martedì 30 settembre 2008

Codificazioni 2

Codificazioni Ott 10
Il nome del corso è titolato “Storia delle codificazioni moderne in Europa”. Le codificazioni non sono solo un fatto europeo, ma di ogni ordinamento che si rifà a un sistema romano. Inoltre l’Europa ha paesi che non utilizzano il sistema romano. Il codice, civile, in particolare, è l’oggetto centrale di questa studio. In riferimento alla storia ci induce a capire che si analizzeranno i codici anche del passato. Il riferimento all’Europa crea problemi perché vi sono paesi che hanno codici, e appartengono al sistema di diritto romano, e altri paesi che appartengono al sistema di common law. Quello che noi chiamiamo sistema di diritto romano è chiamato anche in altri nomi:

· Sistema di diritto romano o romanistico

· Sistema di diritto romano-germanico (si mette in luce l’influenza germanica)

· Sistema di diritto romano-canonico (si mette in luce l’influenza della chiesa)

· Sistema di diritto codificato (si fa riferimento all’importanza dei codici)

· Sistema di diritto continentale (si mette in luce la contrapposizione con l’isola britannica)

Esistono due sistemi di diritto: il sistema di common law e quello di civil law (sistema di diritto civile). Il sistema del diritto romano è alla base dell’ordinamento di molti paesi:

· Europa continentale

· America latina (da Messimo a Patagonia)

· Paesi musulmani francofoni e ispanofoni, l’Egitto, la Turchia (in posizione mista: convivono elementi di diritto musulmano, in maggioranza e altri di diritto romano)

· Sudafrica (in forma non codificata)

· In Asia, in particolare nel Giappone, a Taiwan, nella Russia (e paesi ex Urss), nella Cina

Il sistema di common law è alla base di altri molti paesi:

· Inghilterra

· Stati Uniti d’America

· Le ex colonie di Commonwealth, come per esempio l’India

· Paesi musulmani (convivono elementi tradizionali e altri di common law)

Il panorama complessivo è articolato su due sistemi che hanno la loro origine in Europa. Ci sono poi altre esperienze con cui i due sistemi si sono combinati.

In questo discorso sono state usate le parole “sistema” e “ordinamento”. Con la parola “sistema” enfatizziamo un momento essenzialmente di lavoro scientifico. I giurisperiti elaborano diritto: procedono o caso per caso (common law) oppure cercano una coerenza interna costruendo uno schema logico (civil law). Il concetto di sistema parte da un lavoro di giuristi. Il concetto di ordinamento indica l’ordine. Ordine e sistema sono parole vicine: ma mentre l’ordine o è rispettato e quindi esiste o non è rispettato e quindi non esiste; il sistema, invece, se non è rispettato, esiste ugualmente. Ogni gruppo organizzato ha un proprio ordinamento (anche i gruppi malavitosi). La parola ordinamento è riferita non solo allo stato, ma anche a altre istituzioni. L’ordinamento è quell’insieme di istituzioni e regole che sono giuridici nella misura in cui sono dello stato. La giuridicità dell’ordinamento è garantita dal fatto che esso sia dello stato. La parola sistema non è latina. Troviamo in Celso la definizione mantenuta da Ulpiano e da poi da Giustiniano nel Digesto: il diritto è ars boni et aequi. Cosa si intende per ars? L’espressione ars viene utilizzata un secolo prima da Cicerone, in quale auspica che il diritto venga in artem redactum, cioè definito, articolato in genera e species. Spera che venga fatta una esposizione sistematica del diritto. Prima di Cicerone, Quinto Mucio (come riferito da Pomponio) primus jus civile generatim constitutum, cioè espose per primo il diritto civile per generi e specie. Questo termine ars indicava una esposizione sistematica. Alcuni allievi di Servio raccolgono quello che ascoltano e lo compongono in Digesta; “digerere” significa ordinare. Digesto sarà poi uno dei tre codici redatti dai giuristi. Qui scatta la continuità terminologica: nella costituzione “Tanta dedo”, bilingue, dove in latino c’è “digerere”, in greco troviamo “sustema”. Abbiamo la possibilità che vi è una linea di continuità tra ars, digerere e sistema. L’elaborazione del sistema del diritto è frutto della scienza giuridica che pone in sistema ciò che viene prodotto da tante fonti. Pomponio, dopo aver detto come viene prodotto il diritto (legge, plebisciti, senatoconsulti, le costituzioni del principe, l’editto del pretore, il parere dei giuristi, le consuetudini), afferma che tutto questo diritto non avrebbe senso se non vi fossero dei magistrati che lo governano. Ecco l’anello tra l’esistenza del diritto e l’effettività del diritto. In Pomponio possiamo distinguere tra sistema, ciò che viene prodotto attraverso i giuristi, e l’ordine che i magistrati realizzano facendo rispettare questo sistema. Abbiamo già nei giuristi romani lo strumento per distinguere gli ordinamenti che si inspirano a un sistema, e il sistema stesso, cioè questa arte del buono e del giusto che sta alle spalle. Distinguiamo quindi il diritto romano dall’insieme di ordinamenti ad esso collegati. Il sistema non è una federazione di ordinamenti, ma il frutto di una costante rielaborazione dell’esperienza giurisprudenziale, fatta per mezzo di varie fonti e da molti popoli diversi. All’interno dei diversi complessi di esperienza giuridica solo il nostro ha elaborato se stesso come sistema. Gli altri complessi di esperienza giuridica non si sono auto compresi. Questo è il frutto di una scienza giuridica che lavora da 2500 anni su un metodo che ne costituisce l’ossatura portante.

Possiamo periodizzare le età dei sistemi

· Età della formazione del sistema, che va dalla fondazione di Roma fino a Giustiniano. Questo periodo è un continuo accrescersi della civitas e del suo diritto. Abbiamo la prospettiva romana della civitas augescens. Civitas come complesso dei cittadini, come comunità politica. La civitas fa riferimento sia alla città che ai cittadini, la cittadinanza. La civitas è augescens, cioè si accresce. Non accresce solo il territorio, ma soprattutto il popolo organizzato. La parte terminale di questo periodo consiste nella codificazione di Giustiniano: il diritto viene riunito e offerto a tutti i popoli (Giustiniano elimina la distinzione tra cittadini e peregrini, cioè stranieri).

· Età della concorrenza tra sistema del diritto romano e istituzioni giuridiche medievali, che non si integrano in esso. È il periodo in cui l’emigrazione dei popoli porta alla crisi dell’Impero Occidentale. Questo periodo inizia nel V secolo. L’immigrazione dei popoli comporta un concorrere di diritti diversi, di esperienze giuridiche diverse. Il sistema del diritto romano, maturato con Giustiniano, si trova a concorrere con istituzioni medievali, di origine germanica, che non si integrano nel sistema. Si integrano in ordinamenti con diritti concorrenti. Si ha un periodo di personalità del diritto. Vi sono principi estranei al sistema del diritto romano: per es. il feudo. Il diritto romano viene riscoperto con l’università di Bologna, con le vicende del Sacro Romano Impero di origine germanica.

· Età delle grandi rivoluzioni e codificazioni. Questo periodo inizia con il 1400. È il secolo delle grandi scoperte geografiche. C’ una rivoluzione della conoscenza del mondo. Viene scoperto il Nuovo Mondo. Si mettono in moto grandi rivoluzioni economiche (industriali), politiche (francesi, indipendentiste) e sociali (sovietica, cinese) che culmineranno poi in trasformazioni giuridiche, che sono le codificazioni giuridiche.

Noi ci incentreremo nell’ultimo periodo, quello delle codificazioni, che contiene anche le costituzioni moderne, che culmina con la ricodificazione del diritto nell’età moderna, che inizia a partire dal ‘700. Inizieremo ripassando lo studio della codificazione giustinianea che è la matrice dell’esperienza moderna.

Il sistema si articola in sottosistemi. Si sono introdotti elementi di tale rilevanza che modificano talune caratteristiche del sistema. Per uno studio del sistema è meglio operare delle distinzioni. La designazione iniziale (sistema romano-germanico) indica che nel sistema romano sono confluiti esperienze diverse. Per molti aspetti notiamo che i codici dell’area centroeuropea sono molto più romanistici dei codici francesi. I sottosistemi sono i seguenti:

· Latinoamericano. L’esperienza romana è giunta attraverso l’esperienza iberica (Castiglia e Portogallo) e si è incontrata con una realtà che non aveva una percezione di unità ma aveva istituzioni giuridiche differenziate. Il sistema romano ha dato unità a questa situazione, ma non ha cancellato le esperienze precedenti. Tuttora vi sono elementi di origine precolombiana consuetudinaria.

· Islamico. Il sistema romano convive, in aree circoscritte della vita sociale, con il sistema islamico.

· Cinese. La ricezione del sistema del diritto romano in Cina è tuttora in corso e porterà alla configurazione di un sottosistema con elementi autonomi.

Codificazioni Ott 15

Distribuzione delle due schede e delle fotocopie delle fonti.

Ars: “sistema del buono e dell’equo”

Jus: « constans et perpetua voluta jus suum uniquique tribuere », cioè “ una costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto”. La giustizia è una virtù (volontà costante e perpetua). Il diritto è prodotto da leggi, plebisciti, senatoconsulti, costituzioni del principe, editti del pretore, giurisprudenza, consuetudini. Il diritto vigente è differente dal diritto effettivamente rispettato. Il diritto, se non è anche effettivo, cessa di essere ordine di una società. Il diritto può consistere di diverse parti: diritto naturale, delle genti, civile. Questi tre complessi di norme costituiscono lo jus romanum commune. Parliamo del sistema del diritto romano, a cui si ispirano diverse comunità politiche organizzate. Abbiamo diviso la storia in periodizzazioni. Il sistema è iniziato con la fondazione di Roma. La svolta c’è con la codificazione di Giustiniano. Un altro periodo è quello della concorrenza tra sistema del diritto romano e istituzioni giuridiche di origine germanica, medievali. Questo periodo di concorrenza è terminato con la rivoluzione francese che aveva cancellato le ultime tracce delle istituzioni medievali, già esaurite quasi totalmente precedentemente. C’è poi l’età delle grandi rivoluzioni (esplorative, sociali, politiche, industriali). L’ultima di queste rivoluzioni è quella della repubblica popolare cinese (1949). Questo periodo si qualifica delle grandi rivoluzioni e delle codificazioni.

Crisi dello statual-legalismo: l’ultimo periodo vede codificazioni e rivoluzioni. Allo stesso tempo vede formarsi una dottrina giuridica che dice che “l’unico soggetto che produce diritto è lo stato”. Il diritto è giuridico quando è posto dallo stato. Le altre regole sono di altro carattere. Lo stato conferisce giuridicità con le leggi. Questo stato allora può anche decentrare il proprio potere. Lo stato moderno è il modello dello stato assoluto (sciolto dall’osservanza di altre norme). Lo stato assoluto si plasma alla fine del ‘700. Questo assolutismo passa allo stato nazionale. Siamo nell’800. Lo stato non è più incarnato da un monarca, ma diventa impersonale, essendo rappresentato a turno da un presidente. La fine dell’800 vede affermarsi l’idea che lo stato è l’unico soggetto creatore di diritto. Questa esperienza diventa forte perché si crea un collegamento tra quest’idea e un gruppo sociale che si riassume nell’emergere delle nazioni. Il concetto di nazione resta un concetto abbastanza astratto. Un gruppo sociale che si identifica nello stato si avvale del proprio potere per costruire entità nazionali, stati nazionali territoriali. Nell’800 abbiamo stati nazionali territoriali assoluti, sciolti da qualsiasi vincolo. Ma poi, nel ‘900, ci si accorge che un simile stato rischia di produrre tragedie immense. Il nazionalismo produce tragedie immense. Allora si riconosce che anche gli stati sono regolati, non solo dalle norme da essi imposti, ma che da diritti degli uomini e dei popoli, già affermati nel Settecento e dimenticati nell’800 nazionalistico. Con la seconda metà del Novecento si giunge ad un momento di ripensamento, in cui vengono sanciti a livello internazionale dei diritti inviolabili dell’uomo.

La volta scorsa si sono individuati vari sottosistemi:

· America latina (il sistema è giunto attraverso l’interpretazione della penisola iberica). Il periodo coloniale aveva una capacità maggiore di conservare le forme giuridiche dei popoli indigeni. È stato l’Ottocento che ha teso ad appiattire queste differenze. Dal Messico al Perù ci sono significative presenze delle tribù precolombiane. Il problema delle istituzioni di origine precolombiano continua ad essere un sistema vivo. Il sistema dell’America latina è composto da elementi romano-iberico-precolombiani.

· Il sistema islamico ha assorbito elementi del nostro sistema codificato occidentale in determinati settori (proprietà e obbligazioni).

· Il sistema è qualcosa in movimento: in Cina c’è in atto questo percorso di ricezione del diritto. Quella cinese è una grande cultura ed è improbabile che l’incontro col diritto romano non dia vita a qualcosa che abbia connotati nuovi.

Esiste anche la distinzione tra sistema e complessi di esperienza giuridica. Questa definizione “complessi di esperienza giuridica” è più elastica poiché abbraccia tutti i tipi di esperienze giuridiche, ed è anche più povera, poiché non richiede che queste esperienze giuridiche costituiscono un sistema. La necessità di creare questa distinzione è legata al fatto che, avendo distinto il sistema dall’ordinamento, non si fa riferimento a uno specifico ordinamento come insieme di regole e istituti che si applicano ad opera di determinati poteri, ma si fa riferimento a un diritto che viene elaborato in sistema. Non tutti i diritti vengono elaborati in sistema. Potremmo dire che solo quello del diritto romano viene elaborato in sistema. Anche per esso, dobbiamo procedere con una certa cautela. L’esperienza che va dalla fondazione di Roma a Giustiniano vede un’affermazione della unità sistematica lenta. Se stiamo attenti ai modi con cui i giuristi stessi capivano e formulavano il diritto, notiamo per esempio l’espressione “jura populi romani”, dove jura indica un plurale. L’espressione jus romanum e jus commune romanum sono espressioni che maturano rispettivamente nel IV sec. e nel VI sec. E’ vero che l’espressione jus romanum la troviamo già in storici (Livio), però l’espressione che allora i giuristi usavano era jura populi romani: d’altra parte, c’era lo jus civile, jus gentium, jus honorarium. Avevano esperienza di questa pluralità, e la riconduzione ad unità è un’opera che procede lentamente nei secoli. La visione dell’unità che matura non cancella la pluralità sottostante, anche se la capisce e la comprende come un diritto digestum, ordinato, all’interno del quale non può esserci contraddizione; cioè, un insieme di concetti e principi e norme e istituti che regolano la vita della società e fra le quali c’è una splendida armonia. Non ci sono contraddizioni. L’idea del sistema è un insieme di proposizioni che fra loro non si contraddicono. Il nostro sistema inizia quando con Quinto Mucio si costituisce per la prima volta il diritto civile generatim, per generi e specie; prosegue e matura con la codificazione di Giustiniano. Il fatto che il diritto sia un sistema è conseguenza del fatto che all’elaborazione di quel diritto collaborano in modo significativo dei giuristi che si preoccupano di elaborare questa ars secondo un criterio sistematico. Un complesso di esperienze giuridiche in cui non matura una simile auto-comprensione non è un sistema: avrà anch’esso delle armonie e disarmonie. Resterà un complesso di esperienze in cui si procede casuisticamente, caso per caso. In certa misura, il diritto musulmano è più vicino all’essere sistema, perché è stato guidato da un ceto di giuristi. Invece il complesso di esperienze del common law è guidato da un gruppo di giudici che tendono a raggiungere la pace per il caso concreto. La logica non è vedere schemi nei quali ci si colloca in modo armonioso col sistema, ma è trovare la pace per il caso di turno. Ciò implica conseguenze immaginabili sui rapporti di forza fra le parti litiganti. Difatti mentre nel nostro sistema l’obiettivo fondamentale è difendere la parte debole, cioè garantire l’equità, nel diritto di common law lo scopo è raggiungere la pace per il caso concreto: ma se nel caso concreto i rapporti di forza non sono eguali, si rischia di dare ragione al più forte. Nel nostro sistema si cerca sempre di dettare prima la regola secondo la quale si dovrà poi, da parte dei magistrati, procedere per risolvere le controversie. L’esigenza di elaborazione del sistema è anche connessa con questo tipo di obiettivo. L’espressione “complesso di esperienze giuridiche” è quindi diverso dall’espressione “sistema”.

La mitologia indicava come Europa quella porzione di terraferma a nord delle isole del mare Egeo. Questo concetto di Europa viene man mano estendendosi con le esplorazioni e i traffici commerciali fino a comprendere i territori che si affacciano sull’Atlantico, il Mar Nero, il fiume Don. Questa area si contrapponeva all’Asia, che includeva quella che oggi definiamo l’Asia Minore e inizialmente anche la costa libica africana. Poi si venne distinguendo l’Africa come Libia, per contrassegnarla dall’Asia. Dopo questa divisione rimane la tripartizione che resta dominante per secoli: Europa, Asia, Africa. Il confine orientale dell’Europa è un confine di difficile accertamento (oggi s’è consolidata che siano gli Urali). L’Europa ha due sistemi giuridici: common law e civili law. Il sistema del diritto romano è presente nell’Europa continentale e in parte presente in Scozia. Studiando le codificazioni, ci occuperemo del sistema del diritto romano. L’attenzione è concentrata sull’Europa. La codificazione moderna è il centro del nostro studio ma non possiamo non conoscere il sistema delle fonti del diritto e in particolari i codici di Giustiniano. La prima parte del codice si riferisce a questo modello.

Le fonti distribuite sono per la maggior parte giuridiche, tratte dall’opera di Giustiniano. Il modo di citarle è il seguente:

· Digesto con la D.

· Codici con la C.

· Istituzioni con la I.

Poi si mettono dei numeri (questo vale sia per il codice che per il Digesto)

· Il primo numero indica il Libro

· Il secondo numero indica il Titolo

· Il terzo numero indica il Frammento

· Il quarto numero indica il paragrafo

Nel Codice ci sono frammenti di costituzioni (leges). Nel digesto ci sono frammenti di scritti dei giuristi (jura).

Le Istituzioni di Giustiniano sono fatte partendo dalle istituzioni di Gaio, Ulpiano e altri. Il discorso non viene svolto facendo un’antologia di frammenti, bensì come discorso continuo messo in bocca a Giustiano. Invece che quattro numeri ne abbiamo tre:

· Libro

· Titolo

· Paragrafo

Il titolo non è diviso in frammenti.

I frammenti del Digesto portano l’indicazione in epigrafe del giurista che lo ha scritto, dell’opera del giurista, dal libro dell’opera del giurista. Non viene indicata la pagina perché allora si utilizzavano i rotoli. Quando si tratta di una costituzione l’epigrafe include il riferimento all’imperatore che ha emanato la costituzione e al destinatario della stessa.

Il modo di citare D. 1.1.1. pr (principium) indica il Digesto, libro primo, titolo primo (i titoli hanno una rubrica che si chiama così perché viene da rubrum che significa rosso), frammento primo; il primo paragrafo lo si indica con Pr, che indica il principium, e poi a seguire i numeri.

Ci sono dei brani tratti dalle costituzioni relative alla relazione dei codici di Giustiniano. Leggere le fonti serve per conoscerle e per comprendere il significato delle parole in latino.

In fotocopia abbiamo il frammento di Pomponio nel libro unico del manuale (liber singularis egceiridi). È l’unico frammento corposo di storia del diritto romano scritto da un giurista romano. Vi son stati studi che hanno messo in luce come i giuristi romani facessero degli excursus storici, ma nei codici Giustiniano ha ridotto moltissimo la parte storia, lasciandoci solo questa frammento di Pomponio. È un frammento che inizia con un’osservazione di metodo: “Ci sembra necessario, quindi, mostrare l’origine e il processo storico del diritto. All’inizio della nostra città, il popolo dapprima cominciò a compiere atti senza legge certa, senza diritto certo, e tutte le cose erano governate dalla mano dei re”. Ci viene rappresentata una situazione di incertezza del diritto. C’è poi un riferimento alla manus: simbolo di fides. Continua inoltre: “Poi, essendosi accresciuta fino ad una qualche grandezza la cittadinanza, si tramanda che lo stesso Romolo abbia diviso il popolo in trenta parti, che chiamò ‘curie’ per il fatto che allora espletava la cura della cosa pubblica attraverso deliberazioni di tali parti”. Viene posta all’inizio la divisione del popolo in comizi curiati e si attribuisce a questi comizi il potere di fare le leggi. Pomponio vuole porre l’origine della legge come contemporanea all’origine della civitas. Notiamo il primato della legge. Al paragrafo 3: “Cacciati in seguito i re con legge tribunizia, tutte queste leggi caddero in disuso e il popolo romano cominciò per la seconda volta a fare uso di un diritto incerto e di qualche consuetudine più che della legge; e tollerò ciò per quasi venti anni. Poi, affinché ciò non durasse più a lungo, parve bene istituire un collegio di dieci uomini con autorità pubblica, per mezzo dei quali si acquisissero leggi dalle città greche e la città di Roma venisse fondata dalle leggi”. ‘Fondata’ non è una parola qualsiasi: si fa riferimento alla fondazione della città. Abbiamo una nuova fondazione, una fondazione della città dalle leggi, con le leggi (legibus). Le XII tavole costituirono un cambio profondo di qualità della vita di Roma. Abbiamo una rifondazione della città. Il primato della legge è certo ed è legato alle XII tavole che vengono quindi a costituire una sorta di codice (ma in questo caso l’accezione è anacronistica) che Livio definisce “capace di regolare tutto il diritto pubblico e privato”. Da quel momento si vive una realtà nuova: tutti i cittadini sono di fronte alla legge. Pomponio scrive nel II sec. d.C.

Codificazioni Ott 17

Nel frammento di Pomponio si disse che le XII tavole fondarono la città con le leggi. C’era una rifondazione della città. Livio qualificò le XII tavole come fonte di tutto il diritto pubblico e privato. L’ultima pagina delle fonti contiene alcuni riferimenti alle XII tavole. Il decemvirato legislativo si qualificò come una riforma costituzionale temporanea (anche se il secondo decemvirato tentò di rimanere permanente). Inoltre, vennero sospese tutte le altre magistrature (consoli, tribuni, ecc.). Quindi, all’inizio della rifondazione della città viene collocata la legge, fonte di tutto il diritto pubblico e privato. Il frammento di Pomponio si cura di porre la legge all’inizio stesso della città, affidando a Romolo il compito di creare i comizi curiati. La legge viene riferita come fonte di diritto istituita contemporaneamente alla città. Si tratta di leggi portate ad approvazione senza un ordine, e su temi circoscritti. Allora assistiamo, sul testo di Pomponio, a un cambiamento di qualità consistente. Il nuovo periodo di incertezza che si ha con la caduta dei re è interrotto dalla creazione delle XII tavole che sono fonte di tutto il diritto pubblico e privato. I fasti sono le liste dei magistrati eponimi che danno il nome all’anno (oggi presente al Museo Capitolino). Uno degli elementi fondamentali delle XII tavole è il principio secondo cui “tutto ciò che il popolo avesse successivamente stabilito, ciò fosse diritto”. Le XII tavole (non qualificabili come codificazioni, sarebbe anacronismo) anche se non complete, hanno quindi uno strumento idoneo per una continuazione dell’attività legislativa stessa. Nelle fotocopie ci sono quattro leggi delle XII tavole: sono utili per comprenderne lo stile. Legge 6,8: “Il trave unito ad un edificio o ad un vigneto, anche se lo prese , non venga tolto via” (“Tignum iunctum ne solvito”). L’italiano è prolisso; il latino è brevissimo e diretto. Il proprietario del trave non può togliere il suo trave se esso fa parte di un altro edificio. C’è uno stile brevissimo. Legge 8,12: “Se di notte commetta un furto, se lo uccise, sia considerato ucciso secondo diritto” (“iure coesus esto”). Questa è la norma relativa al fur nocturnum, il ladro notturno. Anche in questo caso lo stile è brevissimo. Il ladro che opera di notte può essere legittimamente ucciso, a patto che chiami i vicini a testimonianza del fatto. Legge 8,21: “Il patrono, se abbia mancato all’affidamento nei confronti del cliente, sia sacer” (“Patronus, qui clienti fraudem fecerit, sacer esto”). Anche qui possiamo notare lo stile breve. Notiamo anche una forma in cui prima si descrive la fattispecie (“il patrono che ha mancato all’affidamento verso il cliente”) e poi c’è la conseguenza (“sia sacer”). La sacertas corrisponde ad una pena capitale. Legge 10,1: “Non si seppellisca né si bruci nella città un uomo morto”. L’ordine secondo cui sono state ricostruite le XII tavole è totalmente in discussione. Essendoci giunte le XII tavole solo attraverso singoli frammenti, l’insieme è il risultato di una ricostruzione degli storici. Della struttura dell’enunciato normativo risalta la sua brevità e il carattere di imperatività (“non si seppellisca”) o di descrizione di fattispecie e previsione della conseguenza (“Il patrono che… sia sacer”). Esistono quindi due tecniche:

· norma che pone l’ordine (imperativismo del diritto)

· fattispecie e conseguenza (previsione di una situazione astrattamente prevista nelle quali sono sussunte dei fatti)

Abbiamo poi altre fonti di Livio e di Cicerone. Livio 3,31,7: “Per la scelta dei decemviri si nominassero d’accordo, scegliendoli sia dalla plebe come dai patrizi, uomini aventi l’ufficio di proporre leggi tali da essere utili ad entrambi gli ordini e con esse ogni altra riforma atta a rendere tutti pari nelle libertà civili”. La plebe chiedeva un codice perché i due ordini venissero uguagliati. Si chiede l’isonomia, cioè l’uguaglianza di fronte alla legge; quell’aequum che Celso individua come parte fondamentale del diritto. 3,34,6-7: “Le leggi contenute nelle dieci tavole venero approvate nei comizi centuriati, ed esse sono ancora oggi quelle che, in questo enorme cumulo di leggi affastellate le une sulle altre, costituiscono la fonte di tutto il diritto pubblico e privato. Si diffuse poi la voce che mancavano ancora due tavole, aggiunte le quali si sarebbe potuto considerare compiuta questa specie di corpus di tutto il diritto romano”. Abbiamo in uno storico, come termine, non quello di codice, che non esisteva ancora, ma quello di corpus. C’era già la polemica verso le leggi affastellate (cosa dovremmo dire oggi!). Allora le XII tavole vogliono ridurre la quota di legge e quindi dare certezza del diritto. 3,57,10: “Prima di lasciare Roma, i consoli Valerio e Orazio esposero in pubblico, incise nel bronzo, le leggi decemvirali che vengono chiamate XII tavole”. La legge diventa momento di comunicazione del diritto. Il diritto delle XII tavole è un diritto che si affigge in un luogo pubblico perché qualsiasi cittadino possa leggerlo e conoscerlo. L’obiettivo della leggibilità del diritto da parte di qualsiasi cittadino è un obiettivo che riemerge nelle varie fasi della storia (rivoluzione francese, repubblica democratica tedesca, rivoluzione cubana). Lo stile degli enunciati normativi era largamente leggibile e comprendibile. 7,17,12: “Nelle XII tavole era legge qualsiasi cosa il popolo da ultimo avesse ordinato, ciò fosse diritto ratificato”. Questa è una delle regole delle XII tavole. Ciò che stabilisce il popolo è legge. Su ciò ci sono delle discussioni. In Roma stessa vi è la clausola di autolimitazione delle leggi: le leggi non potevano approvare qualcosa che non fosse conforme a diritto, che non fosse ius. Leggiamo adesso anche Cicerone nel De Orat. 1,44,195: “Protesti pure chi vuole, io dirò schiettamente il mio pensiero: a mio avviso la sola raccolta delle XII tavole, se teniamo conto dei principi fondamentali delle leggi, supera, per peso di prestigio e ampiezza di utilità, tutti i trattati dei filosofi”. Fino a Cicerone e anche oltre le XII tavole continuano ad essere il paradigma, il punto di riferimento per il diritto romano. De leg. 1,15,17: “Non dunque ritieni che la dottrina del diritto vada attinta dall’editto del pretore, come ora ritengono i più, né dalle XII tavole, come ritenevano i giuristi più antichi, ma direttamente dalla più intima e profonda filosofia di esso”. Si pone una riflessione critica verso ogni tipo di legge. Nel De Legibus Cicerone si interroga sul diritto in sé e da dove esso scaturisca. Egli crede che i principia iuris siano nella natura. De leg. 3,4,11: “Non presentino leggi per singoli cittadini. Della vita del cittadino, non decidano se non con il concorso del comizio massimo. 3,19,44 Due magnifiche leggi delle XII tavole, una delle quali vieta leggi riguardanti singoli cittadini; l’altra vieta di prendere provvedimenti sulla vita del cittadino, se non per mezzo del comizio centuriato”. La legge ad personam è vietata già a partire dalle XII tavole. Nel secondo divieto c’è un argine al potere di imperium, dando la possibilità di appellarsi al comizio da parte di chi è perseguito dal magistrato con un accusa di carattere capitale.

Il metodo sistematico dei giuristi. La scienza giuridica a Roma si sviluppa con una giurisprudenza (prudentia iuris, scientia iuris) di collegi sacerdotali, pontefici e feziali. Successivamente si è sviluppata la c.d. giurisprudenza laica, che giunge fino all’inizio del III sec. d.C., secolo nel quale abbiamo la crisi della successione dell’Impero (che termina con la tetrarchia di Diocleziano), che porterà allo spostamento della capitale da Roma a Costantinopoli (Seconda Roma). Roma rimane capitale ma non vediamo più in Roma continuare questo ceto di giuristi. Questi giuristi non solo elaborano il diritto ma sono anche personalità di spicco. Elaborano il diritto con tre attività che vengono di norma elencate in questo modo:

· cavere: consulenza per attività cautelare, per evitare controversie

· agere: consulenza in azioni processuali, in situazioni controverse

· respondere: consulenza data per responsa, cioè pareri su determinate questioni

Gli aspiranti giuristi andavano spesso ad ascoltare, in qualità di auditores, gli insigni lavori dei giuristi illustri. Non è un tipo di apprendimento che parte dalle istituzioni, ma parte dalla discussione su esempi e casi concreti. Questi auditores provengono da famiglie della nobilitas, che già conoscono le nozioni basilari del diritto. Nel II sec. d.C. vengono prodotti manuali istituzionali, perché il contesto è cambiato. L’arrivo nella cittadinanza di persone che provengono dalle province fa sì che queste conoscenze di base non necessariamente siano presenti. Di questo discorso interessa vedere qualche profilo attinente al metodo del lavoro dei giuristi. Il frammento di Pomponio è una storia sintetica del diritto romano. Esso è diviso in tre parti:

1. Principium (“Ci sembra necessario…”)

2. Dal paragrafo 13 (“Dopo aver conosciuto…”)

3. Dal paragrafo 35 (“La scienza del diritto…”)

Dal §1 al §12 si origina e si produce il diritto. Adesso il diritto diventa effettivo attraverso l’azione dei magistrati che governano il diritto. Dal §13 introduce un discorso sulle magistrature: “Dopo aver conosciuto l’origine e il processo storico del diritto, è conseguente che conosciamo le denominazioni e l’origine delle magistrature, in quanto, come abbiamo esposto, l’effettività del diritto si realizza per mezzo di coloro che sono preposti a dire il diritto applicandolo”. “Jus dicere”, il nostro “giurisdizione”, deriva da “dire il diritto”. “Quanto importa infatti che nella città vi sia il diritto, qualora non vi siano coloro che abbiano il potere di amministrarlo? Dopo ciò, di seguito tratteremo della successione degli autori, poiché il diritto non può star saldo insieme se non vi è qualche giurista attraverso cui, giorno dopo giorno, possa venir innanzi, verso il meglio”. Più avanti parlerà dei giuristi. Il diritto ha bisogno di qualcuno che lo faccia stare insieme (“constare”). Questa è un’opera di quotidiano ius in melium producere (quotidiano miglioramento del diritto). Al §35 inizia la terza parte del lungo frammento di Pomponio. Egli dedica una parte ai giuristi. “La scienza del diritti civile è stata professata da moltissimi e grandissimi uomini. Qui si deve tuttavia fare menzione solamente di coloro che raggiunsero massima considerazione presso il popolo romano, affinché appaia da chi e da quali uomini questo diritto (iura) è sorto ed è stato tramandato.” È evidenziato “iura” perché il passaggio dalla pluralità alla unità del diritto è un percorso molto lungo. Questa parte di Pomponio che si dedica ai giuristi in realtà ci dice poco del loro metodo. Se vogliamo comprendere il metodo di lavoro, dobbiamo scavare più profondamente, cioè tra le righe. Prima di questa terza parte abbiamo già letto il §2 che si riferisce alle curie di Romolo e al fatto che vengono approvate dalle leggi. Tali leggi vengono conservate insieme nel libro di Sesto Papirio. È il primo nome di giurista che si trova. “Tali leggi restano conservate, tutte scritte insieme nel libro di Sesto Papirio, il quale fu uno tra gli uomini preminenti ai tempi in cui visse Tarquinio il Superbo […]. È chiamato diritto civile papiriano non perché Papirio vi aggiunse qualcosa di suo ma perché mise insieme, in unità, leggi proposte senza ordine”. Abbiamo un primo lavoro di giurista individuato in questo lavoro di Sesto Papirio: mettere insieme in unità leggi proposte in momenti e in occasioni diverse. La successione cronologica non è un ordine. Sesto Papirio ordina le leggi logicamente. Questo è il primo lavoro del giurista.

Codificazioni Ott 31

L’inserimento della Cina nel sistema e la codificazione sono due profili che vanno insieme. Vediamo, in questa fase storica, che la dinamica universalista prosegue, e il veicolo di questa è il discorso sistematico dei giuristi e la codificazione. Sta avvenendo la ricezione del sistema giuridico romanistico in Cina e la probabile della formazione di un sottosistema cinese nel sistema romanistico.

Lavoro sistematico dei giuristi. Abbiamo iniziato a leggere il riferimento a Sesto Papirio: “in unum contulit” e “leges sine ordine latae”. Ha riunito le leggi, prima senza ordine, in un unico insieme. Possiamo riflettere di più sulla differenza tra in unum conferre e sine ordine. Se ci fosse scritto solo in unum contulit, quel riunire sarebbe stato più debole. Queste leggi, precedentemente, non avevamo ordine. Raccogliere le leggi in unità non significa solo accorparle nella stessa cartella, ma riunirle secondo un ordine logico. Leggendo attentamente le parole, si giunge a cogliere un primo indizio su un primo livello del lavoro del giurista. Posto che la fonte di produzione del diritto era la legge, egli immette in questa relazione un ordine. Immettere un ordine ha un senso per il giurista. Significa inserire dei collegamenti fra testi diversi e offrire la prima base per quello che noi chiamiamo un’interpretazione sistematica. Se dicessimo che Papirio ha fatto il sistema, sbaglieremmo. Ci accorgiamo che Papirio ha svolto un lavoro di collegamento. Ecco che quello che dice Pomponio è molto importante. Come Pomponio c’ha tenuto a sottolineare che la legge scaturisce dai comizi, che questi comizi sono stati istituiti da Romolo, e che quindi la legge risale agli inizi dell’Urbe, allo stesso modo c’ha tenuto a dire che fin dal primo periodo c’era il lavoro dei giuristi che aggiungeva qualcosa al prodotto del legislatore. Quel qualcosa di aggiunto era riconoscibile come “ricondurre ad unità qualcosa di disordinato”.

D. 1,2,2,5: “Approvate le XII tavole cominciò ad essere necessaria la discussione del popolo”. Il testo delle XII tavole era esposto perché tutti potessero leggerlo. Le XII tavole fondano nuovamente la civitas nella legge. Fonda la isonomia (parità davanti alla legge). Le XII tavole contengono il principio per cui quello che il popolo statuirà sarà diritto. Le leggi stanno affisse, e occorrono gli uomini che, leggendo, discutono sul significato di queste leggi. La discussione del foro ha bisogno dell’autorità dei giuristi. “Questa discussione e questo diritto, che, senza essere fonte scritta (cioè non era un documento pubblico, anche se scritto su tavolette cerate), venne messo insieme dai giuristi, non è chiamato con una denominazione propria, così come invece le altre parti del diritto vengono designate con nomi propri che sono stati ad esse attribuiti, ma viene chiamato con il nome comune di ‘diritto civile’”. Vediamo che questa discussione richiede l’autorità dei giuristi che illumina le soluzioni che si danno. Questa discussione produce il diritto civile. Il diritto civile nasce immediatamente dopo. Questo diritto scaturisce dall’autorità. Vediamo emergere una distinzione: da un lato abbiamo le leggi che scaturiscono dalla volontà popolo, che ha la potestas (potestà) di scaturirle; dall’altro abbiamo un diritto che scaturisce dall’auctoritas (autorevolezza) dei giuristi. Il loro lavoro fa accrescere il diritto grazie alla competenza degli jurisperiti. Da un lato abbiamo la potestas, che deriva da ‘potere’, da potis esse, cioè essere qualcosa di più; da un lato abbiamo la auctoritas, cioè l’autorevolezza. Sono due modi diversi di produrre diritto. Pomponio ha cura di affiancarli, di mostrare che fin dall’inizio legge e discussione dei giuristi stanno insieme, l’una affianco all’altra. Mentre le XII tavole sono un diritto scritto, quello dello ius civile è un diritto non scritto. Un esempio del lavoro di questi giuristi è Papirio, che ordina queste fonti senza aggiungere nulla di suo. D. 1,2,2,7: “Poi, avendo Appio Claudio redatto una esposizione di queste azioni in forma definita, in suo scriba Gneo Flavio, figlio di un liberto, dopo avere sottratto il libro lo consegnò al popolo, e quel dono fu gradito al popolo a tal punto che egli venne fatto tribuno della plebe, senatore ed edile curule. Questo libro, che contiene le azioni, è chiamato Diritto Civile Flaviano così come l’altro è chiamato Diritto Civile Papiriano: infatti neppure Gneo Flavio aggiunse nel libro qualcosa di suo”. Abbiamo una prima forma di lavoro del giurista che è questa. D. 1,2,2,13: “Dopo aver conosciuto l’origine e il processo storico del diritto, è conseguente che conosciamo le denominazioni e l’origine delle magistrature, in quanto, come abbiamo esposto, l’effettività del diritto si realizza per mezzo di coloro che sono preposti a dire il diritto applicandolo […]. Dopo ciò, di seguito tratteremo della successione degli autori, poiché il diritto non può star saldo insieme se non vi è qualche giurista attraverso cui, giorno dopo giorno, possa venir condotto innanzi, verso il meglio”. Il giurista accresce il diritto nella sua opera di studio quotidiano delle norme. D. 1,2,2,38: “Anche Ennio fece le lodi di Sesto Elio, e di costui è rimasto un libro che si intitola Tripartiti: libro che contiene, per così dire, la culla del diritto”. Papirio non aveva aggiunto nulla di suo; è detto tripartiti poiché, premessa la legge delle XII tavole, vi si congiunge l’interpretazione e infine vi si intesse l’azione di legge”. Possiamo immaginare questo tipo di opera in cui si procede commentando le XII tavole secondo il loro ordine. Poi vi si congiunge l’interpretazione. Molte altre opere seguono questa via di commentare le leggi parola dopo parola. Noi tuttora nei commentari procediamo articolo per articolo. Sesto Elio non costruisce un ordine proprio, ma segue il metodo del commentario. Questo è la culla del diritto. Di fianco al metodo più antico si accosta quindi il commentario. D. 1,2,2,39: “Dopo costoro vi furono Publio Mucio e Bruto e Manilio, i quali fondarono il diritto civile”. il verbo ‘fondare’ lo abbiamo trovato per le XII tavole. “Le XII tavole fondarono la città con le leggi”. Questo verbo non viene usato se non in queste due occasioni. “Le XII tavole fondano…” e “i tre giuristi fondano..”. Pomponio crea un parallelismo tra questi due avvenimenti. I tre grandi giuristi della fine del II sec. a.C. fondano il diritto civile. Il diritto arriva alla culla con i Tripartiti e infine viene fondato dai giuristi. La differenza tra quanto scritto per i Tripartiti ci dà lo spazio per una lettura più ricca di quel “fondare”. Il fondare è stata una rivoluzione di metodo. I tre giuristi danno ordine al diritto: abbandonano l’ordine espositivo delle XII tavole, inglobano il commento alle XII tavole in un ordine espositivo da loro creato. È questo lavoro di riorganizzazione che consente a Pomponio di dire che loro sono i fondatori del diritto civile. Questa posizione, che riconosce il ruolo di questi grandi giuristi, non ci dice molto sul modo in cui hanno fondato. D. 1,2,2,41: “Dopo costoro, Quinto Mucio, figlio di Publio, pontefice massimo, per primo costituì il diritto civile in una disposizione ordinata per generi, facendone redazione in diciotto libri (primum ius civile generatim constituit)”. Ha inserito l’uso di un metodo che prima non si utilizzava e che consente di dire ‘constituit’. La parola ‘costituire’ è molto forte. Quinto Mucio ha costituito il diritto civile (rifondato dai tre giuristi) per primo in generi e specie (generatim). Lo scritto dei giuristi non era ufficiale. Lo scritto vero era quello del foro, delle XII tavole sul bronzo. Il diritto civile è tradizione orale. Gli auditores ascoltano i vecchi giuristi. A proposito del ‘generatim’ di Quinto Mucio, individuato da Pomponio come la caratteristica innovativa dell’opera di Quinto Mucio, possiamo leggere alcune righe di Cicerone (I sec. a.C.). Cicerone scrive nel De Oratore alcune righe importanti. Ha scritto anche un’opera che non ci è pervenuta: “De iure civile in artem redigendo” (Sul redigere in arte il diritto civile). La parola ars richiama la definizione di Celso (ius est ars boni et aequi). Celso è posteriore a Cicerone. Quest’opera di Cicerone non ci è giunta, ma nel De Oratore auspica che venga redatto in artem il diritto civile. Cicerone dice che “ormai tutte le discipline sono state redatte in arte”. La grammatica ha distinto i diversi tipi di parte del discorso. La musica ha distinto i suoni. Queste altre discipline sono state rielaborati secondo canoni di esposizione ed elaborazione che Cicerone stesso dice non sono propri della disciplina in sé, ma vengono tratti da un’altra materia, di cui i filosofi dicono di essere gli autori (la dialettica: scienza delle proposizioni vere e false). Elemento fondamentale della dialettica è “dedurre-indurre”. Si creano quindi genera e species. Questo lavoro di redazione in artem non è stato fatto ancora per il diritto, e Cicerone auspica che venga fatto. Questo lavoro dovrebbe essere fatto definendo il diritto come prodotto dalle consuetudini e dalle leggi e servire per garantire la aequabilitas (isonomia) dei cittadini nelle loro cose e affari. Definire significa mettere dei “fines”, cioè dei confini. Le operazione che Cicerone invita a compiere per iniziare lo studio di una disciplina sono le seguenti:

1. Mettere i confini della disciplina stessa

2. Dividere la disciplina individuando alcuni pochi genera (personae, res, actiones)

3. Dividere i genera in species

4. Designare e definire ogni genere e ogni species

Queste operazioni creano una sorta di piramide. Cicerone auspicava la elaborazione di un manuale. Noi sappiamo però che questo lavoro è stato fatto da Quinto Mucio (generatim constituit). Cicerone, in verità, con questo suo auspicio, si riferisce a un obiettivo specifico: la formazione dell’ottimo oratore. Cicerone voleva che venisse predisposto un manuale semplice, che si inserisse nel contesto degli altri manuali che il futuro ottimo oratore doveva studiarsi. Un simile manuale fino allora non c’era. L’oratore aveva bisogno di una conoscenza essenziale un po’ di tutto. In Roma non c’è coincidenza fra avvocato e giurista. Cicerone è un avvocato e uomo politico che ritiene che la figura dell’oratore sia la figura principale della repubblica. Cicerone voleva formare il buon oratore. I buoni giuristi si formavano ancora ascoltando le parole dei giuristi. Gli auditores di Servio scrivono delle opere dette Digesta. Digerere significa “ordinare”. In questo stesso secolo si viene elaborando sempre di più un’esigenza di ordine sistematico. La parola ars non significa strettamente sistema. Vengono emergendo, dal testo di Pomponio, diversi tipi di lavoro del giurista:

1) Riunire in unità ordinata le leggi

2) Scrivere un commentario alle leggi

3) Rifondare il diritto immettendo le leggi nell’ordine scelto dal giurista

4) Ricostituire per genera e species l’ordine del diritto (tappa realizzata per la prima volta di Quinto Mucio)

Solo nel II sec. d.C. sorge un altro metodo:

5) quello di coloro che scrivono manuali istituzionali. Si prende spunto dal discorso di Cicerone e si creano questi manuali per giuristi, non per oratori.

Aggiungendo qualcosa a ciò che dice Pomponio, oltre quei quattro metodi, se ne aggiunge un quinto che è quello della redazione di manuali istituzionali per giuristi con finalità didattica. Vediamo emergere anche a livello di terminologia un riferimento a generatim, a in artem redigere, a digerere. “Digerere”, all’epoca di Giustiniano, verrà equiparato nel tradurre alla parola di origine greca systema. Si crea quindi una linea di continuità: la parola sistema si innesta su digerere; digerere è vicino a in artem redigere e a generatim. Senza confondere il tutto come se fosse un’unità, vediamo che il lavoro di Quinto Mucio si pone su una linea che si arricchisce sempre di più in continuità e sviluppo: in unum conferre, generatim, in artem, digerere, sistema. Sono tanti passaggi che creano un filo di continuità. Il metodo dei giuristi è quindi un crescendo di elaborazione sistematica del diritto. Per riassumere:

1) In unum conferre

2) Tripartita. L’ordine delle leggi più il commento

3) Fondare il diritto. Non seguire l’ordine delle leggi ma mettere le leggi nell’ordine che dà il giurista

4) Generatim. Il fondamento di questo ordine è il metodo per generi e specie

5) Costruire un sistema (digerere) col sistema induttivo e deduttivo

L’ars è il metodo di lavorare del giurista tendenzialmente sistematico.


Schipani lezione 7 Nov. 07

Abbiamo visto il modo di lavorare dei giuristi in vari livelli : in totale cinque.

L’ultimo livello è quello dei manuali istituzionali, di cui le Istituzioni di Gaio sono il più importante. Pomponio non cita Gaio, perché gli è contemporaneo.

L’obiettivo che Cicerone pose per la redazione per la redazione di un manuale per la formazione di un ottimo oratore ( e quindi senza voler interferire nella formazione dei giuristi ) era di un manuale semplificato, in cui, definito l’ambito della ars di cui si tratta, lo si articola in pochi generi e lo si suddivide in generi e specie.

Tale modello è preso da Gaio per la sua finalità didattica : infatti le Istituzioni di Gaio hanno proprio tale finalità.

Tutti questi 5 livelli sono riconducibili a una crescita del discorso sistematico, laddove per sistema si intendono dei contenuti che crescono lentamente e gradualmente nel tempo.

Come espressioni specifiche abbiamo il “costituire il diritto per generi e specie” di Q.Mucio, abbiamo l’auspicio di ius in artem redigere, cioè ricondurre il diritto a un’esposizione ordinata e semplificata a fini didattici.

Parallelamente a Cicerone, però, c’è il digerere di cui abbiamo parlato che è anch’esso sulla linea del diritto di civile di ordinare per generi e specie, che diventa un digerere dei “Digesta” di Alfeno Varo,ecc., cioè degli allievi, gli ascoltatori di Servio ed altri maestri, che hanno però raccolto il materiale di quelle “lezioni” in opere che si chiamano Digesta, termine che appunto ci richiama all’esposizione ordinata.

Questo filone di discorso che cresce, all’epoca di Gisutiniano verrà qualificato come sistema.

E’ un modo di procedere secondo scienza e coscienza : le cose infatti si acquisiscono da altri.

Ecco perché ars. Non siamo al termine scientia, che verte sul “conoscere”.

Il termine Ars è invece legato ad una concretezza di pratica, quindi è l’elaborazione concettuale di qualcosa che si fa e non si conosce soltanto.: conoscere per fare.

Intorno a questo I sec. A.C. riemerge l’idea di leggi dalla portata particolarmente estesa. Già ne abbiamo avuto un modello : le 12 tavole, fonte di tutto il dir pubblico e privato.

Sembra che nell’epoca dei contemporanei di Cesare, giuristi a lui vicini, avessero con lui elaborato l’idea di mettere insieme tutte le leggi. Non possiamo ovviamente parlare di “codice”, ma di rinnovare l’esperienza delle 12 tavole.

Certo è che il clima culturale è già questo e l’editto perpetuo, cioè annuale, viene da alcuni pretori sotto la guida di giuristi, ORDINATO, cioè vi è un grosso sforzo per dare ordine a queste clausole dell’editto che si accumulavano ogni anno nell’editto tralaticio.

(L’editto contiene una serie di clausole che il pretore all’inizio dell’anno enuncia. Scrive in pubblico.

In tali tavole vengono perciò scritte le diverse parti delle formule che in certa misura assomigliano agli articoli del nostro codice civile. L’editto perciò è un elenco di formule. Perciò individuato il nodo della controversia, si andava dal pretore e con l’accordo di esso si scriveva la formula.).

Il pretore ogni tanto aggiungeva qualcosa. Ecco perciò che nel I°sec emerge lo sforzo di dare ordine. E’ punto da tenere presente.

Ora, dunque, i giuristi vicini a Cesare hanno quella idea di riunire le leggi e allora in tale secolo abbiamo delle novità. Infatti mentre la Lex Aquilia aveva 2 articoli, ora si pensa a leggi di vasta portata. Del resto, anche in municipi, si redigono statuti omnicomprensivi, cioè c’è lo sforzo di racchiudere in leggi il diritto, in modo da superare la frammentarietà.

Possiamo dunque dire che le 12 tavole avevano un loro sistema, un loro ordine su cui si erano venute accrescendo come rami di un albero ulteriori sviluppi che la scienza giuridica aveva prodotto. Ad un certo punto è proprio la scienza giuridica a dare l’ordine : c’è un gran rinnovamento dei “fondatori del diritto civile”.

C’è problema dunque di avere testi estesi e comprensivi.

L’editto creava problemi perché, appunto, le formule si accavallano l’un l’altra e perciò c’è questa esigenza di mettere in ordine tra I° e II° sec. A.c..

Cresce anche la produzione di leggi.

A proposito di leggi, vediamo il testo di alcune. Abbiamo già visto come esempio le 12 tavole nelle fotocopie sulle fonti. Erano sintetiche, brevi : “ il trave unito…” : in un rigo c’è tutta un regola di comportamento.

Se guardiamo a pag.4 delle fonti, prima di “Costituzioni” c’è “Da altri libri e titoli” : < style=""> LEGGI ENTRAMBI

In 2 righe vediamo dunque che è fondato un criterio di responsabilità extracontrattuale. Perciò è tale il modo di formulare un testo di legge nel 3° sec. A.c.

Se confrontiamo con le 12 tavole potremo dire se lo stile è simile o diverso.

Abbiamo articoli brevi che prevedono una situazione : “ SE avviene X, si verifica come CONSEGUENZA Y “.

C’è discreta sinteticità.

Inoltre notiamo che non è una legge d’insieme che tocca molti problemi diversi, ma uno solo.

Se prendiamo invece nella penultima pagina la legge Irnitana, essa trattava : LEGGI sulle fotocopie.

Ha una serie di capitoli numerosi, oltre 30 e vediamo dalle rubriche sulle fotocopie che tale leggi tocca molti argomenti : da diritto pubblico a diritto civile. Insomma problemi eterogenei. Tale lex non era di tutto il diritto pubblico e privato di quel municipio, ma fissava norme importanti per quel municipio.

Se leggiamo poi il paragrafo 21, notiamo che lo stile NON è quello proprio della Lex Aquilia : l’andamento di quell’articolo, per.es. è complesso. Infatti si descrive una fattispecie, vi si collega un effetto, cioè la cittadinanza, ne si fissano i presupposti. Se A => B. Lo stile dunque è più complesso e articolato.

E allora possiamo concluderne che in tale I ° sec a.c. anche nell’ambito dell’attività legislativa si sviluppa un’esigenza di leggi relativamente estese che trattino argomenti tra i più sensibili nella comunità e che queste leggi affisse pubblicamente hanno di solito uno stile in generale più articolato e complesso rispetto alle leggi più antiche.

In quel periodo nell’articolo sono contenuti un po’ tutti gli elementi necessari : letto un articolo non c’è un grandissimo bisogno di sapere cosa c’è scritto in altri articoli. L’articolo è abbastanza autosufficiente, tende a contenere tutti gli elementi per essere capito dal cittadino del municipio che leggeva e sapeva come stavano le cose.

Alla penultima pagina, quasi tutta tratta dalle Istituzioni di Gaio, i paragrafi sono tratti in parte dal libro 1° in parte dal libro 4°.

Gaio, Istituzioni 1,6 = LEGGI.

I magistrati hanno quella competenza : iurisdictio, da ius dicere.

Se leggiamo da 4,2 in poi, vediamo che si sono alcuni paragrafi in cui si spiega cosa sono le formule.Vedi 4,30. Noi di un certo attaccamento alla lettera della legge l’abbiamo visto nella Lex Aquilia. Gaio disse che tale attaccamento stava paralizzando l’uso delle legis actiones e cosi’ man mano furono abbandonate. Il sistema del processo formulare iniziò prima della Lex Ebutia, con il praetor peregrinus che si trovò a dover gestire liti in modo innovativo e iniziò a gestirle così : i 2, un cittadino e 1 straniero o 2 stranieri si affidavano a lui che diceva il diritto da applicare in quella situazione. I 2 convenivano che quella regola andava bene e allora c’era una sorta di accordo a tre in cui i 2 si mettevano d’accordo sulla regola, il pretore indicava un giudice e diceva : “ tu giudice devi giudicare sulla base di tale regola; se ti pare assolvi, se no condanna “. Il giudice perciò deve accertare se A è vero o no : se è vero condanna, se no assolva.

Quel “se A” è una situazione molto complessa. Possiamo mettere molti “se”, la situazione è potenzialmente molto complessa, i dati da accertare possono essere molti.

Ma a noi interessa la struttura logica : “ condanna o assolvi “, è un ordine. Allora leggi il par. 36 : “ Se Aulo Agerio…”. Perciò ci accorgiamo che c’è il requisito del possedere una cosa mobile per un anno, oggi diremmo usucapione. Oppure possiamo leggere un’altra formula nel par 47 : “ Dato che Aulo Agerio… nei confronti di Aulo Agerio”. Anche qui c’è “il giudice condanni”, ma è un ordine condizionato. A che condizioni? Che abbia depositato il piatto d’argento e che questo non sia stato restituito.

Ecco allora che tale meccanismo è molto duttile, perché si accerta se è avvenuto il fatto, si accerta se il probabile condannato non si preoccupa a restituire il vassoio d’argento.

Notiamo la condanna “ a tutto ciò che deve dare o fare secondo buona fede “.

Dunque c’è un ordine condizionato che può concorrere attraverso una serie di concepta verba, cioè una serie di clausole, parole fissate dal pretore nell’editto.

Cosa sta nell’editto?

Il praetor peregrinus fu il primo ad affrontare tale situazione : inziò poi a scrivere all’inizio dell’anno l’azione ad hoc per il caso concreto. L’editto è perciò un elenco di questi “ Se accade X, darò quest’azione “.

Tale meccanismo processuale è dunque regolato dal fatto che all’inizio dell’anno venga emanato l’editto che descrive quali azioni sono possibili da adottare e a quali condizioni.

Questo diritto viene man mano crescendo. Perché? Perché i cittadini continuavano a litigare per formule, poi la lex Ebutia introdusse novità e comunque certamente le leggi Giulie dicono che il processo formulare è l’unico che si può usare.

Questo editto viene appunto riordinato, lex annua.

In tale editto troviamo raccolte perciò tutte le pretese, tutti i diritti tutelati. E’ un elenco ordinato di tutti i diritti, le pretese che il cittadino può far valere dinanzi al magistrato. Il cittadino sa che se quella è la formula il pretore non può negargliela.

Ciò non esclude che durante l’anno il pretore aggiunga nuove formule con editti REPENTINI ( a differenza dei PERPETUI che durano un anno intero ).

Editto perciò è una “lex” annua, un elenco ordinato di tutte le pretese che i cittadini possono far valere. E’ un qualcosa che un po’ assomiglia ad un CODICE, pur non essendolo.

Perciò con questo abbiamo una visione di come in tal periodo cresce l’idea di un’organizzazione del diritto. Poi Salvo Giuliano nel 2 sec d.c. per richiesta dell’imp. Adriano ha redatto l’Editto Perpetuo e da quel momento non è più stato possibile ai pretori successivi fare nuovi editti perpetui.

Quindi dopo tale fissazione dell’editto ad opera dell’imp. Adriano, non è più stato possibile arricchire di formule l’editto : ciò accentua la stabilità, ma non rende più aggiornato tale strumento, è ovvio. (Accanto però alla procedura formulare viene aggiunta la cognitio extra ordinem, e quindi l’ordinamento viene comunque aggiornato).

Ora si consente l’applicazione analogica delle norme. Si fissa perciò da un lato, e dall’altro c’è una via di crescita.

Ancora Giustiniano ricorda secoli dopo l’importanza di questa codificazione ( che sul libro è detta codificazione di Salvo Giuliano).

Ora torniamo al discorso del lavoro dei giuristi. Abbiamo parlato delle 12 tavole, poi del lavoro dei giuristi, poi delle leggi omnicomprensive, ora dell’editto perpetuo.

Ora : quali nuovi atteggiamenti viene ad avere il lavoro dei giuristi?

Nel 2° sec. Emerge il nuovo lavoro che è quello degli autori delle Instituzioni.

Con Valditara apprendemmo che essi avevano un’autorevolezza fondata sulla loro competenza. I secoli dal 4° al 1° a.c., in cui Roma città espansa, diventa capitale dell’impero mediterraneo.

Ci ricordiamo che l’insegnamento del diritto si articola in 2 scuole.

Da un lato l’imperatore concede ad alcuni giuristi lo ius respondendi ex auctoritate principis, con responsi vincolanti per il giudice nel caso in cui il responso sia dato in una causa determinata; una delle 2 parti si presenta con un responso. Viene perciò concessa una forma che tuteli quella situazione specifica.

Le discussioni fanno crescere la scienza e perciò nn è strano che ad un certo momento si formino 2 scuole che sostengono magari anche tesi contrarie.

Insomma, il diritto si sviluppa attraverso le controversie tra giuristi, non può essere diverso.

Ecco che sorge allora l’esigenza di vincolare tramite questi pareri i rapporti tra 2 giuristi autorevoli che dicono cose diverse. Pertanto vengono ad essere adottate regole per vedere come il giudice deve regolarsi : il giudice può seguire in caso di discordanza tra 2 pareri, la soluzione che egli preferisce.

Si accetta una prospettiva di diritto controverso. E’ fisiologico nel diritto avere interpretazioni diverse. I problemi complessi suscitano discussioni e si arriva alla soluzione attraverso dibattiti.

I giuristi iniziano a far parte del consiglio dei magistrati, del principe.

Perciò il principe è una magistratura particolarmente più ricca di competenze rispetto alle altre magistrature. Si parla perciò di una BUROCRATIZZAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA.

Mentre prima appartenevano per lo più alla nobilitas, ma diventa più rilevante per i giuristi il fatto di diventare alti funzionari imperiali.

Questo sistema di dibattiti tra giuristi continua a vivere anche all’interno di questa giurisprudenza che viene ad elaborare alcune forme letterarie interessante, perché scrive Digesti e Commentari all’Editto. Scrive anche opere minori come le istituzioni, ma tali 2 tipi di opere sono di vasto respiro. Nei digesti prevale il diritto civile e sono appunto estese elaborazioni di dir civile con decine di libri. Altresì i commentari sono estesi commenti all’editto.

Sorge perciò in tale opera :

A) Nuovo tipo di opere sintetico, breve, altamente sistematico : le istituzioni

B) Lo svilupparsi di opere molto estese omnicomprensive, Digesti e Commenti all’editto, in cui si continuano a discutere e a riferire le opinioni dei giuristi anteriori come decisive. Si discute tramite opinioni diverse. Tali opere vincolano i giudici laddove in esse ci sono soluzioni relative al caso controverso, sia per l’opinione detta dal giurista, sia per l’opinione del giurista avente lo ius respondendi.

Perciò notiamo che c’è un ruolo della giurisprudenza di continuo contributo alla crescita dell’ordinamento e all’organizzazione, riepilogo, ordine alla trattazione della stessa.



Schipani lezione 14 Nov. 07

Metodo della giurisprudenza. Ci siamo soffermati su essa.

Questo metodo di Q. Mucio ( “generatim”, per genere e specie ) che Pomponio a suo dire ha fissato per primo nei suoi 18 libri del diritto civile, poi è stato adottato da tutti i giuristi, perché non viene indicata alcuna altra innovazione.

Perciò il metodo di inserire, ove possibile, la induzione e deduzione, viene diffondendosi e ad essere utilizzato. Pomponio non individua come un ulteriore innovazione di metodo le Instituzioni di Gaio, perché è un suo contemporaneo, ma in quell’opera troviamo un altro momento in cui questo metodo poteva essere usato per primo e cioè il riferimento al fatto che per primo usa questo metodo per un manuale sintetico e quindi a fini didattici. Esposizione sintetica a fini didattici e introduttivi.

Dopo Gaio ( ma quasi parallelamente ad esso ) le ultime generazioni di giuristi scrivono opere molto estese.

Viene rielaborata in una vasta sintesi ( come fosse un commentario al codice civile ) in un’opera completa tutto il patrimonio della giurisprudenza e quotidianamente aggiornato dai giuristi.

Nel 3° sec c’è la crisi del passaggio dal principato al dominato. E’ una crisi del meccanismo di successione : infatti il principato non aveva mai affermato il meccanismo ereditario. A volte ci sono successioni all’interno della stessa famiglia, ma sono dati di fatto, perché il fondamento del potere continua ad essere quella lex de imperio che continua ad essere il fondamento del potere dell’imperatore. Questo è importante tenerlo presente, perché capiamo anche perché continua ad essere res publica e non è regnum. A volte nelle nostre periodizzazioni sbagliamo quando diciamo nel dire “fine repubblica/inizio principato”. E’ invece trasformazione della Repubblica con inserimento di un magistrato, il principe. Certo, è un inserimento corposo, perché esso man mano si circonda di uffici, di funzionari e perciò diventa un vero e proprio apparato burocratico che trasforma profondamente la realtà repubblicana. Però l’idea che quella è una res publica continua e giunge fino a Rousseau, alla Rivoluzione Francese.

La crisi è “militare”. La scelta del “migliore” va in crisi perché le mediazioni che riescono a realizzarsi a Roma non riescono ad individuare un magistrato a cui conferire l’imperium per un periodo di tempo indefinto.

Ed il canale dell’esercito attraverso cui è possibile individuare il candidato, diventa sempre più forte in tal senso. Dinanzi alla crisi del senato, della nobilitas, di ricevere tutti questi impulsi sapendoli poi però mediare con un’indicazione finale, restano in primo piano gli eserciti, sparsi in un impero tanto vasto e quindi si hanno proclamazioni multiple e quindi scontri militari : mezzo secolo di crisi che culmina con Diocleziano.

Con il porre fine a Diocleziano,si avvia anche un ulteriore processo : questa res publica che con Caracalla era diventata estesa ( tutti divennero cittadini ) conosce una nuova realtà in cui l’imperatore non risiede più a Roma. Abbiamo i 2 Augusti e Cesari che risiedono in luoghi diversi.

C’è una pluralità di luoghi. E poi vediamo che questo mutamento si conclude con Constantino, “novator”,grande innovatore, che fonda Costantinopoli con riti simili a quelli della fondazione di Roma, tant’è che essa che viene indicata come “nuova Roma”, una seconda Roma, con un Senato e insomma un’altra urbs.

Ciò per noi è molto importante, infatti quella scienza giuridica va in crisi; infatti con Paolo, Ulpiano, Modestino finiscono i grandi giuristi. Quella s.g. che era indipendente, ma anche molto coinvolta dal principe ( pensiamo allo ius respondendi, o al fatto che i giuristi facevano parte del consilium principis ) fa si che questi giuristi divengano burocrati.

Con la crisi di questo sistema che faceva capo a Roma e conservava una sua dialettica sottile ( ricordiamo la crisi che portò all’uccisione di Papiniano ), spariscono i nomi di grandi giuristi.

Emergono però nomi di raccoglitori di Costituzioni, cioè quegli atti del principe che hanno valore di legge. Riprendiamo Pomponio sulle fotocopie : “ Il principe viene a compiere degli atti che hanno valore di legge “.

Perciò ci inseriamo in quella linea di fonti : la legge, a cui fianco si era inserito il plebiscito, equiparato attraverso una legge alla legge. Poi c’è stato il periodo in cui era difficile riunire tutto il popolo, come ci dice Pomponio, e il Senato con i suoi atti ( consulta ), produce atti che hanno anch’essi valore di legge. Questi atti da un punto di vista cronologico vengono inseriti più tardi, e difatti Pomponio inserisce prima l’editto del pretore. Giustiniano invece nelle Instituzioni, sulla stessa linea di Gaio, mette *leggi, plebisciti, senatoconsulti, perché si dice di essi essere atti valenti come le legge. E vengono percepiti come tali.

Legge = posti in base alla potestà del popolo

Plebisciti = posti in base a una legge e quindi su una potestà.

Senatoconsulti = qui il giurista è un po’ in imbarazzo nell’individuare il fondamento per cui il parere del Senato ha valore di legge. Gaio nelle Inst. Dice “ Ha valore di legge, sebbene di questo valore di legge vi sia stata discussione “. Quando Gaio scrive ormai i senatoconsulti con valore di legge non venivano approvati più. L’età dei senatoconsulti è tra il 50 e il 150 d.c.

Accadeva perciò che il magistrato che presiedeva il Senato faceva la proposta, il Senato discuteva e approvava sulla base dell’autorevolezza di quella proposta. Il Senato aveva l’auctoritas patrum, perciò aveva già avuto un ruolo significativo nel procedimento di approvazione della legge centuriata, era già stato organo di consulenza del magistrato.

In tale momento di difficoltà nel riunire tutto il popolo, così come ci dice Pomponio, è la necessità a fondare il valore dei senatoconsulti. Ma poi Pomponio dice, questo fondamento passa ad uno solo.

Perciò abbiamo una serie di fonti* enunciate una di seguito all’altra da parte di Giustiniano nelle Instituzioni, in cui il principio per cui vincolano è la volontà del popolo. La v del p sta alla base del potere del principe che può fare tutto ciò che sia utile per le Res Publica.

Queste Costituzioni diventano sempre più numerose.

Perciò da ora abbiamo tale situazione : l’editto del pretore viene fissato ad opera di Salvo Giuliano nella prima metà del I sec. .d.c. ; i senatoconsulta durano fino al 150; le Costituzioni invece continuano ad aumentare.

Ma, contemporaneamente alle Costit. del principe cosa fa la giurisprudenza? La grande giurisprudenza prende atto, seleziona, incorpora queste Costituzioni del principe nel suo rielaborare e ricostituire il diritto, ossia continua quella operazione che avevano realizzato nel 2 ° sec. A.c. Publio Mucio e quegli altri giuristi che avevano “fondato il diritto civile “ , incorporando all’interno della loro ricostruzione il prodotto delle altre fonti.

E così troviamo negli scritti dei giuristi che si cita quello o questo rescritto, cioè il canale attraverso cui questi atti sono diffusi e rielaborati, vagliati, accantonati o valorizzati è il lavoro della grande giurisprudenza.

Nel 3° sec con la crisi di quest’ultima e con l’aumento di questi atti ( Costituzioni del principe ), l’esigenza di renderli accessibili, diventa centrale.

Perciò alla fine del 3° sec emerge la parola CODICE per la prima volta : Gregoriano ed Ermogeniano, cioè raccole di Costituzioni del principe. Si riprende in qualche modo il lavoro di Papirio, cioè di prendere le leggi e dare ad esse un ordine.

Tali giuristi non hanno la forza scientifica e intellettuale per rielaborare, ma hanno si la capacità di avere accesso agli archivi e perciò pubblicano raccolte ordinate di tali costituzioni.

Ma, finalmente, c’è la parola CODICE, che è una novità, che individua un certo supporto per scrittura (e questo significato lo conserva ancora oggi, anche se oggi ha un significato specifico).

Perciò tra il 2 e 3° secolo c’è grande trasformazione del supporto materiale . Ci sarà opera di riscrittura del patrimonio precedente dal papiro al codice.

Il supporto materiale “papiro” ( il papiro ) lo ritroviamo soprattutto nelle sinagoghe, perché la Bibbia nelle sinagoghe è ancora di solito su rotolo. E’ stata conservata la tradizione del rotolo della scrittura. Il rotolo però ha inconvenienti : se dobbiamo girarlo, spesso tende a consumarsi sui margini. Ecco perciò che spesso i loro frammenti sono consumati e rotti per l’utilizzo che ne è stato fatto. Essi sono anche molto grandi e voluminosi e possono essere così ingombranti e lenti nella consultazione.

E perciò vediamo che si diffonde il codice come strumento più efficiente, effettivo, economico, durevole e più facilmente consultabile da un punto all’altro.

Il codice perciò facilita anche nell’operazione di collegamento da un punto all’altro che è più difficile fare nel libro.

Non così però avviene nella cultura ebraica, a differenza del cristianesimo che in tal senso imbocca la via del nuovo.

Tale novità investe tutta la cultura, infatti emergono i codici Ermog e Greg.

Questa parola codice non è legata solo al diritto, ma poi con Teodosio e con il suo gran codice verrà legata al diritto.

O meglio, conserverà si il significato generico di essere un supporto di scrittura con una certa forma, ma avrà anche il significato specifico di raccolta di scritti aventi valore giuridico vincolante, come appunto è in modo esemplare il codice Teodosiano.

E’ novità fisica ma anche terminologica.

Vediamo nella vicenda delle fonti, in vista della codificazione di Giustiniano, maturare 2 elementi importanti : il supporto fisico, materiale, cioè il codice e il ritorno alla raccolta ordinata di Costituzioni, cioè di leges. Avranno infatti valore di legge e verranno chiamate in età antica leges.

Abbiamo perciò esaminato sinora le fonti del diritto romano . A differenza degli altri corsi già fatti, noi le abbiamo esaminate soprattutto con riferimento al fondamento del potere, al tipo di formulazione.

CODICE DI GIUSTINIANO.

Il primo si chiama Codex, gli altri Digesto e Istituzioni.

Quando G. decide di fare il codice, riprendendo l’idea realizzata da Teodosio di raccogliere le cosituzioni, ha presente un problema e cioè della certezza dei testi delle Costituzioni che vengono applicati, perché egli pensa che l’incertezza crei e alimenti il problema della durata dei processi. Perciò una certezza del diritto possa rendere un favore alla celerità ella giustizia.

Dopo Teodosio vennero fatte altre Costituzioni ed ecco che allora lui compone una commissione; chiama questo prodotto “codice” e da ad esso il suo nome, infatti non si chiama codice giustinianeo, ma “Codice Giustiniano”. L’obiettivo è quello di sveltire i processi.

Le opere successive nascono dopo la produzione del codice. Lui poi chiamerà anche i Digesti e le Istituzioni come “i miei codici”, quindi riconduce tutti e 3 le opere a codici da un punto di vista terminologico.

Digesti. L’opera è una selezione degli scritti dei giuristi, quelli che in età antica venivano chiamati IURA. Anche Teodosio in tal senso voleva ricostituire Costituzioni e Iura, ma la commissione da egli riunita, rinunciò al’incarico, non sentendosi all’altezza. E, proprio per questo, successivamente Giustiniano fece un’opera minore, fatta non di Cost. e iura insieme, ma solo di Costituzioni.

In realtà Teodosio aveva regolato anche l’uso degli iura, inserendo nel codice teodosiano la legge delle citazioni, che appunto regolava l’uso degli iura, perché questi ultimi continuavano ad essere usati non solo nelle scuole, ma anche nei tribunali. Infatti l’avvocato di parte usava il parare del giurista che gli sembrava utile per sostenere la posizione del suo cliente, e questo diritto era vincolante, in base alla legge delle citazioni. C’erano i pareri di Paolo, Papiniano, Ulpiano e Modestino.

Teodosio la riprodusse nel suo codice tra le Costituzioni.

Anche nel Codice di Giustiniano c’è la legge delle citazioni : ciò conferma che Giustiniano non pensava di fare i digesti, difatti regolava il problema attraverso la riproduzione della legge delle citazioni. Poi fu animato da Triboniano a fare i Digesti.

I problemi erano di certezza testuale, oltre che di selezione : erano perciò problemi grandi, perché in ambiente di manoscritti, il testo di manoscritto ha più possibili errori che il testo stampato.

La possibilità dunque di pluralità di edizioni che riportino varianti collegate a errori di copisti, rende tali testi “manipolati” da riedizioni, dal lavoro di scuola, da tanti fattori.

Allora si tratta in primis di raggiungere la certezza del testo e poi anche di eliminare le discussioni e le contraddizioni . Il diritto dei giuristi nasce infatti come diritto controverso.

I giuristi di Giustiniano perciò ritengono di essere all’altezza di mettere le mani dentro gli scritti dei giuristi antichi e poterli condurre a “sinfonia unitaria”, ad un suono armonico, ad un’unità armonica, togliendo le contraddizioni.

Perciò i giuristi dell’età di Giustiniano si sentono in grado di svolgere un lavoro di cui non si sentirono in grado quelli di Teodosio.

Giustiniano enfatizza il livello di quei giuristi e da al Triboniano la possibilità di scegliersi gli altri tramite una selezione e quando ordinerà i digesti, preciserà che loro sono i “conditores” ( cioè i fondatori ) di quest’opera.

Quest’opera costituisce quindi i Digesti. La parola Digesti recupera un termine importante emerso nel I sec. A.c. tra gli allievi di Servio per indicare un’opera ordinata, per raccogliere i pareri di Servio e metterli in un ordine.

Perciò si recupera quel termine e quel concetto e noi difatti troviamo usato il riferimento a “sistema” nella Costituzione Tanta-dedoken, bilingue, in latino e greco.

Qui c’è continuità dello sviluppo tra il Digestum di Alfeno, gli sviluppi nell’età classica e il digesto, inteso come termine che usiamo noi, come “sistema giuridico “ ; cioè questo diritto armonico senza contraddizioni è rielaborato dai giuristi che hanno la capacità e competenza di entrare nel merito, ossia di stabilire in caso di contrasti tra i pareri di giuristi, ciò che è equo e migliore, cioè la soluzione più giusta. Perciò, senza andare a vedere se quell’opinione specifica è stata espressa dalla maggioranza o dalla minoranza dei giuristi precedenti, il giurista, che rielabora il sistema, deve trovare la soluzione più equa e migliore.

Ecco perché Giustiniano dice che quell’opera è stata da quei giuristi “fondata”. Anzi, usa conditores, che è termine più forte : ricordiamo “ab urbe condita”. Verbo tipico della fondazione dell’urbs e della fondazione del diritto. Giustiniano si inserisce in tale linea.

Fa costituire i Digesti.

E poi anche le Istituzioni.

Conclusioni?

Se noi dobbiamo classificare i codici tra le fonti del diritto possiamo classificarli tra le leges? I codici di G. sono delle Costituzioni? Certo, sono stati promulgati con delle costituzioni di Giustiniano, però G. dice “ voi siete i fondatori di quest’opera”. Allora noi ci accorgiamo che non è solo il legislatore l’autore dei codici, ma esso riconosce formalmente che i codici sono prodotto dei giuristi; quindi i codici di Giustiniano sono il frutto del convergere delle 2 fonti, leges e iura, leges e lavoro dei giuristi.

E’ una fatto molto rilevante : non stiamo parlando di una legge in cui i giursti hanno suggerito, però poi alla fine ciò che conta è il comando del popolo. Qui non è solo il comando dell’imperatore, ma affianco ad esso c’è un ruolo fondante del lavoro dei giuristi.

Perciò il codice è una sintesi di tutte e 2.

( rispetto allo schema siamo a 2,2 con qualcosa di 2,1,8 e 2,1,9 che manca e verrà fatto nella lezione prossima del 21 Nov.07 )



MARINA BRUNAZZI

Matricola Unier 00001016

Aprile 2008

Il CODICE PRUSSIANO (1794)

ALR - Allgemeines Landrecht

CENNI STORICI

Il Regno di Prussia venne costituito ufficialmente nel 1701, in seguito alla creazione di un fronte unico della nazione germanica (nella quale si distinsero poi la Prussia e l’Austria), per contrastare la minaccia francese dopo la guerra dei trent'anni. La guerra, inizialmente nata come conflitto religioso fra cattolici e protestanti, divenne infatti una vera e propria lotta politica per l'egemonia tra la Francia e l'Austria, e si sviluppò in una serie di conflitti armati che dilaniarono l'Europa dal 1618 al 1648, coinvolgendo la maggior parte delle potenze europee.

Nel 1740, con la salita al trono dell’imperatore Federico II detto Il Grande (1712-1786), la Prussia colonizzò nuove terre, utilizzò metodi di coltivazione più moderni, lasciando però intatto il potere dei grandi proprietari terrieri sui contadini, e razionalizzando, anziché eliminare, gli istituti feudali. Si devono a Federico II anche le grandi riforme legislative, e il codice “federiciano”.

Dal 1945, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, con la divisione dei territori, il termine Prussia non ha più un significato geografico o politico ma solo storico e culturale.

MOVIMENTI CULTURALI DELL’EPOCA

All'inizio del XVIII secolo si diffuse in Europa un movimento culturale e filosofico definito con il termine "illuminismo", termine derivato dalla convinzione di provenire da un'epoca di oscurità e ignoranza. Obiettivo del movimento era dirigersi verso una nuova era, segnata dall’emancipazione dell'uomo e dai progressi della scienza sotto la guida dei "lumi" della ragione, con una conseguente esaltazione di idee laiche e principi razionali e scientifici. Dal pensiero illuministico nacque il filone del “giusnaturalismo razionalistico moderno” (il giusnaturalismo, con radici molto antiche, afferma l’esistenza di un diritto “naturale”, cioè di norme di comportamento dedotte dalla natura e insite nell’uomo, quindi universali). La filosofia razionalista sosteneva che partendo da principi fondamentali, individuabili intuitivamente, si potesse arrivare, tramite un processo deduttivo, a tutto il resto della conoscenza. Questa filosofia, unita al criterio secondo il quale il diritto doveva essere universalmente ed assolutamente valido, in quanto razionale, fu la base culturale su cui fu elaborato il codice prussiano. Anche dal punto di vista politico, oltre che giuridico, l’Europa fu influenzata dai movimenti culturali. La politica degli stati moderni, la loro sovranità assoluta, e l'eliminazione di tutti gli enti intermedi che in qualche modo potevano limitare il potere dello Stato furono infatti frutto delle tesi giusnaturalistiche. Il potere dei nobili che affiancavano il governo nella gestione della finanza e dell’economia, in ambito militare e nell’esercizio della giurisdizione si affievoliscono man mano che le nuove teorie si diffondono.

Lo Stato, inteso come centro di potere, diventa assoluto, nel senso di “sciolto”, svincolato, assolto da ogni vincolo. I sovrani sono quindi assoluti e “illuminati”, e come conseguenza favoriscono la codificazione, il ridurre tutto il diritto a legge, eliminando le fonti estranee allo Stato stesso, e limitando anche le varie forme di interpretazione. Danno al legislatore il monopolio e quindi il controllo. Il codice prussiano si colloca proprio in questa onda di razionalismo, etico e giuridico.

IL CODICE E LE ALTRE ESPRESSIONI DELL’ILLUMINISMO

Sull’onda quindi del secolo dei lumi ne nascono le prime espressioni che sono, per tradizione:

Ø CODICE FRANCESE DEL 1804

Ø CODICE AUSTRIACO DEL 1811

Ø CODICE PRUSSIANO DEL 1794

Ø RIFORMA degli STUDI DI DIRITTO in PORTOGALLO

Queste espressioni sono una citazione classica dei codici dell’illuminismo, in realtà solo il Codice Prussiano e la Scuola Portoghese si identificano come espressione più fedele del modello di diritto razionale. Il codice francese e il codice austriaco sono infatti espressioni già al di fuori dell’illuminismo, oltre la scuola del diritto naturale. Il codice prussiano e la riforma degli studi di diritto in Portogallo sono invece due importanti realtà, vere espressioni della impostazione razionalistica, basate sulla cosiddetta “recta ratio”:

Il codice vero e proprio entrò in vigore nel regno di Prussia nel 1794, dopo una lunga vicenda che aveva avuto inizio nel 1738 con l'incarico, dato dal re Federico Guglielmo I a Samuele Cocceio. Il giurista fu incaricato di elaborare un sistema di diritto territoriale con il carattere della perennità e stabilità. Samuele Cocceio, che sosteneva l'identità tra diritto naturale e diritto romano, si vide poi confermare l’incarico dal nuovo re, Federico II. Fallito però il tentativo di Cocceio, Federico II affidò il compito di preparare un codice al cancelliere Giovanni Enrico Casimiro von Carmer, che si servì di numerosi altri esperti. Nella versione definitiva il codice perse qualche aspetto delle teorie giusnaturalistiche: non fu riconosciuta l'uguaglianza dei cittadini e fu sancita invece la divisione della società in tre ceti, i contadini, la borghesia e la nobiltà. Ogni cittadino era classificato secondo l’appartenenza a uno dei tre ceti, per nascita o per attività svolta, e il trattamento era diverso a secondo appunto del ceto di appartenenza. Dell'ideologia illuministica il codice prussiano accolse invece il principio secondo il quale il codice doveva essere completo e senza lacune, in modo che all'interprete fosse lasciata la minima libertà possibile. Inizialmente il progetto stabiliva addirittura l'obbligo per il giudice, nel caso di silenzio o oscurità della legge, di ricorrere alla Commissione legislativa: e questo per affermare fortemente il principio che nessuno potesse creare diritto tranne il legislatore, tanto meno mediante l'interpretazione, che veniva infatti riservata anch'essa agli organi legislativi dello stato. Il testo definitivo non giunse a questo estremo ma stabilì ugualmente che il giudice dovesse attenersi strettamente alla parola della legge e che, nel silenzio di questa, dovesse decidere secondo i principi generali del codice stesso e secondo le norme che regolavano casi analoghi a quello in questione. Tale disposizione soddisfaceva una delle istanze dell'illuminismo, cioè quella del vincolo assoluto del giudice alla legge. Essa intendeva realizzare il principio della completezza dell'ordinamento giuridico positivo, stabilendo che nell'ambito dell’ordinamento è sempre possibile ritrovare la norma che regola qualunque caso in questione. Il legislatore prussiano cercò di prevedere la maggior quantità di casi, creando una legislazione amplissima e minuziosa, formulata in un numero enorme di articoli (17.000), la cui conoscenza precisa era però, di fatto, impossibile. Questo mise in risalto il grande limite dell'applicazione del codice, da un lato si richiedeva poche leggi chiare che tutti fossero in grado di conoscere, e dall'altro si pretendeva che fosse il legislatore a regolare tutta la vita giuridica.

Per quanto riguarda il profilo giurisdizionale, il diritto vigente era all’epoca quello del tribunale imperiale, ma il Regno di Prussia usò invece tribunali TERRITORIALI, applicando un PROPRIO diritto, pur rimanendo nell’impero. Il sistema del codice non incluse direttamente le norme processuali, fu affiancato infatti da un REGOLAMENTO giudiziario.

NASCITA, SVILUPPO E METODO DEL CODICE

Il Codice prussiano comincia a delinearsi con una Ordinanza del 1746, nella quale vengono indicate appunto le linee generali e le motivazioni per la stesura del codice. Dal testo dell’ordinanza si identifica l’incarico di redigere un diritto territoriale tedesco, certo, e basato su due criteri fondamentali:

1) RAGIONE NATURALE, la naturalis ratio.

2) COSTITUZIONE DEL PAESE, le regole fondamentali del regno.

Nell’ordinanza si evidenzia inoltre la necessità di ABBREVIARE I PROCESSI, di rendere la legge breve, rapida, oltre che certa, per non correre il rischio di far perdere senso alla giustizia stessa (necessità evidenziata anche da Giustiniano che la incluse nelle motivazioni al suo codice, e sentita fortemente ancora oggi). L’ordinanza è inoltre critica sul NON ORDINE dell’antico diritto romano, pieno di contraddizioni e confuso con altri diritti, e indica quindi la necessità di una SISTEMATICA. I Digesti in effetti riportavano le diverse posizioni prese dai giuristi, quindi conteneva un diritto controverso, ed era oltretutto difficile muoversi all’interno dei testi, non essendo impostati in un modo sistematico. Questa stessa critica era già stata mossa da Cicerone, e poi anche dagli Umanisti.

In risposta all’ordinanza nasce il Progetto, nel quale viene recepita la richiesta di ORDINE. In rispetto ai criteri razionalistici, la tecnica utilizzata fu:

FISSAZIONE PRINCIPI GENERALI





CONCLUSIONI DEDOTTE, che diventano LEGGI

Il progetto recepisce anche il criterio di eliminare tutto ciò che non è applicabile allo Stato tedesco, e la direttiva di sciogliere tutti i dubbi, che dovranno essere risolti scegliendo la soluzione migliore (esattamente come aveva chiesto di fare Giustiniano ai suoi giuristi). Il Codice deve divenire CERTO e UNIVERSALE.

Lo stesso Federico II nel 1750 con una sua Dissertazione dà poi le indicazioni generali su COME PORRE LE LEGGI. Le leggi devono essere poche e chiare, interpretate alla lettera. Il codice deve regolare tutto, in ottemperanza al principio del dominio del legislatore, anche in caso di dubbio. Non va lasciato spazio alla interpretazione e all’analogia.

IL DIRITTO ROMANO E IL CODICE

Rispetto all’Ordinanza, che non lo prevedeva come fonte, nel Progetto il diritto romano viene invece preso molto in considerazione. Il diritto romano, con la sua razionalità intrinseca, i suoi nuclei di diritto naturale e la sua estensione e applicabilità a realtà in continua evoluzione, viene necessariamente preso come riferimento. Nello specifico il diritto romano venne usato come MATERIALE per costruire il diritto, ne venne fatto un uso razionalistico, applicando il cosiddetto “uso moderno delle pandette”, una rilettura appunto più razionale. Per riassumere si potrebbe dire che il diritto Federiciano ha una cornice giusnaturalistica, ed è diritto romano riordinato secondo principi razionalistici. Il diritto romano, TESSUTO del nuovo diritto, venne recepito come UNO degli elementi del codice; incidevano infatti nella produzione anche le tradizioni locali, le consuetudini, così come le residue regole di organizzazione feudale, se naturalmente recepite dal legislatore.

Per quanto riguarda invece le fonti, per il diritto romano valevano da secoli due principi ispiratori:

Ø VOLONTA’ DEL POPOLO

Ø AUTORITA’ DEI GIURISTI

che generavano due tipologie di fonti:

LEGGE + GIURISPRUDENZA

Giustiniano infatti, non predicava il monopolio del legislatore, riconosceva e sanciva la fonte della giurisprudenza, e chiamava addirittura “fondatori” i giuristi.

Il sistema prussiano invece come abbiamo visto accentra la produzione sul legislatore.

ANALISI E SISTEMATICA DEL CODICE

L’ARL è un CODICE UNITARIO, GENERALE, scritto nella lingua nazionale, con enunciati brevi. La sua sistematica prevede una parte generale e delle parti specifiche. E’ un codice esteso, prolisso, molto dettagliato (17.000 articoli) e che disciplina moltissima materia, proprio perché recepisce il principio secondo cui la legge regola TUTTO, ed è in contrasto con il principio secondo cui il legislatore si occupa di quello che accade “per lo più”, come indica invece il Digesto.

Il codice non è di diritto privato, ma è diritto CIVILE, regola infatti le RELAZIONI DEI CITTADINI:

Ø con la famiglia

Ø tra i ceti

Ø con i ceti

Ø con l’organizzazione della società

Il SOVRANO, assoluto e illuminato, guida il progetto.

Le FONTI sono derivate dal LEGISLATORE, che ne detiene il monopolio.

Lo SCOPO è avere un diritto certo, un codice unico, unitario, generale, e adatto al territorio. Secondo Samuele Cocceio lo scopo del codice si poteva riassumere nel “progettare una nuova società”.

I DESTINATARI sono gli abitanti del territorio.

Schema logico

INTRODUZIONE

I – Diritti dell’INDIVIDUO

II – Diritti sull’appartenenza alla stessa casa (famiglia, domestici, e tutto ciò che vi è connesso)

III – Diritti dei diversi ceti

Si parte dall’INDIVIDUO per passare poi alla FAMIGLIA. La disciplina dei rapporti fra i ceti, che rappresenta una grande estensione del codice, in seguito si separerà e diverrà Diritto Amministrativo. I rapporti fra privati e stato si staccheranno, alleggerendo il Codice. I ceti stessi spariranno poi anch’essi dal codice.

****

L’ALR, tradotto in italiano a metà del 1800, durerà fino al 1900, poi sarà sostituito dal Codice Civile Tedesco.



Il codice francese-napoleonico

Il codice francese, uno appunto dei codici moderni, conterrà infatti nel 1804 degli enunciati, eleganti chiari e poco dottrinali. E’ un codice tuttora vigente, naturalmente arricchito e modificato. In questo periodo stanno valutando una riforma della parte relativa alle obbligazioni.

Il codice prussiano era invece molto prolisso, dettagliato, ed è stato sostituito dal Codice Tedesco nel 1900. Ogni codice come abbiamo visto e vedremo, ha i suoi aspetti peculiari.

Per tornare alla Francia, dopo le invasioni barbariche era divisa in due zone, Il sud est, che aveva un diritto scritto, romano, e il nord ovest, che aveva invece un diritto consuetudinario, con gli usi dei Franchi, frammentario, diverso da luogo a luogo.

Nel 1600 si introducono in questo quadro le GRANDI ORDINANZE del re, che disciplinano materie specifiche, sulle quali si voleva uniformare il diritto in ogni zona. Ad esempio per il commercio, il commercio marittimo, il diritto processuale, la successione, insomma temi di interesse generale.

Alle Grandi Ordinanze si affianca la REDAZIONE PER ISCRITTO DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, curata dagli abitanti per rendere queste regole certe, conoscibili, ed è un lavoro che viene fatto alla presenza di inviati del sovrano. Viene fatto un vaglio, e vengono eliminati quegli aspetti non conformi alla politica legislativa del re.

Questo duplice lavoro, l’emanazione delle Ordinanze e la Redazione per iscritto delle consuetudini preparava all’unificazione del diritto, in cui i giuristi si inseriscono, redigendo opere per l’insegnamento o per l’applicazione del diritto, tenendo sempre presente il diritto consuetudinario.

Lo schema, la struttura seguita per le opere è quella delle ISTITUZIONI DI GIUSTINIANO, e si crea quindi una comunicazione, un collegamento tra un diritto e un altro, un ponte tra gli istituti di diritto romano e il diritto consuetudinario, un lavoro di mediazione tra diritto romano e consuetudini barbare.

I giuristi che redigono queste opere, che fanno questo lavoro di avvicinamento di un diritto ad un altro, che trasforma inevitabilmente il diritto consuetudinario, inserendolo in uno schema di diritto romano, sono detti ISTITUZIONISTI. Anche oggi chi scrive i manuali fa un lavoro da ISTITUZIONISTA, riformula le regole adeguando il discorso alla cultura dell’epoca.

Lo schema delle Istituzioni di Giustiniano (Persone – Cose – Azioni) era didatticamente e scientificamente ormai molto importante, era diventato un valido modello per i successivi manuali, che riversano, riscrivono le istituzioni utilizzando più le REGOLE, eliminando invece i RAGIONAMENTI.

Così in Francia avviene che il diritto consuetudinario viene scritto facendolo inquadrare negli schemi delle Istituzioni di Giustiniano.

Nascono nuove stesure di Istituzioni, la più famosa dei primi del 1700 è quella di EINECCIO, e anche altre opere, che comparano il diritto consuetudinario con il diritto romano, e altre opere ancora di diritto consuetudinario.

Quindi le opere che vengono prodotte nel periodo sono:

1) Istituzioni di diritto romano ARRICCHITO

2) Istituzioni di diritto romano COMPARATO

3) Istituzioni di diritto territoriale (in francia, in olanda etc.)

Qui si innesta il processo di codificazione a cui si arriva dopo l’avvento nello studio del diritto di due grandi giuristi della fine del 1600 – inizio del 1700.

JEAN DOMAT

Domat vive nel secolo del razionalismo (esponenti Cartesio, Pascal 1600/1700), dove la RAGIONE viene posta al centro. E infatti Domat usa questi criteri per lo studio del diritto, lo guarda dal punto di vista pratico. Fu Presidente di grandi tribuali, e autore di un’opera in particolare che segna profondamente la cultura giuridica francese.

Les lois civiles dans leur ordre naturel – 1694

Le droit publique, suite de le lois civiles – 1697 (postumo)

In questa opera distingue il diritto in PUBBLICO e CIVILE e assume come schema di base le Istituzioni di Giustiniano, mutandolo nella costruzione (Fonti delle regole - Persone – Cose ). In particolare nell’opera troviamo la grande innovazione della CONVENZIONE (da conventio – convenire da diverse volontà si arriva, si conviene a un accordo), appare quindi l’elemento ACCORDO, la centralità dell’ACCORDO. Un importante sviluppo del lavoro di DOMAT porterà all’istituto del TRASFERIMENTO DELLA PROPRIETA’ MEDIANTE IL CONSENSO, mentre per secoli nel diritto romano vigeva la TRADITIO, cioè il trasferimento della proprietà tramite la CONSEGNA.

Quindi l’opera si presenta così ripartita:

PARTE I – degli OBBLIGHI

1) attraverso CONVENZIONI (es. vendita, prestito), con mutua volontà, con accordi tra le parti

1) senza CONVENZIONI(es. tutori)

2) quanto connesso agli obblighi (es. pegno)

3) estinzione dell’obbligazione (es. pagamento)

Come logica NATURALE delle relazioni umane lui esalta quindi la CENTRALITA’ DEGLI OBBLIGHI E DELLE FONTI DEGLI OBBLIGHI.

Parte II – SUCCESSIONI

Quando elaborerà il DIRITTO PUBBLICO lo tratterà come ordinamento più stabile, più costante, infatti non apporterà grandi innovazioni, il nucleo centrale del diritto pubblico in generale cambia di meno, in quanto è da sempre frutto delle istituzioni politiche, è lontano dalla naturalità.

Lo schema di Domat quindi riprende lo schema di Giustiniano ma c’è una grande innovazione, lui tenta un ordine nuovo, con dei concetti di fondo nuovi, per il diritto civile, come la convenzione e le obbligazioni, tema centrale, che resterà tale fino ai giorni nostri.

Uno dei principi cardine è infatti “i patti devono essere rispettati”, e già il Pretore in virtù di questo principio prevedeva delle ECCEZIONI, e così noi oggi lo abbiamo come base, e lon inseriamo come concetto nei CONTRATTI. Dal 1900 si affiancherà al PATTO nei contratti un altro elemento, LA CAUSA.

Con DOMAT quindi abbiamo detto emerge la CENTRALITA’ DELL’ACCORDO (e delle obbligazioni conseguenti) che ha matrice romanistica, ma a cui ha dato uno specifico apporto il DIRITTO CANONICO, che sviluppa da sempre il massimo rispetto per gli accordi, ma soprattutto per LA LIBERTA’ DI PRENDERE ACCORDI, che diventa poi vincolante.

In quel periodo storico i due binari, del diritto civile e del diritto canonico, con logiche diverse ma complementari, viaggiano insieme e formano il IUS COMMUNE.

ROBERT JOSEPH POTHIER

Circa mezzo secolo dopo Domat, verso la metà del 1700 il giurista Pothier produrrà delle opere importantissime:

1) TRATTATO DI DIRITTO CIVILE che in parte sarà propriamente Trattato delle Obbligazioni, che alimenterà la dottrina francese

2) PANDETTE DI GIUSTINIANO RIORDINATE – Pandectae Justinianeae in novum ordinem digestae

Le Pandette, cioè i Digesti, di Giustiniano erano redatti in 50 LIBRI, e divisi in TITOLI. L’ordine di esposizione, essendo però legato al diverso lavoro delle commissioni di giuristi è un ordine “rozzo” non propriamente logico. I Glossatori nello studiare e glossare i Digesti mantennero l’ordine originale, così come i Commentatori, che riscrivino, parafrasano, ma non toccano l’ordine. Pothier invece usa i frammenti, non li riscrive ma LI METTE IN ORDINE.

I frammenti che cita sono quindi sempre gli stessi, ma li mette in un ordine LOGICO. La sequenza diventa più LOGICA.

Per esempio, alla fine del Libro 50, nei titoli D 50,16 e D 50,17 riuniscono regole di diritto antico e termini, parole, di portata generale. Creano quindi un cuore, una parte comune, generale, che si ritrova anche oggi nei codici moderni, una parte che cura i concetti e i termini generali. Anche oggi infatti, anche all’inizio di una legge, o nelle premesse dei contratti, viene inserito e puntualizzato cosa si intende con determinate parole. I giuristi di Giustiniano avevano quindi DECONTESTUALIZZATO alcune regole e le avevano riportate nel titolo finale, REGOLE GENERALI, insieme ad alcune parole, alcuni termini comuni a molte leggi, con il loro significato. Sanciscono regole e parole generalizzate, e ne stilano circa 200. Un lavoro quindi di

GENERALIZZAZIONE E DECONTESTUALIZZAZIONE

Pothier con il suo lavoro, simile a quello dei giuristi di Giustiniano, ne estrae molte di più, prosegue questo lavoro di assolutizzazione, cioè di rendere ASSOLUTE, valide per tutto il diritto, queste regole di base e questi termini. Recupera naturalmente il lavoro già fatto dai Glossatori e i collegamenti che questi avevano fatto, quando avevano cioè individuato una “regola” e avevano annotato i collegamenti di questa regola con tanti altri punti del Digesto.

Quindi Pothier non innova ma riordina. Accorpa le nuove regole generali in un “ordine nuovo”, logico-sistematico. L’opera è in 5 VOLUMI, di cui UN VOLUME INTERO contiene queste regole generali (nel Digesto occupava circa 5 pagine).

Questo assume il ruolo di grande lavoro di preparazione a un futuro codice, l’opera di Pothier rappresenta il passaggio dal Codice di Giustiniano all’avvento del Codice Francese, è la vigilia del Codice. Ha dato una forma logica a qualcosa di già consolidato, lo ha ampliato e ha gettato la base per il Codice.

Per riassumere, la storia del diritto di questo periodo in Francia vede:

1) GRANDI ORDINANZE

2) SCRITTURA DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, rivista dal re

3) MANUALI ISTITUZIONALI con rilettura e trasformazione del diritto consuetudinario, una mediazione di questo con il diritto romano, una comparazione e un affiancamento

4) L’OPERA DI DOMAT

5) L’OPERA DI POTHIER da cui partirà il lavoro per il CODICE, con la rivoluzione francese.

Da notare che dopo la rivoluzione, nel 1791 (la rivoluzione era stata nel 1789) vengono cancellati tutti i privilegi, tutti gli istituti. Prima la proprietà, con le Signorie, aveva mille aspetti, dopo la rivoluzione la proprietà torna UNICA, verrà messa al centro del diritto civile. Emergerà centrale nel Codice Civile Francese del 1804, che infatti verrà detto codice della proprietà e del cittadino, recepirà il concetto di obbligazioni che nascono dalle convenzioni, sarà Codice dei CONTRATTI, che HANNO VALORE DI LEGGE FRA LE PARTI.)Il codice francese ha avuto un effetto storico rilevante, e oltre alla sua alta qualità tecnica, ha avuto una grandissima spinta evoluzionista (cosa già successa per il codice austriaco). La vera novità fu, la grande impronta, e il grande radicamento del diritto romano nel codice. L’opera di Pothier, che fu principio ispiratore del codice francese, fu fondamentale a questo scopo, in particolare nel libro 50 con le sue pandette riordinate, cioè con il riordinamento e l’integrazione delle regole di diritto antico.

Lo schema fu ispirato al Digesto di Giustiniano, solo riordinato, perché il Digesto aveva le regole in ordine di “spoglio” dei materiali, i frammenti apparivano elencati secondo il ritrovamento, non seguivano un ordine logico, invece Pothier li mette in ordine e ne aggiunte molti altri, presi da altre parti del Digesto, trovò altri frammenti con regole generali e li inserì nel Libro 50, 17.

I giuristi che lavorarono al Digesto oltre agli esempi, alle soluzioni dei casi concreti, indicavano la RATIO, il motivo per cui erano arrivati a quella soluzione, il fondamento su cui si basava la soluzione scelta.

Esempio: La responsabilità aquiliana, per danno extracontrattuale. In un frammento Ulpiano esamina il caso di un istruttore che nel correggere un apprendista eccede nella reazione e lo ferisce perché gli viene chiesto che responsabilità ne derivi per l’istruttore. E’ ingiuria? No, perché lo scopo era correggere non offendere. E’ responsabilità per danno? Il Digesto a questo punto aggiunge un frammento di Paolo che porta alla decisione. Il frammento riporta “l’eccesso di potere (leggasi “nell’esercizio di un diritto”) di correzione comporta responsabilità” che fa decidere il caso di specie e diventa anche regola generale. Viene “scorporata” dal caso, allarga la sua portata, si astrae e diventa applicabile anche per altri casi.

Un altro esempio è la risposta a un quesito del II secolo, un caso in cui un padrone maltratta i servi, i quali chiedono protezione al magistrato. Quest’ultimo chiede un parere per sapere se può togliere i servi da questo padrone e rivenderli. L’imperatore risponde di sì, che possono essere venduti senza il consenso del padrone, violando quindi l’autonomia privata. La decisione è presa basandosi su una ratio di Gaio (le ratiotra l’altro sono da sempre basate sul sentire comune), sul principio generale “E’ interesse della res pubblica che ognuno abbia cura delle cose sue”. Quindi un interesse più generale supera l’’interesse privato, C’è già quasi nel diritto romano antico una anticipazione della funzione sociale della proprietà contenuta oggi nella nostra costituzione.Da sottolineare che però nell’800 la proprietà sarà invece considerata assoluta, sarà un concetto centrale, e sarà intesa come diritto di usare ma anche di abusare.

Agli esempi di decisioni quindi viene applicato un processo di astrazione, che li fa diventare regola generale. Questo insieme di regole generali, astratte, diventerà lo schema dei codici moderni. I nostri codici sono infatti degli insiemi di regole, che possono essere anche usati nei ragionamenti di analogia leges e iura, e non contengono esempi.

Si assiste quindi al passaggio da testi esemplificativi di problemi concreti, da discussioni che portano alle decisioni, a astrazione di regole generali. E questo si sviluppa attraverso il SISTEMARE, l’ENUCLEARE REGOLE E ASSIOMI, il CREARE SISTEMI DI ASSIOMI che valgnono in generale, lasciando da parte gli esempi, riducendo di conseguenza la portata del testo, la sua VOLUMINOSITA’. Si riducono quindi di volume i testi, e un altro esempio di testo ricavato dai Digesti è le Istituzioni di Irnerio Costui riscrive le Istituzioni di Giustiniano, le riscrive con un grande rigore formale, eliminando la parte di ragionamento, e ricercando anche lui nuove regole, ricavandole dai Digesti. Il suo testo è quindi molto più ricco DI REGOLE, tanto che viene usato nel secondo e nel terzo anno di studio mentre le Istituzioni di Giustiniano vengono usate solo nel primo.

Pothier fa una cosa simile, ma rispetto a Irnerio che riscrive, Pothier fa più un “taglia e incolla”, scorpora e astrae regole, non modificando i testi. Estrae le rationes e le mette in ordine, dando vita alla base del diritto moderno.

Si arriva quindi a tre progetti di Codice, durante e dopo la rivoluzione. I primi sono i Cahiers de Doleans, che sono una base di progetto, pongono l’istanza per il progetto del codice, danno indicazioni per un code rural. A questo seguirono i progetti di Cambacérès.(Jean-Jacques Régis de Cambacérès, duca di Parma, (Montpellier, 18 ottobre 1753 - Parigi, 8 marzo 1824) è stato un importante legislatore ed uomo politico francese del periodo rivoluzionario e napoleonico. È ricordato soprattutto per la stesura di tre progetti di Codice Civile tra il 1793 e il 1796, progetti mai entrati in vigore, ma che gettarono le basi per il Codice Napoleonico del 1804, che rappresenta una delle basi del diritto moderno).Cambacérès nacque a Montpellier, nel sud della Francia, da una famiglia della noblesse de robe, la nobiltà ereditaria che si occupava della burocrazia reale. Nel 1774 si laureò in legge e successe al padre nella carica di consigliere della Corte delle finanze di Montpellier. Nel 1789 Cambacérès fu sostenitore della Rivoluzione francese e venne eletto rappresentante di Montpellier all'incontro degli Stati generali a Versailles, anche se non ebbe modo di presentarsi. Nel 1792 rappresentò il dipartimento di Hérault presso la Convenzione che proclamò la Prima repubblica francese nel settembre 1792.

Gli atteggiamenti di Cambacérès nel primo periodo rivoluzionario rimasero moderati. Durante il processo intentato a Luigi XVI egli protestò che la Convenzione nazionale non disponeva del potere legislativo per il giudizio e chiese che il re disponesse delle dovute garanzie legali durante il processo. Tuttavia al termine del processo Cambacérès votò, insieme alla maggioranza, per la colpevolezza di Luigi XVI, pur richiedendo che la sentenza venisse posticipata fino a quando potesse essere ratificata da un adeguato corpo legislativo.

Nel 1793 Cambacérès venne eletto membro del Comitato di difesa generale, ma non entrò a far parte del suo famoso successore, il Comitato di salute pubblica, fino alla fine del 1794, dopo che gli eccessi più vistosi del Regno del Terrore erano già stati consumati. Nel frattempo Cambacérès lavorò su gran parte della legislazione francese del periodo rivoluzionario; nel 1795 egli venne inviato in missione diplomatica per negoziare la pace con la Spagna.

Cambacérès venne considerato troppo conservatore per diventare uno dei cinque Direttori che assunsero il potere nel 1795 e trovandosi in opposizione con il Direttorio si ritirò dalla politica. Nel 1799, quando la Rivoluzione entrò in una fase più moderata egli rientrò nel mondo politico, assumendo la carica di Ministro della Giustizia.

Il 9 novembre 1799 (18 brumaio, secondo il calendario rivoluzionario francese) Cambacérès fu sostenitore del colpo di stato che portò Napoleone Bonaparte al potere con la carica di Primo Console, in un nuovo regime che si proponeva di stabilire una solida repubblica costituzionale: di fatto il Consolato aprì la via alla successiva dittatura di Napoleone.

Nel dicembre 1799 Cambacérès venne nominato Secondo Console, una carica nominalmente inferiore solo a quella di Primo Console, detenuta dallo stesso Napoleone. Napoleone gli assegnò questa importante carica a causa della vasta conoscenza legale e alla reputazione di repubblicano moderato che Cambacérès si era fatto negli anni precedenti.

I progetti codicistici [modifica]Tra il 1793 e il 1796 Cambacérés partecipò alla redazione di tre progetti di Codice Civile, allo scopo di unificare la legislazione privatistica francese in un unico corpo normativo, anche alla luce delle numerose riforme intercorse nel periodo rivoluzionario (ad esempio la riforma del diritto di famiglia). Questi tre progetti restarono però solo sulla carta, in quanto si può dire che essi furono presentati sempre un po' in ritardo e le mutate circostanze politiche non ne permisero l'approvazione.

Primo progetto (1793) (modifica)

Il primo progetto prevedeva un Codice suddiviso in tre libri (diritto delle persone, dir. delle cose, dir. dei contratti e delle obbligazioni); per quanto riguarda i contenuti esso proclamava l'uguaglianza giuridica dei cittadini e dava grande spazio all'autonomia negoziale. Disposizioni importanti erano: l'abolizione della patria potestà e della potestà maritale, la comunione dei beni tra i coniugi, il divorzio (introdotto in Francia nel 1792) facilitato, il favore verso la successione legittima (ridotta a un decimo la quota disponibile per il testatore).

Il progetto, presentato nell'agosto 1793, fu inizialmente accolto con favore e molti articoli vennero approvati; ma dopo l'affermazione del Terrore il clima cambiò: il codice venne giudicato troppo complesso e vennero riscontrate delle tracce di antico regime. In novembre l'esame fu interrotto e il progetto fallì.

Secondo progetto (1794) (modifica)

Per questo progetto Cambacérés s'avvalse della consulenza di Philippe Antoine Merlin; anch'esso diviso in tre libri, presentava molti meno articoli. Lo stile era innovativo, le norme erano presentate sottoforma di comandi brevi e laconici, senza tecnicismi: il codice appariva come una sorta di breviario del Giusnaturalismo e dell'Illuminismo.

Esso radicalizzava i princìpi rivoluzionari dell'uguaglianza; fu presentato nel settembre 1794, poco dopo la deposizione di Robespierre: visto il mutato clima politico, fu accusato d'essere troppo generico e di avere contenuti troppo radicali. Anche lo stesso Cambacérès prese le distanze dal suo progetto ed esso fallì.

Terzo progetto (1796) (modifica)

Questo terzo progetto (diviso in tre libri, con ben 1104 articoli) fu presentato al Consiglio dei Cinquecento nel giugno 1796: segnava il ritorno alla tradizione giuridica anteriore (consuetudini e diritto romano) ed era caratterizzato dal compromesso fra tradizione e innovazioni rivoluzionarie.

Le norme (semplici, chiare e ben formulate) disponevano tralaltro: matrimonio posto al vertice della società (divorzio comunque mantenuto), ruolo prevalente del marito, patria potestà nei suoi caratteri rivoluzionari (doveri di mantenimento, educazione e protezione), vietata l'adozione a chi avesse già figli, favore per successione legittima meno marcato. Al Consiglio apparve troppo legato all'ideologia giacobina e fu rigettato.

Anche se non entrarono mai in vigore, questi tre progetti furono molto importanti per la compilazione del Codice napoleonico del 1804, affidata nel 1800 a una commissione di quattro esperti, sotto la direzione di Cambacérès.

Il Il Code Napoléon (modifica)

Il codice venne promulgato nel 1804 da Napoleone, ormai diventato imperatore. Il Codice eliminava definitivamente i retaggi dell'ancién régime, del feudalesimo, dell'assolutismo, e creava una società

prevalentemente borghese e liberale, di ispirazione laica, in cui venivano consacrati i diritti di eguaglianza, sicurezza e proprietà.

L'applicazione del Codice ebbe larga diffusione a seguito delle successive conquiste napoleoniche: l'Italia, l'Olanda, il Belgio, parte della Germania e della Spagna (e indirettamente le colonie spagnole in America Latina) lo utilizzaziono e, successivamente alla caduta di Napoleone, nella maggior parte dei casi, lo modificarono mantenendolo in vigore.

Per l'Italia, il valore del Codice Napoleonico resta fondamentale, poiché esso confluì poi nel codice civile italiano del 1865.

Ultimi anni [modifica]

Cambacérès disapprovò l'accumulo di potere nelle mani di Napoleone che culminò con la proclamazione dell'Impero il 18 maggio 1804. Nonostante questo egli continò a ricoprire le importantissime cariche di Arcicancelliere dell'Impero e di Presidente del Senato; nel 1808 egli venne nominato principe dell'impero e Duca di Parma.

Nel periodo napoleonico, come durante il regime rivoluzionario, Cambacérès rimase politicamente un moderato, opponendosi alle avventure rischiose come, ad esempio, l'invasione della Russia nel 1812.

Con Napoleone impegnato in continue campagne di guerra, Cambacérès divenne di fatto capo del governo metropolitano, una posizione che inevitabilmente lo espose a critiche e impopolarità man mano che la situazione economica francese peggiorava. Il suo gusto per la "bella vita" attrasse commenti ostili. Tuttavia il popolo riconobbe la giustizia e la moderazione del governo, nonostante la coscrizione sempre più massiccia, verso la fine del periodo napoleonico, abbia creato nuovi risentimenti nei confronti di Cambacérès.

Alla caduta dell'Impero nel 1814, Cambacérès si ritirò a vita privata ma venne richiamato durante il breve ritorno napoleonico del 1815.

Dopo la restaurazione monarchica, egli rischiò l'arresto per le attività svolte, e per un breve periodo venne esiliato dalla Francia, a Bruxelles. Ma la sua opposizione all'esecuzione di Luigi XVI lo scagionò, e, nel maggio 1818, i sui diritti civili di cittadino francese vennero ristabiliti.

Cambacérès divenne membro dell' Académie française e visse serenamente nella provincia francese fino alla morte, avvenuta nel 1824).

I progetti furono brevissimi, ispirati a degli ideali propri del carattere di Cambacérès, e rappresentano la risposta alla richiesta di indicare con precisione i diritti e i doveri di ogni cittadino. Il cittadino doveva poter trovare e conoscere i propri diritti e doveri. All’epoca c’era una certa avversione verso i giuristi come ceto, verso i giuristi in particolare dei tribunali e delle università, esisteva un clima di polemica e di tensione che era legata a eccessi di tecnicismo che nascondevano scelte di fondo non condivise. I giuristi più attaccati erano quelli conservatori, legati all’apparato preesistente, che si trovarono di fronte alle idee rivoluzionarie. Obiettivo diventò quindi progettare un codice che consentisse al cittadino di evitare la mediazione del giurista conservatore. L’istanza era eccessiva, era un’utopia, perché il diritto va comunque sempre interpretato, per applicare la legge bisogna comprenderla.

Comunque nell’ottica di avvicinare il codice al cittadino, questo venne progettato semplice, leggibile, ma nonostante un linguaggio comprensibile a tutti ci si renderà presto conto che i giuristi servono sempre, perché la troppa semplicità riduce l’applicabilità delle norme.

Cambacérès nei suoi progetti fa proprio questo, i suoi tre progetti sono per un codice comprensibile, ma le sue furono opere pressoché inutili.

Lui stesso afferma “è impossibile produrre un codice che preveda tutti i casi (già nel Digesto e nelle idee di Cicerone ricorre il concetto di limitarsi a disciplinare ciò che prevalentemente accade)– troppe leggi schiacciano un popolo – servono poche leggi agli uomini onesti – ma troppo poche nuove all’armonia sociale – il legislatore deve lasciare aperture a nuovi sviluppi.

A questo si somma una forte spinta alla riduzione, alla creazione di un testo agile, che portò però i primi tentativi ad andare oltre il limite, lo stesso Portalis si allinea con la teoria di Cambacérès che dice che servono poche leggi agli uomini onesti – ma troppo poche nuove all’armonia sociale. Serve sempre un certo livello di tecnicità.

La svolta, anche politica, avvenne con Napoleone, che organizza uno stato moderno, (vedi 18 brumaio) che porterà a nominare una commissione di tecnici del diritto, con a capo Portalis (Jean-Étienne-Marie Portalis - 1 aprile 1746 – 25 agosto 1807) che produrrà il CODICE NAPOLEONE.

Napoleone recepisce questa necessità di avere un alto livello di tecnicità nella formazione, e sarà il punto emergente di tutta una certa cultura giuridica, guidata da Cambacérès e Portalis. Serve quindi il lavoro dei giuristi.

Il lavoro della commissione viene affiancato e coadiuvato da un’attività di consultazione degli organi dello Stato, anche di quelli giudiziari.

Nel discorso di Portalis, preliminare al Codice, si legge: “non istituzioni nuove per il popolo, ma approfittare della esperienza del passato, delle selezioni di leggi giuste fatte nel passato. Semplificare sì, ma con cautela Prevedere tutto d’altro canto è impossibile. Non inseriamo leggi inutili e teniamo presente che le leggi sono ferme, ma gli uomini sono sempre in movimento, ci sono circostanze diverse ogni momento” Già Giustiniano affermava “le cose umane mutano”.

Quindi come fece Giustiniano, anche con Napoleone viene nominata una commissione di esperti, che lavora su un bagaglio di lavoro giuridico del passato, con obiettivi di GIUSTIZIA e di FORMAZIONE dei giuristi.

FONTI : scienza giuridica e legislatore

OBIETTIVI: giustizia e formazione.

STRUTTURA: è un codice breve, con articoli agili e brevi, scritto con grande chiarezza nella lingua.

DESTINATARI: tutti i francesi

Inserito in un sistema di codici (di commercio, di procedura civile, penale, di procedura penale) quindi da solo non copre tutti i temi ma disciplina principalmente I RAPPORTI CIVILI tra i cittadini, compresa la disciplina degli atti illeciti. Il cittadino detiene quindi il primato nel codice, è il centro di riferimento. E’ quindi il codice delle SINGOLE PERSONE, del CITTADINO.

La struttura del contenuto è sulla modello delle istituzioni.

LIBRO I – PERSONE e famiglia (la famiglia in quanto uno degli aspetti della persona)

LIBRO II – COSE, BENI

Sarà notoriamente il codice della PROPRIETA’ una proprietà rivisitata dalla rivoluzione, e principalmente fondiaria. La borghesia aveva voluto liberalizzare la proprietà, renderla mobile, trasferibile in tutto o in parte, rendere liberi di proprietari di usare i beni di loro proprietà come vogliono, anche per crearne capitali (esempio accendere ipoteche per sfruttare economicamente il bene). Quindi TRASFERIBILE, COMMERCIABILE, perche PRIVATA.

Cadono i diritti ecclesiastici, i diritti feudali, c’è una grande avversione ai vincoli, tale da cancellare tutto ciò che immobilizza la proprietà. Questa PIENA DISPONIBILITA’ DEL TITOLARE (utilista principale) è una grande svolta nella storia economica.

Tutto strettamente connesso alla LIBERTA’ DEL CITTADINO.

LIBRO III – MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETA’ – successioni, contratti, tutto ciò che è frutto di un ACCORDO DELLE PARTI, liberamente preso. Ecco che l’accordo è anch’esso la centralità del codice. La libera volontà delle parti è principio cardine e nasce il principio del CONTRATTO CON VALIDITA’ DI LEGGE TRA LE PARTI.

La CONVENTIO, l’ACCORDO, si è affermato nei secoli molto lentamente, non era prima elemento di primo piano. Così come la validità di legge tra le parti. Dal patto poteva nascere una ECCEZIONE, non nasceva una OBBLIGAZIONE. Il principio per cui l’accordo VINCOLA, e produce un’obbligazione si concretizza solo con il codice napoleonico. Solo il diritto canonico gli dava già una certa rilevanza.

ART. 1101 – ACCORDO TRA LE PARTI CHE PRODUCE OBBLIGAZIONE

Manca però l’elemento della CAUSA, l’interesse effettivamente perseguito, che si concretizzerà più avanti.

Il sistema del codice napoleone si basava quindi su tre pilastri:

* CITTADINI
* PROPRIETA’
* LIBERA VOLONTA’

La persona, l’uguaglianza, che nel Codice Prussiano è ancora offuscata dalle differenze tra i ceti, è invece sancita nel codice francese. FRA I CITTADINI NON C’E’ DIFFERENZA. Bisogna però tenere presente e valutare le conseguenze che si sono succedute per i rapporti tra:

CODICE E SCHIAVITU’

E

CODICE E STRANIERI

Da sempre esisteva la considerazione giuridica della PERSONA, anche nel diritto romano più antico è considerato l’UOMO, e il fatto che è per lui che è fatto il diritto, è incentrato sull’uomo. Infatti prevedeva norme per cui anche i servi potevano diventare liberi, e norme che indicavano che non si poteva abusare di loro. Anche gli stranieri, per i quali nasce il ius gentium, che va a congiungersi poi con il ius civile. Ulpiano stesso li unisce e ribadisce che TUTTI GLI UOMINI PER NASCITA SONO LIBERI, principio di diritto naturale, non prodotto dagli uomini ma dalla natura, e infatti gli uomini non possono modificarlo. Lo Ius gentium aveva alla fonte invece la NATURALIS RATIO, quindi la ragione dell’uomo, che avendo messo CONFINI alla proprietà e ai regni, fa nascere conflitti e guerre, e a seguito delle guerre la prigionia degli sconfitti in guerra, che diventano servi dei vincitori. Ecco come nasce la servitù.

In diritto romano, lo ius gentium è l'insieme di regole che ha la sua fonte nella naturalis ratio e che viene osservato in eguale misura tra tutti i popoli. Esso si contrappone concettualmente allo ius civile quale diritto proprio di ciascuna civitas.

Mentre lo ius civile deriva da leggi scritte, il secondo ha la sua fonte del diritto nell'agire che resta invariato nel tempo, e diventa legittima prassi. Non riguarda, tuttavia, la tradizione di un popolo, ma le abitudini comuni agli uomini di ogni luogo e tempo, che si possono quindi ritenere connaturate con l'uomo e legittime.Il giurista romano Gaio ci fornisce nel paragrafo introduttivo delle sue Istituzioni la seguente nozione di ius gentium: G. 1.1 «Quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes populos peraeque custoditur vocaturque "ius gentium", quasi quo iure omnes gentes utuntur. Populus itaque Romanus partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utitur» (trad.: "Ciò che invece ha stabilito la naturalis ratio tra tutti gli uomini viene in eguale misura osservato presso tutti i popoli ed è chiamato ius gentium, quasi come del diritto di cui si servono tutte le genti. E così il popolo romano si serve in parte del diritto proprio, parte del diritto comune a tutte le genti").

I primi vagiti dello ius gentium posso essere collocati nel periodo successivo al conflitto con Cartagine e all'espansione vertiginosa in Roma dei traffici commerciali. Allorché a Roma si riversarono mercanti e peregrini da ogni città del mondo conosciuto si impose con immediata evidenza il problema del diritto applicabile alle controversie che riguardavano i cives e i non cives (peregrini) da un canto, o i peregrini nei loro rapporti d'altro canto. All'uopo non poteva certo essere applicato lo ius civile, orgogliosa prerogativa dei cives romani, considerato ius proprium civium Romanorum.

Inutilizzabile lo ius civile, venne in soccorso dei peregrini il pretore, che già dal 367 a.C. amministrava la giustizia correggendo, modificando, ampliando all'occorrenza il diritto civile. Dotato di imperium, il pretore bene poteva oltrepassare i limiti dello ius civile e applicare alle controversie tra i peregrini o tra peregrini e cives le regole esposte a inizio anno nel suo Edictum.

Questo tipo di controversie diventò così frequente nella prassi giudiziaria che nel 242 a.C. venne creato un secondo praetor, cd. praetor peregrinus, da affiancare a quello già esistente, che assunse il nome di praetor urbanus.

Con il passare dei secoli, le norme codificate nell'editto del praetor peregrinus furono applicate anche ai rapporti tra i cives.

Quindi da una parte l’applicazione del DIRITTO NATURALE (gli uomini sono tutti liberi) dall’altra il DIRITTO CIVILE DELLE GENTI (prigionieri, quindi servi).

Quando la categoria degli stranieri viene invece cancellata, non avrà più senso fare prigionieri di guerra, quindi la divisione dovrebbe non esistere più. La schiavitù sarà invece cancellata del tutto solo 14 secoli dopo. In un concilio verrà sancito che un cristiano non può essere servo di un altro. Da notare che invece cittadini di altre religioni possono essere servi. Anche Giustiniano manterrà comunque la distinzione tra liberi e servi, la potestà di sé stessi o di altri.

Con il codice francese si compie quindi il grande passo verso la considerazione unitaria delle persone.

All’epoca della scoperta dell’America, quindi di nuove terre, si pose la questione di come potevano essere trattate giuridicamente quelle nuove persone, saranno sudditi oppure schiavi? Colombo tenderà a considerarli schiavi e verrà invece ripreso da Isabella che li considererà invece suoi sudditi. Nasce una disputa giuridica e una ricerca di un fondamento giuridico per il trattamento da riservare agli abitanti delle nuove terre. Se sono uomini, e quindi sono liberi, sono quindi anche proprietari delle loro terre? La domanda se fossero uomini può apparire a noi strana, ma se consideriamo che ad esempio Aristotele individuava una categoria di uomini fatti per servire, sembra gettare un presupposto in contrario con l’uguaglianza, con la libertà innata di ogni uomo, e consideriamo anche che il colore della pelle incideva sulla considerazione uomo o meno.

A risolvere la questione interviene il pontefice Paolo III con una bolla pontificia (Sublimis Deo), sancisce il principio per cui gli abitanti del nuovo mondo sono UOMINI, CAPACI DI CONOSCERE, (non conoscono ma sono capaci di conoscere) QUINDI LIBERI, QUINDI PROPRIETARI. HANNO DEI DIRITTI.

Il 2 giugno 1537 è una data memorabile sia per il Sud-America come per l'Europa. Infatti questo è il giorno in cui Paolo III (Alessandro Farnese, 1468-1549, pontificato 1534-1549) emanò la Bolla Veritas Ipsa (chiamata anche Sublimis Deus) nella quale con la Sua apostolica autorità metteva fine alle numerose dispute che angustiavano varie università europee per decidere se gli abitanti del Nuovo Mondo dovessero essere considerati animali superiori o uomini inferiori. Il Papa tenendo conto della dottrina teologica e della documentazione a lui pervenuta volle porre fine alle dispute ed emanò il verdetto: "Indios veros homines esse".

La bolla si cerca di tenerla nascosta, ma nascono comunque leggi contenenti il divieto di rendere schiavi gli abitanti del nuovo mondo, i nativi americani.

Il traffico degli schiavi dall’Africa invece ha una storia diversa, essendosi via via sviluppato. Questi venivano invece considerati schiavi perché venivano già acquistati come tali. Haiti era colonia francese, quindi con la rivoluzione che professa l’uguaglianza, si pone il problema anche per loro di come trattarli giuridicamente. Va ricordato che oltre al codice francese è in vigore, anche se non ha forza normativa, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 (Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen) è un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione francese, contenente una solenne elencazione di diritti fondamentali dell'individuo e del cittadino.

Tale documento ha ispirato numerose carte costituzionali ed ancor oggi il suo contenuto, più che mai attuale, costituisce uno dei più alti riconoscimenti della libertà e dignità umana.

All'indomani della Rivoluzione francese, l'Assemblea Nazionale Costituente decise di assegnare ad una speciale Commissione di cinque membri eletta il 14 luglio 1789 il compito di stilare una Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino da inserire nella futura costituzione, nell'ottica del passaggio dalla monarchia assoluta dell'Ancien Régime ad una monarchia costituzionale. Basato sul testo proposto dal marchese di La Fayette, il progetto della Dichiarazione venne discusso in Assemblea dal 20 al 26 agosto e, nella redazione definitiva, fu accettato dal re Luigi XVI il 5 ottobre per essere inserito come preambolo nella Carta costituzionale del 1791.

L'impatto di questa elencazione di principi fu innovatore e rivoluzionario allo stesso tempo. Sei mesi dopo la presa della Bastiglia e sole tre settimane dopo l'abolizione del feudalesimo, la Dichiarazione attuò uno sconvolgimento radicale della società come mai era avvenuto nei secoli precedenti.

La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino d'altro canto non fu un episodio casuale e costituì il punto d'arrivo in cui confluirono numerose dottrine filosofiche e sociali del XVIII secolo, quali il giusnaturalismo, l'illuminismo, la teoria della divisione dei poteri di Montesquieu e quella del contratto sociale di Rousseau. Altri fondamentali testi giuridici che condividono la stessa impostazione, quali il Bill of Rights della Virginia del 1786, la Costituzione degli Stati Uniti del 1787 ed il Bill of Rights americano del 1789 (in vigore dal 1791), attinsero a queste correnti di pensiero e furono a loro volta presi come modello dagli estensori della Dichiarazione.

Gran parte del contenuto della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino è confluito a sua volta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948.

La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino si compone di un preambolo e di 17 articoli, che contengono le norme fondamentali che regolano la vita dei cittadini tra di loro e con le istituzioni.

Innanzitutto viene dichiarato solennemente il principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani (art. 1); segue l'elencazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo cui deve essere improntata l'azione delle associazioni politiche (art. 2), che vengono individuati in:

· libertà,

· proprietà (diritto "inviolabile e sacro" secondo l'art. 17),

· sicurezza,

· resistenza all'oppressione.

Un altro pilastro dalla Dichiarazione è il principio di sovranità democratica (art. 3), che prevede che "il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione". Questa enunciazione non era all'epoca per nulla ovvia, in quanto i sovrani, secondo il legittimismo dell' Ancien Regime regnavano per diritto divino.

Gli articoli 4 e 5 si premurano invece di delineare i limiti dei diritti appena elencati, sancendo che l'esercizio di un [[diritto non può nuocere ad un diritto altrui e che la legge può limitare questi diritti solo nel caso in cui nuocciano alla società. Questa fiducia nella bontà della [[legge manifestata in modo corretta dalla volontà della maggioranza degli eletti nell'organo legislativo rappresentante la volontà generale dei cittadini, rispondeva principalmente all'esigenza rousseauiana di dare solide basi all'ordinamento per il suo buon funzionamento.

La parte centrale della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino affronta invece il settore cruciale dei rapporti tra cittadino e stato e recepisce numerosi principi fondamentali del moderno diritto penale. Premesso che la legge è uguale per tutti (art. 6), gli articoli 7 e 8 passano all'enunciazione del principio di legalità in materia penale, importantissima garanzia che ha per corollari l'irretroattività e la determinatezza della legge penale, sottraendo quest'ultima alle competenze del potere esecutivo (principio della riserva di legge e sostanziale riconoscimento del principio illuministico della separazione dei poteri) (art.16). Infine è stabilito l'altrettanto fondamentale principio della presunzione di innocenza dell'imputato (art. 9).

Gli articoli 10 e 11 si occupano delle libertà: in primo luogo quelle di opinione e di espressione, e poi l'altrettanto fondamentale libertà di culto (seppur con l'importante limitazione dell'ordine pubblico).

Tra le norme più egalitarie dal punto di vista sociale troviamo l'art. 13, che stabilisce che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (contrariamente alle norme dell'Ancien Régime, che esentavano il clero dal pagamento delle imposte), e l'art. 6, che scardinando l'antica suddivisione sociale nei tre Stati garantisce a tutti i cittadini il diritto di ricoprire cariche pubbliche. A questo proposito si può notare che l'ispirazione della Dichiarazione è fortemente individualistica, e che di conseguenza non vengono menzionati né la libertà di associazione e di riunione, né il diritto di sciopero.La Dichiarazione non contiene nemmeno un esplicito riconoscimento della parità fra uomo e donna, che a rigore sarebbe implicito nel principio di uguaglianza proclamato dall'articolo 1. Tuttavia all'epoca la parità dei sessi era un concetto sconosciuto e perciò la dizione dell'articolo 1 ("gli uomini") venne interpretata in senso sfavorevole alle donne (escludendole, ad esempio, dal diritto di voto).

La questione suscita un grande dibattito sul fatto di negare o meno la libertà agli schiavi haitiani, oltre tutto ad Haiti la percentuale di schiavi era altissima, una percentuale mai vista in un territorio in tutta la storia romana.

Dopo molti scontri, gli schiavi insorgono, reclamano quella libertà ed arrivano a sconfiggere l’esercito di Napoleone, e a seguito di questa vittoria Haiti si dichiara indipendente. L’indipendenza è detta LIBERTAS, intesa come libertà personale, individuale, popolo libero e sovrano, indipendente. Essendo dovuti arrivare allo scontro, ecco quindi che c’è una prima percezione dei LIMITI all’affermazione del cittadino libero, che estende il principio di libertà. Un’altra limitazione dervia dal rapporto con gli stranieri liberi. Sempre intorno al 1700/1800 si accende un altro grande dibattito politico in Francia, basato su sguardi a Roma e alla Chiesa, ai principi di diritto romano e ai principi canonistici. Essendo la Francia assediata, si era creato un grande intreccio di nazionalità, di stranieri con francesi, si erano create addirittura parentele, quindi c’era il pericolo che degli stranieri diventassero proprietari di grandi estensioni di territori francesi. Quindi per quanto riguarda il trattamento giuridico degli stranieri come detto si diede uno sguardo a Giustiniano, si considerarono le questioni razziali, e anche qui il colore della pelle incise molto, e si arrivò alla conclusione che sarebbero stati ammessi a godere dei diritti sul territorio francese solo quegli stranieri che appartenevano a stati che avevano sottoscritto dei trattati. Il paese di provenienza doveva aver sottoscritto un accordo con la Francia, e in virtù di questo lo straniero poteva essere titolare di diritti regolati dal codice francese. In aggiunta, come abbiamo detto all’inizio per i commercianti c’era un apposito codice, che derogava per alcuni aspetti al codice napoleone, in quanto questi necessariamente dovevano avere rapporti commerciali con degli stranieri.

Gli uomini quindi si ritrovarono divisi in:

* CITTADINI STRANIERI CON DIRITTI TUTELATI DAL CODICE
* CITTADINI SERVI NELLE COLONIE

Lo spirito universalistico non si diffuse però solo in Francia, fu una spinta di portata generale. Il codice francese rappresenta la sintesi dei diritti della persona e a questo si somma la Dichiarazione dei diritti dell’uomo che non aveva forza giuridica ma era un documento politico, programmatico. Non era azionabile per tutelare i diritti, non ci si poteva appellare, aveva solo forza politica, mentre la vera sede dei diritti era invece il codice.

E questo codice avrà un forza espansiva enorme, viene recepito in Spagna, in Italia, in Belgio, addirittura ad Haiti, che combattè per la sua indipendenza ma riconobbe poi la validità francese del codice e lo fece suo, in Lousiana, in Bolivia (nel 1831). In America latina lo leggeranno ma non lo recepiranno.

L’Italia farà un testo del suo codice in francese, in italiano e in latino, cosa che sta a indicare quanto lo ritenga vicino al modello francese.