lunedì 1 settembre 2008

Adozione, affidamento (15 maggio 2008)

L’adozione, l’affidamento, la collazione

Con l’adozione si instaura tra adottante e adottato, non legati da un diretto vincolo di sangue, un rapporto giuridico a contenuto personale e patrimoniale simile a quello connesso alla filiazione di sangue. Le norme che disciplinano l’adozione sono gli artt. 291 e segg. e soprattutto alcune leggi speciali: 184/1983 (legge sull’adozione), modificata dalla legge 149/2001. Da questo quadro normativo risultano tre figure distinte di adozione:

1) l’adozione di persone maggiori di età o adozione civile (o adozione legittimante). Fa acquistare lo stato di figlio adottivo ma il rapporto adottivo non coincide perfettamente con quello della filiazione legittima.

2) l’adozione di minori d’età o adozione piena.

3) l’adozione in casi particolari

Con l’adozione piena si conferisce all’adottato la posizione di figlio legittimo degli adottanti, nascendo così un vincolo che si assimila e si sostituisce totalmente a quello della filiazione di sangue. Consente pertanto l’inserimento dell’adottato in modo definitivo ed esclusivo nella famiglia dell’adottante. Con l’adozione dei maggiori di età si instaura un vincolo di filiazione che si aggiunge (non si sostituisce né si assimila) a quello di sangue, senza modificarlo. L’adottato ha un doppio status: quello di figlio adottivo verso l’adottante e quello di figlio legittimo o naturale verso i propri genitori biologici. La legge 184/’83 ha abrogato l’istituto della affiliazione, le cui finalità sono assolte in modo più adeguato dall’istituto dell’affidamento dei minori.

L’affidamento dei minori. L’art. 30 della costituzione riconosce che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”. I figli hanno il diritto di essere educati nella propria famiglia. E’ un diritto e dovere dei genitori educare i figli. Lo stesso art. 30 della costituzione riconosce che devono essere disposti interventi di sostegno ai genitori i quali versino in situazione di indigenza, idea che riprende l’art. 1 della legge sulle adozioni. La legge provvede, nei casi di incapacità dei genitori, a che siano assolti i loro compiti anche mediante l’affidamento familiare. In base a questo istituto dell’affidamento, il minore temporalmente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno, è affidato ad un’altra famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola o ad una comunità di tipo familiare. Fondamentale per capire l’istituto dell’affidamento dei minori è sottolineare la finalità di protezione che ha questo istituto e il carattere della provvisorietà dell’affidamento, che non instaura un rapporto adottivo ma mira solo ad assicurare al minore un ambiente idoneo a prestargli le cure necessarie. Il provvedimento specifico con cui si dà un minore in affidamento deve indicare i modi di esercizio dei poteri dell’affidatario, il quale ha l’obbligo di accogliere presso di sé il minore, di provvedere al suo mantenimento, educazione e istruzione e di agevolare i suoi rapporti con la famiglia di provenienza. L’affidamento cessa quando sia venuta meno la situazione di difficoltà della famiglia di origine o quando la sua prosecuzione rechi pregiudizio al minore. Nell’affidamento il minore rimane figlio a tutti gli effetti dei genitori di origine. L’affidamento cerca di collocare temporaneamente il minore all’interno di un ambiente familiare idoneo, perché il suo ambiente originario non è idoneo per lo sviluppo del minore. Ci sono tanti genitori che hanno difficoltà a gestire i figli in modo continuativo. Si richiede sempre il consenso dei genitori di origine, ma in alcuni casi (gravi) l’affidamento è effettuato anche senza il consenso. Comunque l’affidamento è un istituto che non vuole strappare i figli dal proprio habitat familiare, ma solo coadiuvare la famiglia d’origine, in temporanea situazione di difficoltà. Tanti figli di extracomunitari o di prostitute danno i propri figli in affidamento. L’istituto dell’affidamento è un istituto molto difficile e delicato, che aiuta molto la famiglia e il figlio. La famiglia che accoglie deve accettare che il figlio non rimarrà sempre con sé e deve contribuire a riallacciare i rapporti con la famiglia di origine. Si cerca di solito l’accordo con i genitori di origine. Questi minori non sono adottabili perché si cerca di far crescere il minore nell’ambito familiare d’origine.

Adozione

Con l’adozione si mira a supplire alle carenze affettive e materiali di un minore con l’ingresso di questo minore in una famiglia diversa da quella originaria. L’adottato acquista lo stato di figlio legittimo dagli adottanti, i quali gli trasmettono il cognome. In questo caso cessano i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine. L’acquisto dello stato di figlio legittimo degli adottati è definitivo e l’adottato entra nella nuova famiglia che diventa la sua unica famiglia. D’accordo con la legge di adozione possono adottare solo i coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, trai quali non sussista separazione personale nemmeno di fatto. L’adozione piena è preclusa a chi non sia coniugato. Gli adottanti devono essere effettivamente idonei e capaci di educare e istruire il minore ch intendono adottare. La loro età deve superare di almeno 18 anni e non più di 45 l’età dell’adottato. Questi limiti possono essere derogati qualora il tribunale dei minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno più grave per questo minore. Non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo dei coniugi in misura non superiore a 10 anni. L’adottando deve essere un minore in stato di adottabilità. Se ha compiuto 14 anni deve dare il consenso all’adozione. Se ha compiuto 12 anni deve essere comunque sentito. Lo stato di adottabilità è dichiarato dal tribunale dei minori (del foro in cui si trovano i minori) in situazioni di abbandono, perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio (art. 8 l.adoz.). Una volta dichiarato lo stato di adottabilità questa dichiarazione prelude all’affidamento preadottivo, affidamento diverso dall’affidamento familiare. L’affidamento preadottivo consiste in un periodo di un anno, prorogabile nell’interesse del minore, nel quale il minore è affidato ai coniugi che hanno presentato domanda di adozione. I coniugi che vogliono adottare un minore presentano domanda al tribunale dei minorenni. Il tribunale verifica la fondatezza della domanda di adozione. Quando arriva un minore adottabile, il tribunale sceglie i coniugi opportuni, verifica i requisiti di età. Solo a questo punto si dispone l’affidamento preadottivo. Questo affidamento è una fase strumentale all’adozione. Si determina un primo anno “di prova”. Se l’inserimento è difficile si procede all’inserimento in un’altra famiglia. Nel caso in cui si dimostri che l’affidamento è stato possibile il tribunale dichiarerà l’adozione piena e definitiva e il minore entra a formar parte della famiglia come figlio legittimo. L’affidamento preadottivo non dà lo status di figlio, che si attribuisce solo con la dichiarazione di adozione.

Adozione internazionale, del maggiore di età, in casi particolari

Patto di famiglia

E’ una modifica recentissima del 2006 del c.c. Il patto di famiglia si inserisce nel lambito del divieto di patti successori. Si tutela la libertà assoluta nella disposizione dei propri beni dopo la morte. Il testatore può fino all’ultimo momento revocare il testamento. Vige il principio di divieto di patto successorio. Tuttavia nella pratica si sono sviluppate pratiche che servono per eludere questo divieto. Alcuni di questi patti sono stati dichiarati nulli, perché hanno come unico scopo la frode della legge. Altri sono riconosciuti validi perché nel nostro ordinamento è possibile stipulare un contratto e porre come condizione la morte della persona. Una delle principali eccezioni al divieto di patto successorio è il patto di famiglia. Con esso il legislatore ha riconosciuto meritevole di tutela l’esigenza di riconoscere efficacia ad un disegno concordato di trasmissione familiare della ricchezza. In questa prospettiva s’è introdotta una parziale deroga al principio di divieto di patto successorio con la legge del 14 febbraio 2006 n°55. Questa legge prevede la possibilità di regolare con contratto (Patto di famiglia) il trasferimento dell’azienda relativa ad un’impresa familiare o le partecipazioni societarie di cui l’imprenditore sia titolare, a favore di uno o più discendenti (art. 768-bis). Il patto di famiglia è un vero e proprio contratto, atto inter vivos, anche se gli effetti saranno prodotti post mortem. Condizione di validità di questo atto, oltre alla forma dell’atto che deve essere pubblico, è che abbiano partecipato all’atto tutti i legittimari, ove nel momento in cui il contratto si stipula si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore. La logica è che al contratto partecipino tutti i legittimari, affinché diano il consenso. Se uno dei legittimari non vuole partecipare all’atto e il patto di famiglia si conclude, è nullo. La funzione è consentire che il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie in capo ad un solo discendente non sia assoggettato alla collazione. La collazione è un istituto in virtù del quale, per procedere alla divisione ereditaria, vengono contanti anche quei beni usciti dal patrimonio del de cuius in vita attraverso donazioni. Si ritiene, a meno che il de cuius abbia affermato contrariamente, che quello che è uscito in vita con liberalità si faceva a conto della propria parte. Per cui rientrano nella massa ereditaria quei beni usciti verso gli eredi. Se il patto di famiglia fosse accettato senza limitazioni e il contratto prevedesse che l’azienda sia concessa ad uno dei figli, e se si applicasse appunto il principio della collazione, il bene dell’azienda rientrerebbe nella massa ereditaria. Invece il patto di famiglia ha proprio lo scopo di escludere l’azienda dalla collazione e dall’azione di riduzione da parte dei legittimari. Gli altri legittimari vengono liquidati nelle loro pretese attraverso il pagamento di somme di denaro che deve realizzare il soggetto che ha ricevuto l’azienda o le partecipazioni societarie. L’azienda, come bene, ha un valore se rimane unita. Per questo il patto di famiglia si applica quando il bene è un’azienda di un’impresa familiare. Si tratta di un bene particolare. E’ possibile che il patto di famiglia si realizzi in più accordi. E’ sempre necessario che partecipino tutti i legittimari. La stipulazione di un patto di famiglia può dare luogo ad un problema di tutela dei legittimari nel caso in cui questi legittimari sopravvengano o siano nati dopo la conclusione del patto di famiglia. In questo caso l’art. 778-sexies prevede che all’apertura della successione i legittimari che non hanno partecipato al contratto richiedano ai beneficiari del patto di famiglia la liquidazione della somma che sarebbe stata loro assegnata aumentata degli interessi legali. S’è pensato di tutelare in qualche modo le piccole e medie imprese italiane in modo che la successione non sia danno per l’impresa.

Collazione

La collazione è il conferimento di beni di qualunque tipo nella massa ereditaria che i beneficiari hanno ricevuto dal de cuius a titolo di liberalità. La ratio di questo istituto è la seguente: con la donazione si presume che il de cuius abbia semplicemente voluto anticipare in vita quanto avrebbe poi lasciato post mortem. E’ possibile che il de cuius dispensi che quella liberalità non è soggetta a collazione.

Riscatto successorio. Quando ci sono più eredi, si forma una comunione tra gli eredi. Quando un erede vuole vendere la sua quota di eredità ad un terzo, deve notificare la proposta agli altri eredi, che godono di un diritto di prelazione entro due mesi dalla notificazione. Il coerede che vuole vendere deve preferire il coerede nei confronti di qualunque terzo. Si vuole proteggere il patrimonio all’interno della famiglia. Se non si notifica (denunciatio) gli altri coeredi hanno il diritto di riscattare la quota dell’acquirente. Prima hanno il diritto di prelazione. Se non c’è la notifica, c’è il diritto di riscatto finché dura la comunione.

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