidio. Se il nascituro ha diritto all'eredità ma non il diritto al nascere, c’è un’evidente contraddizione. Da un lato è soggetto giuridico, ma dall’altro non ha diritto a nascere, se la madre non vuole portare a termine la gravidanza. Noi pensiamo all'aborto come tema sociale. Ma immaginiamo un contesto da giallo: una donna contrae un secondo matrimonio. Sta per partorire un nuovo figlio. Ma è più legata ai figli di primo letto e vuole che siano questi ad accedere all'eredità. Secondo la legge attuale questa donna ha diritto a uccidere il figlio. L'unico modo per fare giurisprudenza vera è chiamare le cose con il proprio nome. Avere abituato nei testi più recenti a cercare terminologie astrusi per celare i drammi della vita è un processo ideologico. Tutti i processi ideologici sono tale perché hanno la presa del potere come scopo. Sul testo della Roccella c'è una lunga digressione su questo aspetto, proprio perché l’eufemismo per non offendere la sensibilità di alcuni c'ha portato nel tempo ad applicare questo metodo a tutto. Così i meccanismi di questo genere applicati alle tematiche religiose, etniche, non permettono la comprensione di cosa si sta affrontando.

Esempio di questo fenomeno di adattamento della trattatistica internazionale di oggi è un testo dell’OSCE. L’OSCE è l’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa e ha una struttura che si preoccupa di cooperazione e sicurezza, che misura l’organizzazione degli eserciti e la sua qualità, una di economia, una sui diritti umani. Questa terza struttura ha visto cambiare la definizione della propria dimensione diventando da “Struttura di misurazione dei diritti umani” a “Struttura supplementare della dimensione umana, al fine di combattere razzismo, xenofobia e intolleranza”. Quando si parla di diritti umani l’espressione “diritto” e quella di “popolo” vanno insieme. Se scrivo un articolato evanescente (“dimensione umana”), dico tutto e non dico niente. Con la farraginosità del nostro sistema di giustizia, sempre più le sentenze delle corti internazionali influenzano l'Italia. Il 68% delle leggi non sono altro che ratifica italiana alle norme europee e internazionali (2001-2006). Nel governo Prodi la percentuale è salita al 78%. L’Italia, ogni 31 gennaio, con la finanziaria europea, recepisce atti che derivano da impegni presi a livello internazionale. Il problema di capire cosa affermano le convenzioni internazionali è fondamentale perché anche le stesse direttive dell'Ue derivano dalla convenzione internazionale. La normativa del lavoro interinale, per somministrazione, a progetto, per la quale due persone sono state uccise dalle Br, non dipendono da queste due persone (Biagi e D'Antona), ma sono la traduzione in italiano delle direttive di Bruxelles. In Ue la discussione sulle leggi interinali era stata fatta cinque anni prima del recepimento italiano. A questo livello internazionale dobbiamo chiederci: chi fa la giurisprudenza, chi scrive i testi? Molto spesso parliamo di persone non laureate in giurisprudenza. I funzionari che stendono i testi sono personale diplomatico, con profilo di studi del laureato in scienze politiche, con un approccio non di diritto ma di compromesso. Nel lavoro del giurista, le parole della norma sono pesate. Nella politica invece non si cerca la generalizzazione del sistema giuridico, ma il compromesso. Mentre la politica cerca il compromesso, la legge cerca la giustizia. Alla politica non interessa nulla se a Gaza abbia ragione Hamas o Israele. Nel 2005 a Betania donne israeliani e palestinesi hanno fatto insieme una attività economica. Nelle cerimonie di inaugurazione c'erano alcuni ebrei ortodossi: uno veniva dall'Europa dell'Est. Aveva un foglio che certificava il possesso del pezzo di terra che si tramandava da padre in figlio, dal momento della diaspora. In arabo palestinesi si dice filistei. Ecco a quando risale il problema, a più di duemila anni fa. Se i trattati internazionali impongono leggi nei paesi membri, il rischio di avere un profilo di legge condizionato dalla politica è elevatissimo. Si rischia di perdere una tradizione di giurisprudenza, perché non si ha più l’abitudine di ancorare delle affermazioni a un profilo di verità ma ad un profilo politico.

L'ultimo passaggio che faccio riguarda i temi del razzismo e della xenofobia. Per capire quanto incide questa questione sugli accordi internazionali bisogna rifarci a una giurisprudenza molto recente. Razzismo e xenofobia sono tornate ad essere un problema sulla scorta di un fattore epocale: una emigrazione senza precedenti dal sud del mondo, con dei tassi di immigrazione tali da causare un incremento degli insediamenti e produrre tensioni razziali. Questo è stato il caso della Francia nelle banlieus parigine s’è aperto lo scontro tra magrebini e autorità. I magrebini sono oggi il 10% della popolazione. Questo è altrettanto vero per la Gran Bretagna che aveva basato sul modello culturale la capacità di assorbimento di queste popolazioni queste migrazioni. In un dialogo interreligioso europeo era presente un ayatollah sciita che viveva in UK da trentasette anni e non parla una sola parola di inglese, poiché viveva in un quartiere di Londra dove ci sono tutti iraniani. Le tensioni legate ai fenomeni di emigrazione trovano l'unico possibile punto di ancoraggio solo nelle convenzioni internazionali. Se le convenzioni sono impotenti, questi problemi difficilmente si risolvono. Se parliamo di razzismo e xenofobia non sono più in grado di dare un giudizio sereno sul problema che ho con la comunità straniera con cui sono costretto a convivere, se non ho gli strumenti di legge per poter regolare questo contatto. Quando l'insediamento in certi quartieri è tale per cui l'integrazione non è tra stranieri nella comunità italiana ma tra italiani nella comunità straniera diventa difficilissimo risolvere gli attriti. Ci sono casi di discriminazioni alla rovescia: un quartiere è diventato presto cinese e con i tanti soldi cash i cinesi hanno comprato tutti gli appartamenti. Il livello di tensione che si stabilisce è alto. Se un italiano protesta ufficialmente viene accusato di razzismo e xenofobia, in base ai testi internazionali. Così gli stati sovrani non riescono più a controllare queste situazioni, non intervengono con leggi proprie e permettono che si creino stati nello stato. Perfino la stessa polizia non controlla le zone etniche, per vari motivi: per incomprensione, per il rischio delle percosse. A questo punto ad essere discriminato è l’italiano. Il peso dell'immigrazione oggi in Europa è di 56 milioni di persone su 530 milioni di abitanti. Oltre il 10% dell'Ue sono immigrati. Un'altra Italia immigrata è in Europa. L’integrazione di questa gente non può avvenire con la vaghezza dei testi internazionali. C'è bisogno di una legge chiara. Quando i longobardi hanno invaso l'Italia, ci si è capiti solo quando si sono piegati al diritto di Roma. Se non si vince la battaglia sul piano del diritto, non c’è spazio per una ipotetica convivenza.