sabato 12 luglio 2008

Bancario

Bancario Nov 8
La materia si compone di due parti:
- Una parte pubblicistica, che riguarda il c.d. ordinamento bancario
- Una parte privatistica (i contratti bancari)
Ci concentreremo essenzialmente sulla seconda, che ha maggiore rilevanza pratica. Le norme pubbliche che rilevano in ambito bancario sono norme che hanno rilevanza interna o limitata ai rapporti fra banche e autorità pubbliche. Sono norme di dettaglio che rinviano ai regolamenti della Banca d’Italia o alle delibere del CICR. Bancario è a cavallo tra privato e commerciale. I titoli di credito non li analizzeremo (saranno fatti con commerciale). Le fonti fondamentali per seguire il corso sono il codice civile e il decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario, T.U.B.).
Il diritto bancario è una materia abbastanza complessa: occorre una complessa opera di coordinamento fra norme legislative, regolamentari e disposizioni a carattere amministrativo. Le fonti normative vanno a loro volta coordinate con la giurisprudenza (le sentenze dei giudici) sia di merito (primo e secondo grado di giudizio) che di legittimità (cassazione); c’è poi la giurisprudenza della corte costituzionale. Il tutto è aggravato dalla presenza di novità normative registratesi negli ultimi tre anni. Dal 2005 (con la legge che ha riformato la tutela del risparmio, la 262) ci sono stati novità epocali. Ma questa legge non ha riordinato il sistema, bensì ha rinviato a altre norme ancora in via di introduzione. Nel caso dell’anatocismo bancario (la produzione di interessi su interessi) ci sono state per cinquanta anni pronunce uguali della cassazione; all’improvviso c’è stato un mutamento della giurisprudenza di legittimità che ha indotto l’intervento del legislatore. Con il “criterio di conversione dei valori monetari” i testi normativi che presentano valori in lire devono essere intesi come automaticamente convertiti in euro.
Il diritto bancario è il complesso delle norme che disciplinano da una parte la costituzione, l’organizzazione e il funzionamento delle imprese bancario, dall’altra i rapporti con la clientela (aspetti contrattuali o negoziali). Ecco perché quando si parla di diritto bancario è necessaria una bipartizione. Da una parte vi è l’ordinamento bancario (natura pubblicistica); dall’altra vi sono le norme che disciplinano gli aspetti negoziali (natura privatistica). L’ordinamento bancario è contenuto essenzialmente nel TUB. Le norme che riguardano la disciplina dei contratti sono contenute in parte nel codice civile (i contratti bancari) e in parte nello stesso TUB. Quando si parla di TUB non si deve intendere solo l’ordinamento bancario, ma anche alcuni contratti bancari. Le conseguenze che si sono avute nell’evoluzione della disciplina del diritto bancario hanno portato a un passaggio fondamentale, contrassegnato da una sorta di spartiacque costituito dal TUB. Da quella che era la normativa originaria contenuta nella c.d. legge bancaria (due leggi del 1936 e una del ’38) si è passati alla nuova normativa con l’approvazione del TUB, del 1993. Le norme degli anni ’30 erano norme di azione, dirette a disciplinare l’attività bancaria vista come un’attività di interesse pubblico: l’attività bancaria era definita una funzione pubblica. Da una visione pubblicistica in cui lo scopo del legislatore era la disciplina delle banche dal punto di vista del controllo e della vigilanza, si è passati a un’altra impostazione: da norme di azione si è passati a norme di relazione. Le norme di diritto bancario oggi disciplinano non solo il controllo e la vigilanza, ma anche i rapporti fra banche e clienti. C’è stata questa evoluzione concretizzata con il TUB, ma già c’è stato un passo avanti con la legge 154 del ’92 (trasparenza). È la prima legge con la quale si è cercato di tutelare concretamente non solo la banca ma anche il cliente. Si è cercato di inserire il c.d. principio della trasparenza. Queste norme sono state tutte trasfuse nel decreto del ’93, ma sono comunque importanti perché hanno costituito la prima rottura con il passato. Il primo elemento grazie al quale si può parlare di norme di relazione e non più di norme di azione.
Le fonti sono le stesse previste dalle preleggi. Quell’elenco va ovviamente integrato con la costituzione e con le norme di origine comunitaria:
- Costituzione e leggi costituzionali
- Norme comunitarie (trattati; direttive [ da recepire e self-executing, cioè immediatamente precettive] e regolamenti)
- Leggi statali e regionali
- Regolamenti
- Consuetudini o usi normativi (gli altri usi interpretativi e negoziali non sono fonti del diritto)
Rilevano due norme della costituzione in ambito bancario:
· L’art. 47: “La repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Ritiene che il risparmio sia un’attività meritevole di tutela perché corrisponde a interessi collettivi. La seconda parte del primo comma giustifica anche l’esercizio di poteri pubblici in ambito bancario (vigilanza, controlli). Secondo comma: “La costituzione favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione; favorisce l’accesso alla proprietà diretta coltivatrice; favorisce il diritto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”. Oggi tutto questo secondo articolo non è stato attuato.
· L’art. 117: “Lo stato esercita in via esclusiva la potestà legislativa in materia di moneta, tutela del risparmio e i mercati finanziari”. Questo primo settore di potestà legislativa appartiene in via esclusiva allo stato. Però, da 2001, limitatamente alle banche a carattere regionale si è riconosciuta una potestà legislativa concorrente alle regioni. Ecco perché anche in ambito bancario possiamo parlare di leggi regionali. Le regioni, affiancando le norme dello stato, possono disciplinare il settore bancario. “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario sempre a carattere regionale”. Le casse di risparmio e le casse rurali sono ormai sparite. Più che altro gli altri soggetti sono i destinatari della legislazione regionale concorrente. Il tutto deve svolgersi nei principi fondamentali fissati dallo stato. Questi principi sono stati introdotti finalmente (dopo sei anni) con il decreto legislativo 171 del 2006. Con questo provvedimento lo stato ha fissato i principi fondamentali in materia di banche regionali. Tutti questi enti sono stati definiti banche a carattere regionale. Oggi la potestà legislativa concorrente delle regioni può rivolgersi solo nei confronti delle banche a carattere regionale. Quando si è introdotta questa norma, sono stati specificati i principi fondamentali non solo a livello definitorio, ma anche a livello operativo. In estrema sintesi si è stabilito che possono essere considerate banche regionali le banche che esercitano la loro attività esclusivamente in ambito regionale. Questa regola generale può essere eccezionalmente derogata nel caso in cui queste banche svolgano parzialmente al di fuori del territorio regionale. La banca che svolge prevalentemente la propria attività nella regione è una banca regionale. In quanto tale può essere disciplinata dalle leggi regionali. Questa è un’attuazione del federalismo. Fissato il quadro, la regione decide le norme di dettaglio. Dopo questa innovazione esiste anche un albo delle banche regionali. L’autorizzazione, che per le banche viene normalmente data dalla Banca d’Italia, per le banche regionali è la regione che autorizza le banche ad operare (la regione dovrà necessariamente tenersi al parere vincolante della Banca d’Italia).
Per quanto riguarda il diritto bancario lo stesso TUB rinvia alle norme dell’Unione Europea. Si è consapevoli che ormai anche l’attività bancaria va inquadrata in un’ottica comunitaria. Anche in ambito bancario vale la c.d. efficacia sopraordinata del diritto comunitario. Le norme comunitarie prevalgono non solo su quelle nazionali ma, a certe condizioni, anche sulle norme di rango costituzione. L’art. 11 prevede che l’Italia, a condizione di parità con altri stati, può accettare limitazioni della propria sovranità al fine di ottenere la partecipazione a organismi internazionali. Queste limitazioni si manifestano con la sopraordinazione del diritto comunitario su quello nazionale. Ovviamente ci sono dei limiti: il diritto comunitario non potrà mai derogare ai principi fondamentali della costituzione, o ai diritti inalienabili della persona. Quando si parla di questa sopraordinazione si fa riferimento o al Trattato Istitutivo della Comunità Europea del 1957, o ai regolamenti o alle direttive self-executing, cioè che si eseguono da sole, quelle immediatamente precettive. Per le altre direttive, se non solo immediatamente precettive, è necessario che l’ordinamento italiano, con una legge d’attuazione, le introduca, altrimenti rimangono alla porta. Tutte queste sono immediatamente vincolanti. Esse hanno influenzato di molto lo sviluppo del diritto bancario. La modifica più importante del trattato del ’57 in campo bancario è stata quella del ’92 (Trattato di Maastricht); con esso si è introdotta un’unica politica monetaria. È stata instituita la BCE e il sistema europeo delle banche centrali. Si è avuta, anche dal punto di vista monetario, una riduzione della sovranità nazionale. Per quanto riguarda il diritto comunitario, occorre conoscere la c.d. prima e seconda direttiva della comunità europea in campo bancario. Sono i due cardini attorno ai quali è ruotata l’evoluzione del diritto bancario anche nazionale. Sono le due fonti principali europee che hanno determinato notevoli innovazioni anche a livello nazionale:
1. La prima direttiva (1985) ha introdotto una serie di principi e regole nell’ambito bancario nazionale. Ha definito la banca come impresa. C’è stato un avvicinamento all’impostazione privatistica del settore bancario. La direttiva è entrata in vigore nel 1985; non c’era ancora il TUB e quindi c’era ancora la legge bancaria che definiva l’attività bancaria come una funzione pubblica. In un contesto nazionale in cui l’attività bancaria era ancora definita funzione pubblica si viene a dire chiaro e tondo che la banca è un’impresa, e l’impresa è un soggetto privato. Poi sono stabiliti dei requisiti minimi per l’autorizzazione (esistenza di un patrimonio minimo distinto da quello raccolto). Inoltre per la prima volta è stato stabilito in maniera chiara che in presenza dei requisiti fissati dalla legge l’autorizzazione (atto col quale la banca può esercitare la sua attività) non è più un atto discrezionale ma un atto dovuto. Anche questa è una novità: si sottrae potere alla banca centrale e quindi agli organismi pubblici.
2. La seconda direttiva (1992) nel settore bancario è stata ancora più incidente. Ha introdotto dei principi molto importanti. Tra questi sicuramente il c.d. “home country control”: per tutte le imprese comunitarie l’attività di controllo e di vigilanza deve essere svolta dall’autorità competente del paese d’origine, per l’Italia la Banca d’Italia. Queste imprese possono comunque operare in altri paesi. Le banche tedesche in Italia sono controllate dalla Deutsche Bank. Altro principio è il mutuo riconoscimento, cioè il reciproco riconoscimento. Si è introdotta una sorta di autorizzazione comunitaria: per le banche comunitarie, una volta rilasciata l’autorizzazione dall’autorità competente nel paese d’origine, quest’autorizzazione vale anche negli altri stati in cui le banche possono espletare le loro attività. La Banca popolare italiana autorizzata dalla Banca d’Italia che opera in Francia non ha bisogno dell’autorizzazione della banca centrale francese. C’è poi la libertà di stabilimento: ogni banca comunitaria ha il diritto di stabilirsi con delle succursali (gli uffici periferici) negli altri stati comunitari. Questa libertà di stabilimento si accompagna alla libertà di prestazione dei servizi: per svolgere le attività in uno stato comunitario diverso da quello d’origine ciascuna banca comunitaria non è obbligata ad aprire una succursale (per operare online non è necessario una succursale). Queste due libertà sono subordinate alla preventiva autorizzazione da parte della competente autorità del paese d’origine. La banca italiana può aprire succursale od operare in Francia a patto che ha l’autorizzazione della Banca d’Italia.
Le leggi ordinarie. È necessario dividere l’analisi in due fasi. La prima fase si è svolta fino all’introduzione di queste due direttive. Le fonti principali erano le tre indicate. Con l’entrata in vigore di queste due direttive, c’è stata una vera e propria rivoluzione che ha portato all’emanazione di norme nazionali che hanno determinato un adeguamento della nostra normativa superata alle nuove esigenze che si erano manifestate in ambito comunitario. Fino a queste due direttive, i cardini attorno ai quali ruotava l’esercizio dell’attività bancaria erano la legge bancaria (’36-’38). L’attività bancaria era vista in funzione pubblica. C’era la necessità di due autorizzazioni: le banche dovevano avere il nulla osta sia nella fase statica (di costituzione) che nella fase dinamica (nuova autorizzazione per operare sul mercato). Si andava a sindacare se le condizioni economiche di mercato giustificavano l’apertura della banca e si poteva anche interrompere l’apertura della banca. L’autorizzazione ancora non era un atto dovuto. La Banca d’Italia aveva poteri di controllo e vigilanza più che giustificati perché l’attività bancaria veniva vista nella sua funzione sociale. Il c.c. del 1942 ha introdotto delle novità: per la prima volta sono stati disciplinati i contratti bancari. Era una disciplina caratterizzata da notevole penetrazione dei poteri pubblici e da una notevole frammentazione. Il tutto è cambiato con l’introduzione delle direttive europee. La prima novità che cambia il quadro è la c.d. Legge Amato del 1990 (ristrutturazione degli enti creditizi di diritto pubblico). Prima di questa legge c’erano numerose banche pubbliche. Ci si è resi conto che per garantire l’efficienza del sistema bancario era necessario che questi enti diventassero privati. Con questa ristrutturazione le partecipazioni sono stati affidate ai privati. Successivamente col decreto del 1992 c’è stata la ricezione della “seconda direttiva”. Viene poi stilato il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB). Il TUB ha determinato un riordino integrale della materia (tranne le materie già riformate). È stato introdotto il concetto di banca universale. In quegli anni c’è stata una maggiore compenetrazione tra settore bancario e finanziario. La banca universale è un’impresa bancaria che svolge non solo attività bancarie tipiche (intermediazione nella circolazione della moneta) ma anche tutte le altre attività finanziarie non riservate ad altri soggetti. La banca universale è il soggetto che può operare a 360 gradi (sia come impresa bancaria che come soggetto finanziario). Nello stesso TUB (artt. 106 107) sono state disciplinate le figure degli intermediari finanziari. Ci son due elenchi: uno generale, tenuto dall’UIC (Ufficio Italiano Cambi), e uno speciale, con attività più rischiosa, tenuto dalla Banca d’Italia. La disciplina in campo finanziario più corposa è comunque quella del TUF. Con decreto EUROSIM si è estesa la possibilità di effettuare intermediazione mobiliare anche alle banche. Fino al ’96 l’attività d’intermediazione dei valori mobiliari era riservata alle SIM (Società d’Intermediazione Mobiliare). Dal ’96 è stata estesa anche alle banche. La maggiore rilevanza dell’attività finanziaria ha reso necessario un testo unico finanziario che si è avuto nel ’98 (ha disciplinato i mercati finanziari e gli intermediari abilitati). La corporate governance è il governo societario delle società quotate in borsa. Per vedere come è in evoluzione la materia, con il provvedimento del 2004 si sono coordinati il TUB e il TUF con la nuova normativa in materia societaria. La 262 è la nuova normativa in materia di risparmio, che ha inciso profondamente sulla struttura e sul funzionamento anche della Banca d’Italia.
Bancario Nov 15
Stiamo ancora affrontando le fonti. Siamo arrivati alle leggi regionali. Anche le regioni sono dotate di potestà legislativa concorrente in materia bancaria (art. 117.3). La legislazione regionale interviene sia per le ragioni a statuto ordinario che per quelle a statuto speciale. Però c’è una diversità di fonte: mentre le regioni a statuto speciale la potestà è riconosciuta da molto tempo perché è prevista nei singoli statuti speciali. In quegli statuti le regioni speciali hanno la loro fonte per poter disciplinare il settore bancario. Per tutte le altre quindici regioni è una novità recente. Con la riforma dell’art. 117 e con l’introduzione di un blando federalismo è stata prevista anche per le regioni ordinarie la possibilità di legiferare in materia bancaria. Trattandosi di legislazione concorrente, questo potere si esercita rispettando i principi dello stato. questo quadro è stato introdotto proprio con il d.lgs. 171/2006 che ha disciplinato le caratteristiche degli enti rispetto ai quali le regioni possono legiferare. Le regioni possono emettere leggi solo per le banche a carattere regionale. Queste sono le banche che svolgono prevalentemente il proprio lavoro in una regione. Ci sono dei limiti validi per tutte le regioni, limiti fissati dalla Banca d’Italia. Ci sono dei pareri che la banca d’Italia, con efficacia vincolante verso le regioni, emette nel caso in cui le regioni decidano si esercitare il potere di cui stiamo parlando. Se la regione X vuole autorizzare la banca regionale Y, è necessario che la regione si attenga al parere della Banca d’Italia.
Quando parliamo di regolamenti ci riferiamo a fonti erga omnes. I regolamenti, in ambito bancario, sono fondamentali. Con l’introduzione del TUB c’è stata la c.d. delegificazione del diritto bancario. Il TUB ha introdotto una serie di principi nell’ambito dei quali le norme di dettaglio sono quelle introdotte con regolamento dalle autorità creditizie. I regolamenti sono importanti perché con la delegificazione attuata dal TUB (d.lgs. 385/’93) non è stata introdotta una disciplina dettagliata della materia, ma generale. In questo quadro generale, le norme di dettaglio sono stabilite in via regolamentare.
Le autorità creditizie sono:
- Ministro dell’economia e finanze
- Il comitato interministeriale per il credito e risparmio (CICR)
- Banca d’Italia
Queste tre autorità sono depositarie di un potere regolamentario, cioè normativo. Se viene emesso un regolamento, quello potrà abrogare norme di legge anteriori (se c’è delegificazione).
L’ultima fonte, gli usi e consuetudini (diritto non scritto). Ci riferiamo alle fonti del diritto, non ad altri usi che non hanno efficacia normativa. L’art. 8 delle preleggi ne parla. Gli usi come fonte normativa sono tali quando hanno l’elemento materiale (o oggettivo) e spirituale (o soggettivo). L’elemento oggettivo è il c.d. usus, cioè la costante e uniforme ripetizione di un comportamento o da parte di tutti i consociati o da parte di una categoria ben precisa. L’elemento soggettivo è la opinio iuris ac necessitatis. Se ci sono entrambe gli elementi allora l’uso è normativo. Vanno distinti gli usi secundum legem (cioè richiamati dalla legge) da quelli praeter legem (gli usi validi perché non c’è una legge che disciplina la fattispecie). Per esempio in materia di sepolcreto privato rilevano gli usi; non ci sono leggi. Per quanto riguarda il nostro ambito, affinché si possa parlare di usi normativi, essi vanno distinti sia dagli usi negoziali che dagli usi interpretativi. Gli usi negoziali sono semplici clausole, cioè pratiche commerciali, che, ai sensi del 1340, rilevano solo se le parti hanno deciso di non escludere espressamente dal contratto quegli usi. Vi è un implicito inserimento nel contratto. Non sono usi normativi gli usi interpretativi: le pratiche interpretative. Gli usi normativi che rilevano per il nostro ambito sono solo quelli erga omnes. Gli usi rilevano o in caso di riferimento agli usi in contratto, o in una serie di ipotesi in cui no sono richiamati ma sono ritenuti implicitamente vincolanti. Il segreto bancario è l’obbligo di segretezza su tutto ciò che avviene nell’esercizio dell’attività. Si pensa che il segreto sia previsto da norma di legge: non è così. Nel campo del segreto bancario si ritiene che questo vincolo sia operante, seppure in assenza di norma di legge, perché è contemplato come uso normativo. Le banche sono obbligate al segreto bancario perché in materia bancaria rileva l’uso normativo della segretezza. I fautori di questa tesi specificano che nel caso di violazione del segreto bancario, il cliente vittima può chiedere il risarcimento. Si parla di segreto bancario solo per la Banca d’Italia. Per gli altri operatori non ci sono norme esplicite. La violazione del segreto bancario potrebbe anche violare la privacy. Proprio per favorire la trasparenza dei rapporti bancari, agli usi non si può far nessuno rinvio per stabilire le condizioni dei contratti bancari.
Fonti contrattuali
In ambito bancario, seppur privi di efficacia erga omnes, rilevano anche delle fonti di tipo contrattuale. Sono le NBU (norme bancarie uniformi). Sono delle condizioni generali di contratto predisposti a priori per i contratti in serie da parte delle banche. Sono uniformemente predisposte non dalla singola banca ma dall’associazione bancaria italiana (ABI). L’ABI, proprio per fare in modo che tutti i contratti delle proprie associate vengano disciplinati in maniera uniforme, predispone le NBU. Le NBU non sono degli usi normativi. C’è stata, a tal riguardo, un’evoluzione che ha caratterizzato sia la dottrina che la giurisprudenza. Fino a pochi anni fa si credeva che le NBU (o anche NUB) fossero la formalizzazione o trascrizione di veri e propri usi normativi. Si credeva che le banche avessero inserito questi usi. In realtà non è così: queste norme non contengono degli usi normativi. Sono delle semplici condizioni di contratto. Le NBU non contemplano usi normativi. Questo significa che in certi limiti ci può essere una libertà di negoziazione. Se invece ci fossero usi normativi, non si potrebbero modificare. C’è stata questa evoluzione, che comunque non va estremizzata. Addirittura si è detto che tutte le regole contemplate dalle NBU, in quanto tali, non possano corrispondere a usi normativi. A volte le NBU possono formalizzare gli usi normativi. Il diritto non scritto può a volte essere formalizzato per iscritto. Se è una condizione generale di contratto di può negoziare; se è un uso normativo, quella norma, anche se non inserita, si applica. Le raccolte di usi hanno valore sono probatorio. Si pone un problema di compatibilità tra le NBU e la normativa antitrust (normativa che tutela la concorrenza del mercato). Questa normativa vuole evitare le intese fra singole imprese o associazioni di imprese dirette a impedire, restringere o falsare la concorrenza. Siccome le NUB sono create dall’ABI, potrebbero falsare la concorrenza. Per impedire questo rischio, e per evitare che le NUB fossero imputate di violare la normativa antitrust è stato emanato un apposito provvedimento da parte della Banca d’Italia, con cui si è stabilito che per evitare i rischi è necessario che le NUB siano norme non vincolanti e non abbiano un contenuto economico. Se a priori si stabilisce il valore della prestazione si falsa il gioco della concorrenza. Ogni banca deve essere libera di decidere il prezzo dei servizi. Quando si viola la normativa antitrust si può anche eccepire la nullità del negozio. A quelle due condizioni le NUB sono lecite. Sulla scia di questo provvedimento è stata emanata una circolare dell’ABI: si è deciso che determinati NUB possono costituire uno schema contrattuale di riferimento per i contratti più diffusi.
Anche gli statuti delle banche sono una fonte contrattuale del diritto bancario. Gli statuti non sono fonti normativi; sono atti con cui si disciplina l’attività interna delle imprese. Qualcuno aveva eccepito che gli statuti avessero una rilevanza normativa perché nel caso di modifica dello statuto l’art. 56 del TUB prevede che la Banca d’Italia possa verificare che questa modifica non incida sulla sana e prudente gestione. Ciononostante, lo statuto ha natura privatistica ed ha quindi solo forza di legge tra le parti (i soci della banca). Ci sono casi in cui una o più norme dello statuto vengono inserite anche nei contratti che la banca fa con i propri clienti. In questi casi si può dire che la norma X obbliga anche i clienti della banca, ma non perché è fonte normativa; semplicemente perché è inserita in un altro contratto.
Le autorità creditizie. Esse sono quelle autorità, espressamente contemplate dal TUB, alle quali sono attribuiti importanti poteri di tipo regolamentare. Emanano le c.d. norme di dettaglio che disciplinano l’attività bancaria. Queste autorità sono tre:
- Ministro dell’economia e delle finanze
- Comitato interministeriale per il credito e risparmio (CICR)
- Banca d’Italia
Recentemente è stata proposta una norma di legge che tende ad abolire il CICR e a far sì che, in ambito bancario e finanziario, le uniche autorità rimangano la Banca d’Italia e la Consob. L’attività bancaria, definita ormai materia privatistica, è comunque sotto controllo pubblico. Questo può sembrare contraddittorio, ma così non è: ferma restando la natura privatistica dell’attività bancaria (attività di impresa), persistono degli interessi collettivi (tutela del risparmio, tutela del credito), interessi rispetto ai quali è giustificato un controllo dell’autorità pubblica. Il controllo è esercitato da queste autorità. Per quanto riguarda i destinatari ci sono state delle novità: rispetto alla legge bancaria del ’36-’38 (che riguardava soltanto le banche), oggigiorno i destinatari sono di più (l’attività di vigilanza riguarda difatti anche i gruppi bancari e gli intermediari che operano nel settore bancario e finanziario). Le finalità sono quelle contemplate dall’art. 5 che si ricollegano agli interessi collettivi: i controlli sono diretti ai singoli soggetti che operano e al settore bancario in senso lato in cui svolgono l’attività. Art. 5: “Finalità e destinatari della vigilanza. Le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilanti, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia”. Nell’ambito dei poteri attribuiti dal TUB, si ha riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilanti e alla stabilità complessiva del sistema. Bisogna guardare ai singoli soggetti e al quadro generale in cui si muovono. Per “sana e prudente” gestione si intende una gestione improntata a criteri di ragionevolezza e alla non assunzione di rischi non giustificati. Si ha una duplice prospettiva, particolare e generale. Per quanto riguarda il rapporto tra questi soggetti (Bankitalia, CICR, ministro), qualcuno potrebbe ipotizzare un rapporto gerarchico, ma non è così. Sono soggetti autonomi e indipendenti; al limite si può individuare un duplice vertice, uno di tipo politico (il ministro), e l’altro di tipo tecnico (Banca d’Italia). Sono semplici valutazioni che non implicano l’esistenza di un rapporto gerarchico.
Il CICR è un organo di natura collegiale (è un comitato), interministeriale per il credito e risparmio. Ne fa parte il presidente che è il ministro dell’economia e finanze; poi ci sono altri cinque membri (i principali ministri che operano in ambito economico, cioè il ministro per lo sviluppo economico, per il commercio estero, delle infrastrutture, delle politiche agricole, delle politiche europee). Questi sono i membri che partecipano e votano. Però alle sedute del CICR partecipa, senza diritto di voto, anche il Governatore della Banca d’Italia. Il CICR ha un potere in materia di alta vigilanza: siccome non dispone di una struttura propria, si limita a individuare quelli che sono i principi fondamentali nel cui ambito la vigilanza vera propria sarà effettuata dalla Banca d’Italia. Il CICR individua questi principi generali con le proprie delibere e la Banca d’Itala procederà. Va precisato che nel campo della vigilanza la Banca d’Italia non è una mera esecutrice delle decisioni del CICR. Ha un certo margine di discrezionalità. I criteri per il funzionamento sono difatti stabiliti dalla stessa Banca d’Italia. Come deroga a questo principio generale, c’è un caso in cui si può parlare di un vero e proprio potere di direttiva: è il potere che in campo valutario ha il CICR. Solo in materia monetaria può emanare direttive effettivamente vincolanti (sia per la Banca d’Italia che per l’Ufficio Italiano Cambi). Oltre a questa funzione il CICR svolge anche funzioni consultive (consulenza per il ministro dell’economia). È un organo competente in materia di reclami contro i provvedimenti della Banca d’Italia. Tutti i provvedimenti della Banca d’Italia sono impugnabili entro 30 giorni davanti al CICR da parte di chiunque abbia interesse. La legittimazione è rivolta a chiunque possa vantare la violazione di un diritto soggettivo o interesse legittimo. Le eccezioni sollevate possono essere di legittimità o di merito. Chi decide è il CICR. Per quanto riguarda la disciplina delle riunioni, ci sono i sei membri già detti, ma ci possono essere anche delle partecipazioni straordinarie (altri ministri, presidenti di altre autorità vigilanti). In questi casi a decidere sono comunque i sei membri. È stabilito anche un quorum costitutivo. Una volta validamente costituita, c’è un quorum deliberativo. Per quanto riguarda il funzionamento del CICR, è lo stesso CICR che si auto-organizza.
Ministro dell’economia e delle finanze. In alcune norme viene ancora definito come ministro del tesoro. Questo ministro presiede il CICR e svolge funzioni di varia natura:
· funzioni che svolge in materia autonoma
· funzioni che svolge in qualità di presidente del CICR
Le funzioni autonome hanno carattere regolamentare di vigilanza, cioè sono dirette a regolamentare il settore bancario a fini di vigilanza, di controllo. È necessario un rapporto con la Banca d’Italia: in campo bancario, il ministro dell’economia deve necessariamente o consultare il governatore della Banca d’Italia oppure agire su proposta del governatore (es: gli esponenti aziendali sono coloro che svolgono attività di amministrazione e direzione. Gli esponenti, per essere tali, necessitano dei requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza. A stabilire questi requisiti è il ministro). Eccezionalmente il ministro può emettere anche provvedimenti d’urgenza. Anche in casi non contemplati emettere un provvedimento ad hoc, ed entro trenta giorni deve convocare il CICR per informarlo di quello che ha fatto.
Come presidente del CICR convoca il CICR, determina la sua composizione, stabilisce l’ordine del giorno. per quanto riguarda l’ordine del giorno deve inserire solo le materie indicate dal governatore della Banca d’Italia, ma non è tenuto a inserirle per intero (se il governatore dice che si deve parlare di X e Y, non può dire che si parla di Z, ma può dire che si parla solo di X). Per quanto riguarda le delibere, due sono le modalità: o viene pubblicato il verbale del CICR (su Gazzetta Ufficiale o su Bollettino della Banca d’Italia), o il verbale viene trasfusa in un decreto ministeriale (dell’economia) e il decreto viene pubblicato in Gazzetta.
La Banca d’Italia è la banca centrale italiana. E’ una sorta di perno attorno al quale ruota tutto il sistema bancario nazionale. L’attività della Banca d’Italia va collocata in un quadro più ampio, quello della BCE dell’Unione Europea. La Banca d’Italia è nata nel 1893 come s.p.a. però nel ’36 è diventato un istituto di diritto pubblico (con la legge bancaria del ’36). Con la legge 262/2005 sono state ridotte le competenze del ministro e parte di quelle competenze sono state attribuite al governatore della Banca d’Italia. Malgrado la natura di istituto di diritto pubblico, ci sono ancora delle quote detenute da banche private. Con la riforma del risparmio (legge 262/2005) si è stabilito l’obbligo di dismettere queste partecipazioni che fanno ancora capo a privati (a banche private) entro il la fine del 2008, inizi del 2009. Le funzioni principali della Banca d’Italia sono l’emissione della moneta (emissione da compiersi ormai entro i limiti fissati dalla BCE); svolge vigilanza in materia bancaria (i destinatari sono banche, gruppi bancari e intermediari finanziari); sorveglia i sistemi di pagamento (bonifico etc.); svolge una supervisione dei mercati (competenza non esclusiva, ma concorrente con la CONSOB); compiti di analisi, ricerche e studi; alta consulenza (gli organi costituzionali, per materia economica, possono chiedere consulenza alla Banca d’Italia); svolge un ruolo in ambito comunitario; segue le linee generali fissate dal CICR.
Il governatore della Banca d’Italia, dopo la riforma del 2005, non ha più competenza esclusiva per gli atti a rilevanza esterna ma la competenza spetta a un organo collegiale, il direttorio (5 membri), in cui ci sono il governatore, il direttore generale e i tre vicedirettori generali. Il governatore non è più nominato a vita ma dura in carica massimo sei anni, eventualmente rinnovabili una sola volta. Come lui tutti gli altri membri del direttorio. Il direttore generale e i tre vicedirettori non sono nominati dal presidente del Consiglio dei Ministri, ma dal Consiglio Superiore della Banca d’Italia. Il consiglio superiore è l’organo che si occupa dell’organizzazione e della vigilanza interna, ed è composto dal governatore e da 13 membri, che vengono nominati dalle singole assemblee che si riuniscono a livello locale.
Bancario Nov 22
Finiamo di spiegare la Banca d’Italia. Per quanto riguarda la Banca d’Italia (banca centrale italiana) c’è stata una riforma che ha avuto notevole impatto (legge “sul risparmio” 262/2005). Si è rivista l’organizzazione interna; si sono ridimensionati il ruolo e i poteri del governatore; si è attribuita in materia di concorrenza una competenza a un altro organismo, l’autorità per la concorrenza e per il mercato (Antitrust). In campo bancario, fino a questa riforma, la competenza era della Banca d’Italia. Per quanto riguarda il governatore, la nomina non è vitalizia, ma dura sei anni, rinnovabili una sola volta. Per quanto riguarda gli atti a rilevanza esterna, il governatore non può operare da solo. È stato istituito un direttorio, composto dal governatore, dal direttore generale e da tre vicedirettori generali. Si costituisce validamente quando sono presenti almeno tre membri e delibera con un quorum che la legge fissa con riferimento al principio di maggioranza. Nel caso in cui ci sia parità di voti, prevale la decisione a favore della quale ha votato il governatore. Il governatore è nominato con decreto del presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri che agisce dopo una delibera del Consiglio dei ministri. Il CdM agisce autonomamente dopo aver ascoltato, senza vincolo, il parere del Consiglio Superiore della Banca d’Italia. Per quanto riguarda gli altri membri del direttorio, essi sono eletti dal consiglio superiore della Banca d’Italia. Il consiglio della Banca d’Italia è composto dal governatore e da 13 consiglieri che vengono eletti nelle varie assemblee che compongono la Banca d’Italia. È un organo di formazione interna che a sua volta designa i componenti del direttorio, diversi dal governatore. Per assicurare una buona vigilanza è necessario che le banche preventivamente conoscano i principi e criteri alla luce dei quali l’attività di vigilanza verrà svolta. La Banca d’Italia definisce i criteri seguiti nei casi in cui ci sia un’ispezione. In un’ottica di trasparenza la Banca d’Italia rende pubblici i criteri. Per quanto riguarda i provvedimenti, la Banca d’Italia ne emana di diversi:
· I regolamenti. Sono provvedimenti dotati di generalità e astrattezza. Sono vere e proprie norme.
· Le istruzioni hanno carattere generale ma non hanno natura normativa. Hanno un carattere generale ma più limitato; non sono validi erga omnes. Le istruzioni hanno valore solo verso i soggetti destinatari della vigilanza (banche e altri intermediari). Sono provvedimenti meramente amministrativi. Questa differenza è importante. Se viene violato il regolamento e si aderisce alla tesi secondo la quale il regolamento ha natura normativa, l’atto messo in atto sarà invalido. Se viene violata l’istruzione, la conseguenza non è l’invalidità dell’atto ma l’applicazione di sanzioni.
· Provvedimenti particolari ad hoc emanabili verso un singolo ente.
Il CICR è competente in materia di reclami nei confronti dei provvedimenti della Banca d’Italia. Ciò non significa che tra i due enti ci sia un rapporto gerarchico. I provvedimenti possono essere impugnati entro 30 giorni dalla pubblicazione dinnanzi al CICR il quale deciderà autonomamente. Il CICR potrà o rigettare il ricorso o, se lo accoglie, potrà limitarsi solo annullare il provvedimento della Banca d’Italia. La palla tornerà poi alla Banca d’Italia che penserà a riformulare la decisione (ricorso gerarchico improprio). Chiunque, portatore di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo presunto leso dalla Banca d’Italia, può proporre il ricorso. Le motivazioni possono essere le più varie, perché le questioni possono essere sollevate sia per legittimità che per merito.
I casi in cui si può parlare di uso normativo sono l’anatocismo (fino al cambiamento della giurisprudenza) e soprattutto anche il segreto bancario. Il segreto bancario vincola a mantenere il segreto sulle attività di cui si viene a conoscenza nell’esercizio dell’attività bancaria. Questo segreto, che si ritiene implicito per tutte le banche, è stabilito in maniera esplicita nell’art. 7 del TUB per la Banca d’Italia. Tutto ciò che la Banca d’Italia assume non può essere trasferito ad altre banche. Ci sono però delle eccezioni: 1) la Banca d’Italia deve collaborare con le altre autorità che svolgono attività di vigilanza nel campo creditizio e finanziario generale. Se l’ISVAP, la CONSOB, il COVIP, l’UIC chiedono informazioni, la Banca d’Italia non può appellarsi al segreto d’ufficio. L’art. 7 cita queste autorità alle quali va aggiunta l’autorità antitrust. 2) l’altra eccezione al segreto d’ufficio sono le fattispecie penalmente rilevanti rispetto alle quali si possono applicare sanzioni. Se l’autorità giudiziaria, in un procedimento penale, chiede queste notizie, la Banca d’Italia non si può tirare indietro. Aldilà di ciò, c’è una particolarità in materia della trasmissione della notitia criminis, cioè della conoscenza di un crimine. Se i pubblici ufficiali vengono a conoscenza di una fattispecie penalmente rilevanti, hanno l’obbligo di trasmettere queste notizie all’autorità giudiziaria. Questa regola dovrebbe applicarsi anche ai funzionari della Banca d’Italia, che sono pubblici ufficiali. Eppure vi è una deroga. La notitia criminis non viene inviata direttamente all’autorità giudiziaria, ma viene invece inviata al governatore, che diventa una sorta di filtro. Una fuga di notizie potrebbe turbare il mercato finanziario del risparmio e del credito. Per evitare problemi e ripercussioni anche notevoli, si vuole che sia il governatore a valutare se come e quando trasmettere la notizia all’autorità giudiziaria. C’è una sorta di filtro. Succede che a volte la notizia potrebbe rimanere sulla scrivania vita natural durante.
Le altre autorità di vigilanza sono quelle elencate nell’art. 7 del TUB, più l’autorità garante della concorrenza e del mercato (antitrust). La CONSOB è la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa. L’UIC è l’Ufficio Italiano Cambi. L’ISVAP è l’Istituto per la Vigilanza delle Assicurazioni Private. Il COVIP è la Commissione Vigilanza dei Fondi Pensione. A grandi linee possiamo vedere i due organi principali:
- La CONSOB. È stata istituita nel 1974. I destinatari sono le società e gli enti quotati o in borsa o nel “mercato Expandi”. Il Mercato Expandi è quel mercato destinato alla quotazione di azioni ed obbligazioni che non possono essere quotati nella borsa maggiore. È stato creato per favorire l’accesso al mondo finanziario da parte delle imprese a capitalizzazione non elevata. Dal punto di vista della competenza, va individuata l’opera svolta dalla CONSOB. In campo finanziario anche la Banca d’Italia opera: si occupa del contenimento dei rischi e della stabilità patrimoniale. La CONSOB invece verifica che siano rispettate le regole di correttezza e trasparenza degli operatori.
- L’UIC. È nato come organo destinato a svolgere attività nel campo valutario. Si tratta di attività notevolmente ridimensionate con l’Euro e poi anche a livello valutario c’è stata una notevole liberalizzazione. Il limite massimo di somme portabili al seguito è di 12'500 euro. Per somme maggiori c’è l’obbligo di canalizzare il passaggio attraverso il sistema bancario. Anche per l’import ed export di moneta c’è un limite oltre il quale scatta l’obbligo di fare la comunicazione (sempre 12'500 euro). Le attività originarie dell’UIC sono state ridimensionate. Ormai l’UIC è un ente strumentale della Banca d’Italia. Un ruolo importante è svolto dal Governatore della Banca d’Italia, che è anche Presidente dell’UIC. Le attività più importanti sono l’individuazione del tasso effettivo globale medio: il tasso utile per stabilire il tasso soglia oltre il quale si commettono operazioni usuraie. Altro compito è il monitoraggio e analisi antiriciclaggio delle operazioni superiori a 12'500 euro. Nel caso in cui ci sono operazioni sospette comunica a chi di competenza. Compie attività di statistica. Gestisce la tesoreria delle valute estere.
Per quanto riguarda SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) e BCE (Banca Centrale Europea). Con l’introduzione del Trattato di Maastricht c’è stata l’unificazione della politica monetaria degli stati comunitari. Lo scopo principale è introdurre una politica monetaria comune volta a favorire il contenimento dell’inflazione. Lo scopo è mantenere la stabilità dell’inflazione. Il SEBC è un organismo formato da organi nazionali e comunitari che ha come scopo principale la stabilità dei prezzi. La BCE è l’organo operativo del sistema europeo delle banche centrali. Ne fanno parte i governatori delle banche centrali dei paesi membri dell’Unione Europea. Le decisioni prese dalla Banca Centrale hanno ripercussioni per gli stati che adottano l’Euro. I compiti principali della BCE sono:
a) Controllo della liquidità. L’emissione delle banconote e delle monete avviene da parte delle banche centrali, però è la BCE che stabilisce il limite massimo. In questa maniera si controlla la stabilità dei prezzi.
b) Fissazione del TUR. Il TUR (Tasso Ufficiale di Riferimento) è un indice di remunerazione che rileva in certe ipotesi economiche. In caso di tariffe per gli architetti si fa riferimento a questo tasso, fissato dalla BCE.
c) Vigilanza sugli enti creditizi (in futuro). Attualmente non è ancora così. In futuro si sta tentando di sottrarre alle banche centrali il potere di vigilare sulle banche nazionali. Si vuole accentrare tutto a livello comunitario.
d) Potere regolamentare. La BCE può emanare regolamenti vincolanti per tutte le autorità vincolanti i livello comunitario. Sia il SIBC che la BCE sono indipendenti dagli organi comunitari. Non si possono emanare direttive vincolanti verso di loro. Unica eccezione sono le decisioni della Corte di Giustizia Europea. Questo è un elemento preoccupante: sembra crearsi un’Europa delle banche. Invece l’Europa è dei popoli.

Nozione di attività bancaria. Questa nozione è importante perché grazie all’individuazione di questa nozione possiamo capire meglio ciò che compie la banca. La banca è l’ente che esercita attività bancaria. L’attività bancaria è l’attività di intermediazione nella circolazione della moneta. Essere intermediari nella circolazione della moneta significa compiere due attività:
1) Raccolta del risparmio tra il pubblico
2) Erogazione del credito
L’attività bancaria si configura come attività che presuppone queste due fasi. La moneta circola in questo modo. Viene raccolta e poi viene erogata come credito. È importante distinguere queste due fasi, perché quando si parla di raccolta di risparmio e erogazione del credito si fa riferimento a una serie di operazioni che vengono definite come attive (erogazione del credito) e passive (raccolta del risparmio). La raccolta del risparmio è operazione passiva perché per la banca la raccolta di denaro fa sorgere un debito di rimborso. Per converso è attiva l’erogazione del credito perché acquisisce il diritto alla restituzione delle somme. È importante che ci sia un collegamento tra queste due attività. È un collegamento funzionale necessario: ci deve essere un rapporto talmente stretto da consentirci di dire che l’attività di erogazione di credito è effettuata proprio con quelle somme che la banca ha acquisito con la raccolta del risparmio. Affinché ci sia attività bancaria è necessario che queste due fasi non solo esistano, ma siano totalmente connesse dal punto di vista funzionale. Se non avviene ciò non c’è attività bancaria. Se il soggetto si limita a una sola di queste due attività non esercita attività bancaria.
Natura giuridica dell’attività bancaria. All’inizio, con la legge bancaria degli anni ’30, era vista esclusivamente come un’attività pubblicistica. Questa impostazione è cambiata per mutamenti giurisprudenziali, catalogando questa attività come attività privata. Tutto ciò è stato confermato a livello normativo con le direttive comunitarie (degli anni ’85 e ’92) confluite nel Banking Code, una sorta di testo unico bancario europeo, che hanno qualificato l’attività bancaria come attività di impresa. Il tutto è confermato dallo stesso TUB. Ormai la banca è un’impresa. L’attività bancaria ha natura privatistica. Ciononostante persistono interessi collettivi che giustificano controlli pubblici. Ecco perché il diritto bancario è caratterizzato da interdipendenza tra profili pubblicistici e privatistici.
Il settore del parabancario. Le banche possono svolgere in via esclusiva l’attività bancaria, però lo stesso TUB, al terzo comma dell’art. 10 specifica che, oltre l’attività bancaria, le banche possono svolgere anche ogni altra attività finanziaria non espressamente riservata a soggetti diversi dalle banche e comunque attività connesse e strumentali rispetto alle prime. Fermo restando che il campo principale d’azione delle banche è l’attività bancaria, siccome la banca è definita come Banca Universale, accanto alle attività bancarie può compiere altre attività finanziarie. Non bisogna pensare alla banca come un ente che svolge solo attività di intermediazione di circolazione della moneta. Siccome non c’è una definizione di queste attività, esse vengono definite come “attività parabancarie”. Le attività finanziarie e le connesse e strumentali sono le attività parabancarie.
Si è passati da una fase iniziale in cui la banca svolgeva solo attività bancaria, a una fase in cui i controlli della Banca d’Italia si sono allentati, permettendo lo svolgere di attività non solo bancarie. Si è arrivati al c.d. “Gruppo polifunzionale”, cioè un gruppo nel quale c’era una banca capogruppo che svolgeva attività bancaria classica e una serie di attività collegate svolte da altre aziende finanziarie. Il problema è stato superato quando il TUB ha riconosciuto alla banca la possibilità di svolgere attività bancaria e finanziaria (concetto di banca universale). Non a caso con il decreto EUROSIM alle banche è stato permesso di svolgere attività di investimento nel campo immobiliare. L’investimento delle banche è possibile solo su base individuale. L’investimento su base collettiva può essere svolta solo dalle società di gestione di risparmio, non dalle banche.
Bancario Nov 29
La nozione di attività bancaria è rilevante perché dalla stessa si desume anche l’individuazione della banche. Le banche non solo altro che le imprese che esercitano attività bancaria. Identificando l’attività bancaria identifichiamo anche i soggetti che la pongono in essere. Per attività bancaria si deve intendere l’intermediazione nella circolazione della moneta. Questa attività si compone di due fasi strettamente connesse dal punto di vista funzionale. La prima fase è la raccolta di risparmio tra il pubblico; la seconda è l’erogazione del credito. Per nesso funzionale necessario si intende che la seconda attività deve essere necessariamente svolta tramite i proventi della prima attività, ossia usando il denaro raccolto con la prima attività. Non è quindi attività bancaria quell’attività che consiste solo nella prima o seconda di queste attività. Se ci sono entrambe e sono strettamente connesse possiamo parlare di attività bancaria.
Vediamo la raccolta di risparmio tra il pubblico. È un’attività espressamente definita dall’art. 11 comma 1 del TUB. Due sono gli elementi rilevanti affinché si possa parlare di vera e propria raccolta di risparmio tra il pubblico:
1) La raccolta deve avvenire tra soggetti indeterminati, cioè in incertam personam. I soggetti non possono essere determinati in base a criteri.
2) Obbligo di rimborso
La raccolta tra il pubblico significa quindi raccolta in incertam personam con obbligo di rimborso. Dalla necessità che vi siano questi due elementi, deriva l’esclusione dalla nozione di raccolta di risparmio tra il pubblico delle attività che costituiscono la c.d. “raccolta indiretta”. La raccolta indiretta è quella che non ha obbligo di rimborso (per es. in caso di raccolta fondi per investimento la banca non si obbliga al rimborso, quindi non siamo nella fattispecie di raccolta di risparmio tra il pubblico). Questa attività di raccolta di risparmio tra il pubblico è necessariamente riservata alle banche. L’attività bancaria è riservata in maniera esclusiva alle banche. Viceversa, nel caso delle altre attività finanziarie, cioè delle attività che non costituiscono attività bancaria, vi è una competenza più estesa, ossia non c’è una riserva vera e propria. Le attività finanziarie possono essere svolte da parte delle banche e degli altri intermediari finanziari. Gli intermediari finanziari sono sia quelli contemplati da TUB (elenco generale art. 106, elenco speciale art. 107) che quelli contemplati dal TUF (SIM, SGR, SICAV). Quello che ci interessa è sapere che le banche possono svolgere anche attività finanziarie. Per quanto riguarda le attività finanziarie c’è una sola eccezione. Ce ne sono alcune riservate a soggetti diversi dalle banche (gestione dei fondi comuni di investimento, che spetta alle c.d. società di gestione). Chi esercita attività bancaria pur non essendo banca va incontro a sanzioni penali. Tuttavia l’art. 11 al comma 4, in via del tutto eccezionale, permette che l’attività bancaria sia svolta anche da soggetti diversi. Sono previste queste ipotesi perché, ferma restando la necessità di tutelare il risparmio, si vuol contemperare questa finalità con un altro scopo, la libertà degli investimenti. In questi casi anche soggetti che non sono banche possono effettuare la raccolta di risparmio tra il pubblico. Il motivo per cui si consente la deroga sono due: la particolare affidabilità dei soggetti (ad es. Stati nazionali), la particolare natura di strumenti utilizzati.
La raccolta può avvenire:
- A vista
- A breve, medio, lungo termine
La raccolta è a vista quando l’obbligo di rimborso sorge in base ad una richiesta presentabile senza alcun preavviso e deve essere soddisfatta entro 24 ore. Nei casi in cui le scadenze abbiano una scadenza maggiore, si parla di raccolta a breve, medio e lungo termine. La raccolta è a breve termine quando la scadenza è inferiore ai 18 mesi; è a medio e lungo termine quando la scadenza è superiore ai 18 mesi.
Autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria. L’attività bancaria è un’attività di natura privata. Ciononostante permangono interessi collettivi. C’è quindi l’esigenza di tutelare il risparmio e la stabilità del mercato finanziario. Questi controlli sono svolti sia nella fase iniziale (con l’obbligo di autorizzazione della Banca d’Italia) sia nella fase successiva a quella iniziale (durante lo svolgimento dell’attività bancaria). Durante lo svolgimento dell’attività la banca è sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia. Nella fase iniziale abbiamo l’obbligo di autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria. Se non c’è autorizzazione si ricorre a sanzioni penali. Comunque, da un punto di vista pratico, l’attività svolta da una banca priva di autorizzazione fa sì che si configuri l’ipotesi della c.d. “banca di fatto”. La banca che di fatto svolge attività bancaria senza essere stata autorizzata, secondo l’interpretazione della corte di cassazione, sarebbe comunque assoggettata alla disciplina delle banche vere e proprie. In caso di insolvenza non si avrebbe l’applicazione della procedura concorsuale fallimentare, ma si applicherebbe la liquidazione coatta amministrativa. Questa impostazione non è condivisa dalla giurisprudenza di merito. La costituzione della banca va confermata con atto notarile. Il notaio, che redige l’atto costitutivo, non può procedere all’iscrizione nel registro delle imprese se non è stata rilasciata l’autorizzazione della Banca d’Italia all’esercizio dell’attività bancaria. L’autorizzazione è propedeutica per l’iscrizione nel registro delle imprese. Con l’iscrizione la banca acquista personalità giuridica. Ma affinché la banca possa esercitare attività bancaria è necessaria l’iscrizione nell’albo delle banche. Se manca uno di questi atti (atto costitutivo, autorizzazione della banca d’Italia, iscrizione del registro delle imprese, iscrizione nell’albo delle banche) non si può svolgere l’esercizio di attività bancaria. Sono necessari alcuni parametri per poter ottenere l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività bancaria:
§ Forma giuridica: la banca deve essere S.p.A. o società cooperativa per azioni a responsabilità limitata
§ Capitale sociale minimo: 6,3 milioni di euro per S.p.A. e la banche popolari; 2 milioni di euro per le banche di credito cooperativo
§ Sede legale e direzione generale necessariamente stabilite in Italia
§ Programma: (nei primi 3 anni) per quanto riguarda l’attività iniziale (atto costitutivo e statuto), è necessario che la Banca d’Italia li esamini per vedere se sia assicurata una sana e prudente gestione, e per rilasciare l’autorizzazione. Nel caso in cui la Banca d’Italia, esaminando questo programma, ritenga che non si assicuri la sana e prudente gestione, può chiedere delle modifiche e integrazioni allo statuto.
§ Onorabilità dei soci titolari di partecipazioni rilevanti. Rispetto a quei soci in grado di esercitare un controllo sulla società è necessario che sussistano requisiti di onorabilità (assenza di condanne penali, assenza di misure di prevenzione) in assenza dei quali la Banca d’Italia non potrà rilasciare autorizzazioni.
§ Requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza degli esponenti aziendali, cioè coloro che, pur non essendo soci, svolgono attività di direzione, amministrazione e controllo nella società. Questi soggetti devono avere requisiti di onorabilità, professionalità (curriculum prestigioso), indipendenza (assenza di legami con soggetti esterni sospetti).
§ Assenza di stretti legami tra banche e altri soggetti. Gli stretti legami sono i rapporti che ci sono quando vi è una situazione di controllo tra la banca e un terzo. Questi non devono esserci, altrimenti potrebbero essere influenzate le decisioni dell’altro soggetto. Gli stretti legami non devono sussistere.
§ Sana e prudente gestione. È tale la gestione che avviene rispettando criteri di ragionevolezza e criteri e parametri tecnici in grado di evitare che la banca assuma rischi sproporzionati rispetto alle condizioni in cui opera.
Il procedimento autorizzatorio. Viene presentata un’istanza. Si risponde entro 90 giorni (salvo interruzioni e sospensioni). In ogni caso il termine massimo entro il quale la Banca d’Italia deve comunicare la decisione di accettazione dell’istanza è un anno. Nel caso in cui la Banca d’Italia non risponda non c’è né silenzio-assenso né silenzio-rigetto. C’è il silenzio-inadempimento: nel caso in cui la Banca d’Itala non risponde, siccome il suo silenzio è considerato un semplice inadempimento, può essere impugnato dinnanzi all’autorità giudiziaria solo a fini risarcitori, non per far in modo che la sentenza del giudice si sostituisca al silenzio della Banca d’Italia. Nel banking code c’è una norma che prevede che, laddove siano presenti tutti requisiti richiesti dalle varie autorità nazionali per il rilascio dell’autorizzazione, l’autorizzazione stessa vada considerarsi un atto dovuto. Se è vero che l’autorizzazione diventa un atto dovuto, allora l’autorità giudiziaria non dovrebbe limitarsi a stabilire un risarcimento, ma dovrebbe anche confermare il buon diritto del soggetto a vedersi consegnata l’autorizzazione. Una volta ottenuta l’autorizzazione la banca deve iniziare l’attività bancaria, altrimenti decade dall’autorizzazione stessa. Il termine di decadenza è di un anno dal rilascio dell’autorizzazione.
Apertura di succursali. Tra i vari principi comunitari presenti nelle direttive c’è anche la “libertà di stabilimento”: è consentito alle banche comunitarie la libera apertura di succursali negli altri paesi dell’Ue. Non è necessaria l’autorizzazione da parte dell’autorità di vigilanza del paese ospitante. L’importante è che ci sia l’autorizzazione dell’autorità di vigilanza dello stato d’origine. Per operare nel paese ospitante basta una semplice comunicazione della Banca d’Italia all’autorità di vigilanza del paese ospitante. Solo in casi eccezionali è vietata la libertà di stabilimento. Per le banche extracomunitarie è necessaria l’autorizzazione sia per andare fuori dall’Unione Europea che per venire in Europa. Se una banca kazaka vuole venire in Italia deve chiedere l’autorizzazione.
Questo principio (banca comunitaria – banca extracomunitaria) può essere applicato con riferimento alla prestazione di servizi. La prestazione di servizi è differente dall’apertura di succursali. Si possono erogare servizi senza la necessità di aprire una succursale. Se si rimane nell’Ue basta una semplice comunicazione. Per i rapporti extra-Ue è necessaria l’autorizzazione.
Per quanto riguarda la libera prestazione di servizi, l’attività bancaria può essere svolta anche online. Si applicano le stesse regole a condizione che vi siano due requisiti: ci deve essere un’offerta commerciale nello stato destinatario (anche in assenza di succursale), e il contratto deve essere concluso (con incontro o online). Ma nei rapporti bancari online l’offerta avviene via web, quindi molto spesso non si verificano le condizioni necessarie (offerta commerciale nel paese d’origine e incontro tra le due parti). Non verificandosi tali condizioni, non esistono obblighi di autorizzazione o comunicazione, e l’attività sarà dunque libera.
Gli organi di vigilanza
Attività di vigilanza. L’attività bancaria è un’attività privata ma sono necessari controlli pubblici per garantire la tutela del risparmio e la stabilità del mercato creditizio. I controlli pubblici avvengono all’inizio e durante lo svolgimento dell’attività bancaria, per garantire “la sana e prudente gestione”. Per assicurare la tutela degli interessi collettivi, è prevista una vigilanza in materia bancaria. Le finalità più importante è la sana e prudente gestione. Gli enti vigilati dalla Banca d’Italia sono:
- le banche
- i gruppi bancari (in questo caso di parla di vigilanza su base consolidata)
- gli intermediari finanziari previsti dal TUB, divisi in iscritti in elenco generale art. 106 o iscritti in elenco speciale art. 107. Solo questi ultimi, che svolgono attività particolarmente rischiose, sono soggetti alla vigilanza della Banca d’Italia. Quelli iscritti nell’elenco generale sono sottoposti alla vigilanza dell’UIC.
È fondamentale lo scambio di informazioni affinché la vigilanza sortisca un buon effetto. Questo è espressamente dall’art. 7 innanzitutto fra le autorità di vigilanza italiane (Banca d’Italia, ISVAP, COVIP, UIC, CONSOB, Autorità garante della concorrenza e del mercato). Ma c’è obbligo si scambio di informazioni anche a livello comunitario: l’autorità di vigilanza italiana scambia informazioni con le altre autorità europee. Diverso è il caso allo scambio di informazioni con stati extracomunitari. Non c’è libertà. Lo scambio è possibile solo nel caso in cui ci siano specifici accordi. Anche in questo caso si apre la stessa regola della libertà di stabilimento e della libertà di prestazione di servizi.
La vigilanza sui conglomerati finanziari. I conglomerati finanziari sono quei gruppi di imprese caratterizzati da due requisiti:
1) prevalenza dell’attività finanziaria (requisito oggettivo)
2) esistenza di almeno un’impresa di assicurazione e almeno un’impresa bancaria o di investimento (requisito soggettivo)
Rispetto a questi gruppi si parla di vigilanza supplementare. Ciascun soggetto ha organi di vigilanza ben distinti (per l’impresa assicurativa c’è l’ISVAP, per l’impresa bancaria c’è la Banca d’Italia). Si ritiene che, data la rilevanza finanziaria di questi soggetti, non basta la vigilanza ordinaria da parte degli organi a cui fanno capo le singole imprese che costituiscono il conglomerato. Ci vuole una vigilanza supplementare: si individua, per ogni conglomerato, tra le varie autorità a cui fanno capo le singole società che compongono il conglomerato, un’autorità che svolge un’attività supplementare. Per cui, per esempio, l’ISVAP verrà incaricata di svolgere una vigilanza maggiore sull’intero conglomerato. L’autorità di vigilanza dell’intero conglomerato è chiamata “coordinatore”.
Tre sono i tipi di vigilanza:
1. vigilanza informativa
2. vigilanza ispettiva
3. vigilanza regolamentare
La vigilanza informativa. Serve per raccogliere informazioni, dati e documenti con cui si possono prevenire eventuali episodi negativi a carico delle imprese soggette a vigilanza. Tutte queste informazioni giungono alla Banca d’Italia. Se la Banca d’Italia ritiene di dover intervenire, si passa dalla vigilanza informativa alla vigilanza regolamentare, che prevede l’emanazione di disposizioni a cui le banche devono attenersi. Lo scopo di questa vigilanza è preventivo. Il flusso delle informazioni giunge alla Banca d’Italia in due modi: o con la spontanea e periodica trasmissione delle informazioni da parte degli stessi soggetti vigilati o per intervento degli organi di controllo (collegio sindacale). Nel caso in cui ci sia un organo esterno che svolge attività di revisione, anche nei confronti di costoro vi è l’obbligo, come per il collegio sindacale, di trasmettere prontamente alla Banca d’Italia qualsiasi notizia riguardante eventuali irregolarità del soggetto sottoposto a vigilanza. La Banca d’Italia possiede queste informazioni o per spontanea comunicazione della banca (che deve sempre rispettare i regolamenti della Banca d’Italia) o per comunicazione degli organi di controllo. Solo in casi eccezionali è la Banca d’Italia che richiede i documenti. Nel caso in cui emergano irregolarità nella gestione della banca il collegio sindacale e l’organo di revisione dovranno comunicarlo alla Banca d’Italia. Solo nel caso delle banche di credito cooperativo le funzioni di revisione sono svolte dal collegio sindacale.
Vigilanza ispettiva. I dati non vengono spontaneamente trasmessi dai soggetti vigilati alla Banca d’Italia, ma la stessa Banca d’Italia, con i propri funzionari, si reca in loco e acquisisce i dati che ritiene opportuno acquisire. In caso di ispezione non può essere opposto alla Banca d’Italia né il segreto d’ufficio né il segreto bancario. Siccome ci possono essere succursali in territorio straniero, in questi casi vige il principio di home country control, ossia la vigilanza spetta all’autorità del paese d’origine. Se la Banca d’Italia vuole ispezionare una succursale italiana in Europa può recarsi con i propri funzionari ma dovrà comunicarlo all’autorità del paese ospitante, oppure potrà chiedere all’autorità straniera di svolgere lo stesso compito di vigilanza in sua vece, oppure si possono trovare diversi accordi. Diverso è il caso delle banche che fanno capo a stati extracomunitari. È possibile effettuare gli accessi all’estero o autorizzare stranieri all’accesso interno solo se ci sono garanzie sulla trasparenza e sulla vigilanza e solo se ci sia la condizione di reciprocità.
Vigilanza regolamentare. Si esplica con l’emanazione da parte della Banca d’Italia di disposizioni che si basano sulle direttive generali stabiliti dal CICR. Il CICR stabilisce i principi entro i quali la Banca d’Italia individuerà le norme di dettaglio per lo svolgimento della vigilanza regolamentare. Le disposizioni emanate sono a carattere generale o a carattere particolare. Le disposizioni a carattere particolare non sono esemplificabili perché di volta in volta vengono stabilite in maniera diversa. Per ciò che riguarda le disposizioni a carattere generale, bisogna distinguere due obiettivi che vengono presi in considerazione:
- adeguatezza patrimoniale
- contenimento del rischio
Le disposizioni generali in materia di adeguatezza patrimoniale vogliono far sì che il patrimonio delle banche sia adeguato al tipo di attività che esse stanno svolgendo. Le disposizioni generali in materia di contenimento del rischio cercano far in modo che il rischio sia ristretto entro margini molto bassi ( le c.d. regole prudenziali: requisiti patrimoniali, limiti delle banche quando acquistano immobili, limiti per erogare crediti a soggetti controllori etc.). In relazione al contenimento del rischio, esiste la centrale rischi, che è un organo che gestisce tutte le informazioni relative alla esposizione debitoria bancaria, quindi nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari. È un organo che ha scopo informativo gestito dalla Banca d’Italia che si limita a raccogliere le segnalazioni delle singole banche e gli intermediari finanziari. Questi dati sono consultabili dalla Banca d’Italia, dai soggetti che operano nel mercato bancario e anche dal diretto interessato (persona fisica o persona giuridica) che ha il diritto di sapere se il proprio nome è iscritto nella centrale rischi. Questo strumento è utile alle banche per sapere se i clienti siano iscritti nella centrale rischi, e quindi siano soggetti affidabili o “cattivi pagatori”. Nel caso in cui vengono iscritte notizie non veritiere, chi ne risponde, secondo la giurisprudenza, non è la Banca d’Italia, ma i singoli soggetti segnalanti. Per le banche che operano a livello internazionale si è cercato, nel gruppo del G10 (USA, Giappone, Canada, Germania, Francia, Italia, Inghilterra, Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio), di raggiungere accordi bancari. I governatori centrali di questi dieci stati formano il Comitato di Basilea. Hanno cercato di emanare norme dirette a favorire una migliore verifica dell’adeguatezza patrimoniale delle banche che operano a livello internazionale. Si sono stabiliti dei criteri, contenuti nel regolamento (Basilea 2), il quale, attraverso i c.d. pilastri, ossia parametri di riferimento, cercano di stabilire regole comune che vanno osservate in maniera tale che si possa identificare se tal banca dia o meno garanzie dal punto di vista patrimoniale. C’è stato un notevole irrigidimento, dal punto di vista burocratico, per la concessione degli affidamenti. Per le piccole e medie imprese è un dramma. Ancora non si vedono risultati positivi da questo accordo.
Fusioni e scissioni. La vigilanza della Banca d’Italia si estende anche alle ipotesi di fusioni e scissioni. È necessaria l’autorizzazione della Banca d’Italia. Si vuole vigilare che sia garantita la sana e prudente gestione dei nuovi soggetti. Siccome sono operazioni considerate positivamente perché favoriscono l’aggregazione, da un lato c’è la necessità dell’autorizzazione, dall’altro è prevista una procedura agevolata. Analoghe considerazioni per le cessioni di rapporti giuridici che possono riguardare la cessione di aziende, rami d’aziende o rapporti giuridici in blocco. Quando queste cessioni vengono fatte a favore di banche, vengono agevolate e, nei casi più importanti, è necessaria l’autorizzazione. Mentre per le fusioni e scissioni ci vuole sempre l’autorizzazione, per la cessione di rapporti giuridici, solo se si supera una certa soglia è necessaria l’autorizzazione. Anche queste sono operazioni agevolate perché si ritiene che favoriscano lo svolgimento dell’attività bancaria.
Vigilanza su base consolidata. È la vigilanza che riguarda non tanto le banche, ma i gruppi bancari. Si può parlare di gruppo bancario quando si è di fronte a un gruppo di imprese rispetto alle quali c’è una società capogruppo costituita da una banca, oppure nel caso in cui la società capogruppo non sia una banca ma nell’interno gruppo l’attività bancaria abbia natura prevalente. In entrambi i casi si parla di gruppo bancario. La particolarità è che la società capogruppo è destinataria delle istruzioni di vigilanza della banca e deve poi trasmetterle alle altre società del gruppo. Per quanto riguarda la vigilanza informativa, le società del gruppo trasmettono i dati al capogruppo che le invia alla Banca d’Italia. La capogruppo è una sorta di filtro.
Per quanto riguarda la disciplina delle crisi, le ipotesi sono tre: amministrazione straordinaria, provvedimenti straordinari, liquidazione coatta. I presupposti sono sempre gli stessi, cioè gravi irregolarità nella gestione, rischio di gravi perdite patrimoniali, oppure richiesta degli stessi organi societari. Si applica un’ipotesi anziché l’altra in base alla gravità della situazione. Quando l’impresa può essere risanata in due mesi, si ricorre ai provvedimenti straordinari. Se la situazione è mediamente grave, si ricorre all’amministrazione straordinaria, la quale mira non alla liquidazione dell’impresa ma al suo risanamento. Nei casi di eccezionale gravità non c’è altra strada che la liquidazione.
Bancario Dic 6
Le tipologie di vigilanza sono informativa, ispettiva, regolamentare. La vigilanza sui conglomerati è caratterizzata da vigilanza supplementare. Nei casi di gruppi bancari si parla di vigilanza consolidata.
Dal punto di vista della disciplina delle crisi, l’importante è ricordare che le crisi, in campo bancario, sono caratterizzate da un notevole potere discrezionale esercitato dalla Banca d’Italia, perché si vuole favorire la tutela del risparmio (rischio per i risparmiatori) e la stabilità del sistema bancario stesso. Per questo tipo di finalità si è favorito l’intervento non dell’autorità giudiziaria ma dell’autorità di vigilanza. L’autorità di vigilanza (Banca d’Italia) esercita un notevole potere discrezionale sia nella fase iniziale (decidendo il tipo di procedura di crisi) sia durante lo svolgimento della procedura stessa. Una volta aperta la crisi, la Banca d’Italia decide se dare corso o meno a tutti i principali atti che caratterizzano le singole procedure di crisi. Le procedure di crisi sono tre:
v Amministrazione straordinaria (ipotesi intermedia) (che si distingue dall’analoga amministrazione delle imprese non bancarie) con lo scopo di risanare l’impresa bancaria in un periodo di 12-18 mesi.
o Gestione provvisoria (sottotipo dell’amministrazione straordinaria). In casi particolarmente urgenti, per un periodo non superiore a due mesi, sono svolte attività di tipo cautelare e ispettivo, in attesa di verificare che l’impresa sia stata risanata o di far sì che la procedura sfoci nella vera e propria amministrazione straordinaria. È una forma attenuata di amministrazione straordinaria. L’assemblea non viene sospesa ma rimane in vita e gli organi amministrativi non vengono sciolti ma solo sospesi. Viene nominato un commissario provvisorio che al termine della gestione provvisoria passerà tutto ai commissari per l’amministrazione straordinaria o dichiarerà che è tutto a posto e chiuderà la crisi.
v Provvedimenti straordinari (ipotesi meno grave) che puntano anche essi al risanamento. I presupposti sono gli stessi dell’amministrazione straordinaria, però vengono caratterizzati da una minore gravità. Nel caso in cui le ipotesi siano meno gravi, si fa luogo ad una procedura di crisi meno intensa: provvedimenti straordinari. Essi consistono nell’ordine di chiusura di una o più succursali, oppure nell’emanazione di un divieto che ha ad oggetto lo svolgimento di nuove operazioni (cioè una o più filiali o un’intera banca non possono svolgere determinate operazioni ex novo, ferme restando le operazioni già in corso). In questo modo si gestisce una crisi meno grave di quella che configura un’amministrazione straordinaria.
v Liquidazione coatta amministrativa (ipotesi più grave). Parte dagli stessi presupposti previsti per l’amministrazione straordinaria, ma questi sono più gravi. I presupposti sono sempre gli stessi. È una procedura amministrativa nella quale non si mira a risanare l’impresa, che è decotta, ma a liquidare l’impresa, altrimenti si avrebbe l’amministrazione straordinaria. Si cerca di soddisfare i singoli creditori. La particolarità, rispetto al fallimento, è che, essendo una procedura amministrativa, lo stato passivo non viene formato con intervento dell’autorità giudiziaria ma con il lavoro dei commissari. Solo in caso di opposizione i creditori potranno interloquire con l’autorità giudiziaria. Se lo stato passivo non viene impugnato la procedura finisce in sede amministrativa. Se viene impugnato allora si va davanti l’autorità giudiziaria. Nel fallimento invece l’interlocutore è sempre l’autorità giudiziaria.
I presupposti della crisi sono sempre gli stessi e sono essenzialmente tre: 1) Gravi irregolarità di tipo patrimoniale, ossia pericolo di gravi perdite; 2) Gravi irregolarità gestionali, ossia violazioni di norme legislative e regole amministrative e statutarie; 3) Istanza motivata da parte degli stessi organi amministrativi e di controllo della impresa bancaria.
Sistema di garanzia dei depositi. Le banche devono necessariamente aderire ad un sistema di garanzia costituito con fondi prelevati dalle stesse banche per fare in modo che in caso di crisi i risparmiatori possano essere rimborsati. Non tutti i risparmiatori sono rimborsati ma solo i risparmiatori deboli. C’è anche un tetto massimo che non può essere mai derogato, pari a 103'000 euro. L’adesione a questo sistema è obbligatoria.
Tipologie di banche
Con il TUB si è passati ad una nuova concezione della banca: banca universale. Questo fenomeno è anche descritto come fenomeno di “despecializzazione delle banche”. È importante sottolineare la rottura con il passato. La legge bancaria degli anni ’30 prevedeva una soluzione opposta, ossia la “specializzazione delle banche”: vi erano le banche di credito ordinario e dall’altra parte gli istituti di credito. La differenza era legata alla tempistica inerente i finanziamenti che potevano essere erogate. Le aziende di credito potevano svolgere un’attività che prevedeva un rimborso in un periodo non superiore ai 18 mesi: invece per attività che si esplicavano in un lasso di tempo maggiore si doveva ricorrere esclusivamente agli istituti di credito. Aldilà di questo vi era una notevole differenziazione dal punto di vista tipologico. A differenza di oggi (esistono solo due forme di costituzione delle banche) le forme allora utilizzabili erano molte (banche ordinarie, casse rurali, casse di risparmio, monti di pietà, banche di interesse nazionale, banche pubbliche). C’era una frammentazione notevole anche dal punto di vista tipologico. La situazione era tale perché vigeva il principio della specializzazione dell’attività bancaria: determinate attività erano eseguibili solo con certe banche. Ciò è cambiato nel 1993. Oggi si parla di banca universale: a meno che ci siano particolari limitazioni, la banca può compiere qualsiasi attività bancaria e finanziaria. Si è notevolmente ampliato il campo di azione delle banche. Ciò ha comportato anche una semplificazione delle forme. Oggi per costituire una banca si possono usare solo due forme: società per azioni e società cooperative per azioni a responsabilità limitata. Nell’ambito delle cooperative bisogna distinguere tra banche cooperative e banche di credito cooperativo. Le banche cooperative sono caratterizzate entro certi limiti da uno scopo mutualistico. Lo scopo di lucro è lo scopo di guadagno: si mira ad una differenza positiva tra ricavi e costi. Le banche cooperative tendenzialmente perseguono uno scopo non lucrativo, ma mutualistico: si tende a far ottenere ai propri soci beni e servizi a prezzi e condizioni più favorevoli di quelle che possono essere ottenute sul mercato. A voler essere rigorosi anche questa è una forma di guadagno, o risparmio. Più che un incremento patrimoniale si evita un decremento delle spese. Il c.c., per evitare abusi da parte di coloro che intendono creare società cooperative, ha distinto tra vere e proprie società cooperative (a mutualità prevalente) e le altre società cooperative (che non sono a mutualità prevalente). Le cooperative a mutualità prevalente usufruiscono di agevolazioni in campo fiscale. La distinzione tra lucro e mutualità ci serve per distinguere, non solo le s.p.a. dalle società cooperative, ma anche, nell’ambito delle società bancarie cooperative, le banche popolari dalle banche di credito cooperativo.
Il processo in seguito alla legge Amato (218/’90). La legge Amato è una legge delega che ha originato il decreto legislativo 356/’90. Al fine di rendere più competitive le nostre imprese bancarie in un periodo in cui si affacciavano sul mercato molte imprese straniere, ha favorito la ristrutturazione e trasformazione in s.p.a. di quelle che prima erano le banche pubbliche. Con la legge bancaria del 1936-38 le forme utilizzabili erano numerose. Tra queste forme c’era anche quella che permetteva che nel mercato operasse una banca pubblica, controllata totalmente o prevalentemente da un ente pubblico. Si è ritenuto opportuno favorire una trasformazione in s.p.a. di quelle banche. Si riteneva che con questa forma privatistica si potesse meglio competere sul mercato. Questo processo, iniziato nel ’90, è terminato solo recentemente perché ha comportato il superamento di molti vincoli. Le banche pubbliche sono state privatizzate prima solo formalmente, poi sostanzialmente. In una prima fase gli enti pubblici che detenevano le partecipazioni delle imprese bancarie si sono limitate a conferire l’azienda bancaria a delle Spa o preesistenti o create ex novo. Queste Spa, pur iniziando a esercitare l’attività bancaria perché avevano ottenuto il complesso dei beni destinato all’esercizio dell’impresa, non erano ancora diventate proprietarie delle imprese bancarie. A questa privatizzazione formale, è succeduta una privatizzazione sostanziale: gli enti pubblici sono stati obbligati a dismettere le proprie partecipazioni, a collocare le azioni sul mercato. Da enti pubblici sono diventati degli enti privati non lucrativi. Oggi le banche pubbliche non esistono più. Questa trasformazione si è completata tra il ’98-’99 con la c.d. “privatizzazione sostanziale”. Ormai ci sono solo delle fondazioni, eredi di quegli enti pubblici che detenevano partecipazioni in imprese bancarie, che non possono più detenere nessuna partecipazione. Tutte le quote societarie relative a banche sono state cedute da queste fondazioni a Spa. Le fondazioni o hanno del tutto dismesso le partecipazioni o le hanno affidate a SGR (società di gestione del risparmio, che fino al 2008 possono detenere queste partecipazioni). Adesso le fondazioni non possono più detenere partecipazioni di imprese bancarie. È stato stabilito che quest’obbligo di dismissioni riguarda tutte le fondazioni tranne quelle minori. Oggi come oggi le fondazioni possono svolgere attività esclusivamente in determinati settori stabiliti dalla legge. Le fondazioni sono organismi potentissimi perché gestiscono molto denaro (che investono finanziando mostre ed eventi). Le nomine sono effettuate anche da enti pubblici di emanazione politica. Ciononostante hanno natura di enti non commerciali, non lucrativi. Per fare in modo che questa loro grande forza finanziaria venga utilizzata, la legge stabilisce che le fondazioni bancarie possono operare solo nei settori ammessi. Siccome questi settori sono numerosi, sono state evidenziate due finalità: utilità sociale e sviluppo economico (es. famiglia, istruzione, arte). Le fondazioni individuano ogni tre anni i propri settori rilevanti. Tutte le imprese bancarie sono in mano private (eccezione per le SGR fino al 31 dicembre 2008).
Sono due le forme di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata:
- banca di credito cooperativo
- banca popolare
A certe banche è consentito di assumere la forma di soc. coop. p. a. a r. l. invece della s.p.a. perché in questa maniera si vuole soddisfare i bisogni di alcune fasce di popolazione che normalmente non hanno rapporti con imprese bancarie di grosse dimensioni. Si vogliono favorire imprese bancarie (cooperative) che hanno dimensioni ridotte rispetto alle spa e che hanno una operatività territoriale più ristretta. Questo differenzia le banche cooperative dalle spa. Le banche di credito cooperativo e le banche popolari hanno elementi in comune e distintivi. Entrambe, pur essendo cooperative, a differenza delle imprese cooperative, dal punto di vista della vigilanza, non sono sottoposte al controllo dell’autorità governativa. quando la forma cooperativa è utilizzata per l’esercizio di un’impresa bancaria, la vigilanza è svolta dalla Banca d’Italia. Però ci sono anche elementi distintivi. Primo elemento è la mutualità. Le banche di credito cooperativo sono effettivamente delle cooperative a mutualità prevalente mentre le banche popolari hanno una mutualità attenuata (in esse convivono lo scopo mutualistico con quello lucrativo). Si distinguono anche dal punto di vista della operatività: le banche popolari possono operare nei confronti di chiunque (soci e terzi), mentre le banche di credito cooperativo tendenzialmente devono operare solo a favore dei soci.
Le banche popolari. la loro forma è soc. coop. p.a. a r. l. Il principio di mutualità è attenuato con due modalità. Innanzitutto, solo il 10% degli utili netti va destinato a riserva legale obbligatoria. L’altro 90% può essere in teoria distribuito fra i soci. Sul 90% la banca può decidere se distribuirla interamente tra i soci o in parte utilizzarlo per attività di beneficienza o assistenza. Poi, i destinatari possono essere sia i soci che i terzi. Ci sono alcune regole particolari. Le azioni possono avere un valore pari o superiore ai due euro. Vige il principio del “voto capitario”: indipendentemente dal numero di azioni, ogni socio avrà un solo voto. Ogni socio non può avere una quota che superi lo 0,5% del capitale sociale. Il numero minimo di soci è quindi 200. L’ingresso di nuovi soci è subordinato al preventivo gradimento espresso dal Consiglio di amministrazione della banca. Va precisato che non è un potere assolutamente discrezionale. In caso di rigetto, il rigetto deve essere motivato. Entro i trenta giorni successivi l’aspirante socio può far ricorso. Per la trasformazione in spa o la fusione verso spa non c’è nessun limite, anzi il procedimento è agevolato. Si ritiene che con le spa si possa favorire meglio l’esercizio dell’attività bancaria. L’unico limite è la necessaria autorizzazione della Banca d’Italia.
Banche di credito cooperativo. La forma è soc. coop. p. a. a r. l. Presentano delle analogie con le vecchie casse rurali artigiane. Le casse rurali soddisfacevano meglio le esigenze sociali dei piccoli artigiani e coltivatori. L’analogia tra le banche di credito cooperativo e le vecchie casse è il localismo: per essere soci delle banche di credito cooperativo bisogna risiedere ed operare con continuità nel territorio di riferimento della banca di credito cooperativo. Buona parte delle attività devono essere rivolte ai soci. Le istruzioni della Banca d’Italia sono chiare: il 50% dell’attività deve essere rivolto ai soci. Queste banche di credito cooperativo (a differenza delle banche popolari) sono vere e proprie cooperative a mutualità prevalente. In esse lo scopo mutualistico ha una rilevanza maggiore rispetto allo scopo lucrativo. esse principalmente perseguono uno scopo mutualistico. Le banche di credito cooperativo devono avere i requisiti richiesti per le società cooperative a mutualità prevalente. Gli stessi requisiti delle società cooperative a mutualità prevalente devono essere rispettati per la configurazione dello statuto. Ci sono eventuali statuti tipo: per soddisfare particolari esigenze di certe aree geografiche alcune banche di credito devono adottare coattivamente certi statuti tipo. Questo per fare in modo che la loro azione sia più aderente al contesto socioeconomico in cui operano. Le banche di credito cooperativo possono operare esclusivamente o nel comune in cui hanno la sede legale, o nel comune in cui sono ubicate le eventuali succursali, o nei comuni limitrofi, cioè i comuni territorialmente contigui. Solo in ipotesi particolari si può andare oltre questa regola. Il valore nominale delle azioni varia da 25 a 500 euro. Il valore del possesso azionario di un soggetto non può superare i 50'000 euro. l’erogazione del credito è collegiale: il c.d.a. della banca di credito cooperativo si riunisce e decide se erogare o meno un determinato credito. Solo in casi di particolare urgenza decide il presidente in maniera autonoma, ma poi deve riferirne subito al c.d.a. Elemento che distingue la banca di credito cooperativo dalla banca popolare è l’utile netto e la riserva legale: è previsto che ben il 70% degli utili netti debba essere destinato a riserva legale (le banche popolari invece solo il 10%). Sul residuo 30% la legge stabilisce una quota che obbligatoriamente va destinata a fondi mutualistici, cioè fondi destinati allo sviluppo della cooperazione. Una volta detratta dal 30% l’eventuale quota, si potrà eventualmente procedere alla distribuzione tra i soci. Spesso rimane poco o nulla. In alternativa alla distribuzione fra i soci è previsto un impiego degli utili per l’attività di beneficienza e mutualità (mentre per le banche popolari c’è “beneficienza e assistenza”). Ci sono veramente poche chance di lucrare nelle società di credito cooperativo. La fusione della banca di credito cooperativo con altre banche può generare o un’altra banca di credito cooperativo o una banca popolare o una spa. Necessita sempre l’autorizzazione della Banca d’Italia. Diverso è il caso della trasformazione, cioè quando cambia la forma di società. La banca di credito cooperativo non può trasformarsi in spa; questo per non tradire lo scopo mutualistico. Se la banca di credito cooperativo si vuole trasformare in banca popolare può farlo senza però le agevolazioni tipiche delle trasformazioni.
Quando c’è stata la despecializzazione delle banche sono rimaste solo due forme: spa e soc.coop.p.a. a r.l. Tra le altre sono stati eliminati che i monti di pietà. Venivano utilizzati per finanziamenti di modica entità a favore di soggetti bisognosi a tassi particolarmente agevolati garantiti dal pegno su cose mobili. Questa era una funzione sociale importantissima che è venuta meno.
Trasparenza bancaria
Nel campo bancario c’è una serie di norme (contenute nel TUB) destinate a tutelare la trasparenza bancaria. Alcune norme del titolo IV del TUB favoriscono una protezione reale dei clienti bancari, in particolare di quelli più deboli, poiché è innegabile che, nei rapporti con la clientela, le banche si trovano in una condizione di supremazia. Le norme previste per i contratti si sono rivelate insufficienti. Con lo sviluppo dell’attività bancaria sono aumentate le esigenze di tutela per i clienti. Le famose norme sulla sottoscrizione delle clausole vessatorie sono ormai insufficienti. La prassi negoziale prevede che si vada in banca e si riempiano i moduli della banca, senza possibilità di contrattazione. C’è un’oggettiva supremazia. Lo stesso dicasi per le norme in materia di correttezza e buona fede. La più grande introduzione del codice civile del 1942 è il principio di buona fede e correttezza. A volte si può anche rispettare la lettera della legge, ma se c’è un abuso esso deve essere sanzionato. Se non si fa così si favorirebbe il soggetto più forte. Detto questo, dobbiamo comunque notare che le norme del codice sono insufficienti. A partire dagli anni ’70-’80 le stesse banche, in assenza di un intervento legislativo, hanno incominciato ad autoregolamentarsi (codici di autodisciplina ABI).Ma questi codici non erano norme di legge, ma semplici linee di tendenza. Una vera e propria regolamentazione si è avuta solo nel ’92 con la legge 154/’92, in materia di trasparenza dei contratti bancari e finanziari. Questa legge è stata poi trasfusa nel TUB. Dall’art. 115 in poi nel TUB ci sono le norme sulla trasparenza. I soggetti destinatari, cioè coloro ai quali si applicano le norme sulla trasparenza bancaria, sono le banche, gli intermediari finanziari previsti dal TUB (art. 106 e 107) ed eccezionalmente altri destinatari con apposito decreto del Ministero dell’economia. Il principio della territorialità è importante, e non va confuso con il principio dell’home country control. Tutte le operazioni bancarie e finanziarie, poste in essere in Italia, per il semplice fatto di essere state realizzate in Italia devono necessariamente rispettare le norme sulla trasparenza bancaria, indipendentemente dalla natura del soggetto che le attua. Si potrebbe trattare anche di una banca extracomunitaria. L’home country control è diverso, perché fa sì che il controllo avvenga da parte dell’autorità del paese d’origine. Questo sottolinea come siano rigorose queste norme. Queste norme sono derogabili sono sempre a favore del cliente, mai per la banca. L’eventuale nullità è di tipo relativo, cioè può essere fatta valere solo dal cliente, non dalla banca. A emanare le norme è il CICR e la Banca d’Italia. Spesso il CICR fissa le norme quadro e tra questi principi la Banca d’Italia stabilisce le norme particolari. Il compito di verificare che le norme siano state rispettate e di applicare le eventuali sanzioni, per quanto riguarda le banche e gli intermediari finanziari di cui all’art. 107, spetta alla Banca d’Italia. Per gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco dell’art. 106 la competenza di controllo è dell’UIC. Per quanto riguarda le sanzioni, l’art. 128 parla chiaro: “Nel caso in cui ci siano ripetute violazioni della normativa sulla trasparenza, il Ministero dell’economia e finanze, con apposito decreto, può arrivare a sospendere l’attività della banca che viola quelle norme per un periodo non superiore a 30 giorni”. L’art. 116 prevede che nei locali aperti al pubblico debbano essere pubblicizzate tutte le condizioni economiche relative alle operazioni e servizi offerti da quell’operatore finanziario. Per “locale aperto al pubblico” si intende un accesso non discriminato. Per i contratti di finanziamento bisogna anche indicare il TEGM (tasso effettivo globale medio). E’ quel tasso medio che riguarda tutte le spese a carico del cliente. E’ vietato poi il rinvio agli usi. Quando ci sono gli avvisi nei locali aperti al pubblico non ci possono essere rinvii agli usi (mai consentiti). Si vuole garantire la trasparenza. Se si rinviasse agli usi i clienti non saprebbero il contenuto di quegli usi. Non è attribuita la natura di offerta al pubblico a quelle condizioni utilizzate nei locali aperti al pubblico. Il fatto che ci sia una offerta non significa che quella sia una proposta. La proposta deve essere sempre fatta personalmente dalla banca. Anche per i titoli di stato è previsto l’obbligo di trasparenza (deve essere specificato il costo delle commissioni e quello dei rendimenti). A stabilire quali sono i servizi e le operazioni a cui si applicano le norme sulla trasparenza è il CICR (l’ha fatto con un provvedimento del 2003). Questi soggetti sono comunque alla vigilanza predetta. Per quanto riguarda le modalità attuative, esse sono stabilite dal CICR e dalla Banca d’Italia. Un esempio sono gli avvisi, che devono essere di facile lettura, o fogli informativi analitici asportabili. Per i contratti di finanziamento deve essere fornito al cliente il documento di sintesi e l’indicatore sintetico del costo.
Bancario Dic 20
Le norme sulla trasparenza sono norme a tutela dei clienti. Per i clienti consumatori ci sono norme ad hoc che prevedono garanzie ulteriori. Ma quelle garanzie-base, comuni a tutti i clienti bancari, sono contenute nel TUB. Si è passati da una fase di autoregolamentazione dell’ABI a una fase di spontaneismo bancario ad una fase finale in cui la trasparenza è stata ufficializzata dalla legge 154/92, e poi dal TUB. Dall’art. 115 in poi in cui si sono trasfuse le norme della legge 154/92. Vige in principio della territorialità e non quello dell’home country control (che riguarda i rapporti tra banca e autorità di vigilanza). La trasparenza riguarda i rapporti tra le banche e i clienti, cioè riguarda rapporti privatistici, che si applicano a prescindere dalla nazionalità della banca. Per il semplice fatto che la banca opera in Italia, questa deve essere controllata dalla Banca d’Italia, anche se estera o extracomunitaria. L’art. 116 del TUB disciplina la c.d. pubblicità: obbligo delle banche a pubblicizzare le condizioni economiche dei contratti bancari. Questo deve avvenire nei locali aperti al pubblico, ossia le filiali delle banche, dove può entrare chiunque indiscriminatamente. Le modalità attraverso le quali questa pubblicizzazione deve avvenire sono stabilite dal CICR di concerto con la Banca d’Italia. Il CICR individua un quadro generale e Bankitalia stabilisce le norme di dettaglio. Devono esserci avvisi chiari per tutti dove sono pubblicati i contratti bancari. Non bastano gli avvisi: devono essere disponibili al pubblico fogli informativi da portar via. Per certi tipi di contratti (finanziamento, mutuo e anticipazioni bancarie) c’è l’obbligo di consegnare ai clienti un “documento di sintesi”. Per venire incontro al cliente deve essere inserito anche l’indicatore sintetico del costo, che indica il costo complessivo.
Regime delle valute. E’ il sistema utilizzato per calcolare gli interessi, per verificare come devono maturare gli interessi. Il sistema delle valute è lo strumento usato dalle banche per verificare da quale giorno decorrono gli interessi. Gli interessi possono essere attivi (a favore del cliente) o passivi (quando il cliente è debitore di una somma alla banca). Sia per gli uni che per gli altri va stabilito il giorno da cui far partire il calcolo. Questo calcolo viene effettuato con il sistema delle valute (es.: interessi a credito con valuta dal giorno X). In questo modo le banche ci guadagnano. Per le valute ci sono due regimi. Un primo è il regime legale (art. 120 TUB): la valuta si calcola con riferimento al giorno stesso in cui l’operazione è fatta. Nel momento stesso in cui si compie l’operazione decorreranno gli interessi. Questa regola si applica quando in banca vengono versati contanti o quando vengono posti ad incasso assegni circolari emessi dalla stessa banca dalla quale vengono incassati oppure quando vengono posti ad incasso assegni bancari tratti dalla stessa succursale della banca presso cui si fa l’operazione. In questi tre casi, siccome la disponibilità delle somme è immediata e quindi non c’è nessun rischio, automaticamente la banca, se non dà subito il capitale a chi mette ad incasso l’assegno ma trattiene presso di sé l’assegno, su quella somma deve far decorrere gli interessi. La valuta si calcola con riferimento al giorno stesso in cui o si versa la somma o in cui si usano questi strumenti di pagamento (assegni circolari emessi dalla stessa banca, assegni bancari emessi dalla stessa succursale presso cui vengono posti ad incasso). Il tasso di interessi varierà a seconda dl tipo di accorto sorto tra le parti.
L’assegno circolare è quello che viene messo a fronte di un versamento di denaro. L’assegno circolare è necessariamente coperto. L’assegno bancario è una delegazione di pagamento. Incarico la banca di pagare a colui che presenterà l’assegno. In questo caso c’è un rapporto triangolare. C’è sempre il rischio che l’assegno bancario sia scoperto. Per l’assegno circolare invece il problema non si pone. Per questo motivo la cassazione ha ritenuto contrario a buona fede il rifiuto del pagamento fatto in assegno circolare. Nel caso in cui l’assegno circolare viene emesso dalla stessa banca presso cui viene posto ad incasso oppure, in caso di assegno bancario, viene messo all’incasso presso la stessa succursale, si ritiene che le due modalità siano equiparabili a quelle poste in essere quando si versa denaro contabile.
Quello appena detto è il regime legale. Per tutti gli altri casi (ossia per i casi di pagamento effettuato non con contanti, assegni circolari e assegni bancari con le loro peculiarità) ci si regola di volta in volta in base all’accordo fatto con la banca (regime convenzionale). Se si ha un conto corrente bancario e arriva una certa cifra o si versa un assegno (in modi differenti dai casi suddetti) non si ha per forza di cose immediatamente la disponibilità di quella somma. Il fatto stesso di fare oggi l’operazione non rende legittimati a disporre di quella somma. Bisogna sempre distinguere tra “annotazione in conto”, e la disponibilità di quei soldi. Non è detto che una somma, perché è annotata, allora è disponibile. Questo perché per la disponibilità va verificato qual è il regime di valuta concordato con la banca. Se tra le parti s’è deciso un regime di tre giorni, significa che solo dopo tre giorni è possibile ricevere quei soldi ricevuti nel conto. Il regime di valuta non sempre è a favore del cliente. Anzi, in genere la banca prima incassa e poi con calma dà la disponibilità. Questa è una delle condizioni economiche. Bisogna sempre distinguere il regime convenzionale da quello legale.
Forma dei contratti. Per i contratti è stabilito obbligatoriamente che debbano avere forma scritta (117 TUB). E’ una norma che può essere derogata solo in casi eccezionali. L’obbligo è talmente importante da valere ad substantiam, cioè a pena di nullità. Però la nullità produce effetti particolari. Bisogna vedere se il rientra o meno nel comma 7 del 117 del TUB che prevede che, quando non vengono rispettate le norme sulla forma si ha, più che la nullità dell’intero contratto, la sostituzione delle clausole contrattuali nulle con quelle legali. C’è poi l’obbligo di consegnare una copia del contratto al cliente. La conseguenza è o la risoluzione per inadempimento o si può chiedere un risarcimento alla banca oppure l’adempimento coattivo.
Il contenuto dei contratti bancari. Chiarita la forma, il contenuto è molto importante. Gli obblighi relativi al contenuto dei contratti bancari si riferiscono alle condizioni economiche. Cioè, le regole da osservare quando si parla di contenuto dei contratti bancari sono regole che impongono vincoli relativamente alle condizioni economiche (tassi, interessi, prezzi). Per condizioni economiche si intende quelle condizioni che hanno contenuto patrimoniale, che sono suscettibili di valutazione economica. Quelle condizioni devono essere necessariamente non solo redatte per iscritto ma devono anche intestare altri due vincoli: innanzitutto è vietato il rinvio agli usi (per qualsiasi aspetto economico non si può fare rinvio agli usi); inoltre è necessario che le condizioni economiche non siano peggiorative rispetto alle condizioni pubblicizzate. Nel caso in cui queste tre regole non sono rispettate (e si genera mancanza di forma scritta, rinvio agli usi, condizioni peggiorative rispetto alla pubblicità) in questi casi si avrà una sostituzione automatica delle clausole contrattuali poste con altre clausole. Questo lo prevede il comma 7 dell’art. 117: “In caso di inosservanza del comma 4 (indicazione delle condizioni patrimoniali) e elle ipotesi di nullità indicate nel comma 6 (rinvio agli usi o condizioni più sfavorevoli per il cliente di quelle pubblicizzate) si applicano: a) il tasso nominale minimo e massimo dei buoni ordinari del tesoro […] rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive; b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzate nel corso della durata del rapporto per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto”. Nel primo caso, per evitare uno squilibrio della banca, i tassi vengono stabiliti in base ai BOT. Per tutte le altre condizioni (tutto ciò che non è tasso di interesse) si applicano i prezzi della pubblicità, e se non c’è pubblicità, il cliente non deve nulla alla banca.
Art. 118: ius variandi (diritto di cambiare). La banca può modificare le condizioni economiche? Si. Al mutare del contesto economico in cui si opera è giusto che ci sia un adattamento. Però ciò è possibile non in modo arbitrario. La banca ha la facoltà di variare le condizioni economiche pattuite nel contratto bancario rispettando determinati limiti. Lo ius variandi non può essere esercitato arbitrariamente altrimenti sarebbe inutile raggiungere un accordo tra due parti. Se non vengono rispettate queste norme, la sanzione non è la nullità ma l’inefficacia. Se la banca modifica le condizioni economiche in maniera illegittima, le condizioni resteranno le stesse stabilite precedentemente, e l’operazione sarà inefficace (tamquam non esset, come se non fosse stata compiuta l’operazione). Le modifiche possono riguardare solo le condizioni economiche, cioè gli aspetti patrimoniali del contratto, non gli altri aspetti. Inoltre è necessario che si abbia a che fare con contratti di durata (ossia quei contratti la quale esecuzione è continuata nel tempo). Bisogna rispettare la regola del 1341 (clausola vessatoria, doppia sottoscrizione). Inoltre, pur essendo convenuto in questo modo, è necessario altresì che la banca vari le condizioni per un giustificato motivo. È necessario che il cliente ricevi un preavviso (o per iscritto o per un altro supporto durevole che il cliente abbia concordato). Il cliente deve ricevere l’informativa entro 30 giorni. Ha poi il diritto di recedere entro 60 giorni. Tutto questo deve avvenire senza spese per il cliente e applicando le condizioni economiche originariamente pattuite. Quando c’è un rapporto in cui il cliente ha bisogno della banca in questione, difficilmente interromperà il rapporto. Formalmente tutto è a posto, ma realmente c’è la difficoltà di accedere a un altro credito. Il nostro è un sistema banco centrico: tutto ruota attorno alle banche. Di fatto i deboli rischiano di restare in balia del potere bancario.
Comunicazioni periodiche alla clientela. La banca deve comunicare annualmente, in uno schema riepilogativo, qual è la situazione del cliente. In particolare, nei rapporti di conto corrente bancario, questa regola generale può essere modificata su richiesta del cliente che può pretendere che la comunicazione periodica (estratto conto) possa essergli inviata non con cadenza annuale ma con cadenza diversa. Per quanto riguarda l’approvazione dello schema riassuntivo, se il cliente non impugna l’estratto conto o la comunicazione entro 60 giorni, quelle voci della comunicazione faranno piena prova in caso di eventuale giudizio. Questa però non è una regola assoluta. Se la banca ha indicato un addebito e si dimostra che questo addebito è illegittimo, anche se sono passati 60 giorni, posso fare in modo che vengano fatti valere i miei giusti diritti. Così come nei contratti di conto corrente entro sei mesi dalla pubblicazione dell’estratto conto si possono sempre far valere errori materiali. Quindi, anche se è scaduto il tempo disponibile, se vengono impiegate norme sbagliate o ci sono errori materiali, posso sempre impugnare la comunicazione. Infine il cliente può ottenere entro 90 giorni dalla sua richiesta la copia delle documentazioni negli ultimi 10 anni. Le spese sono onere del cliente (per il TUB). Per il garante della privacy invece si ritiene che siano onere della banca.
Bancario Gen 10
Anatocismo
Fenomeno che si verifica allorquando vengono capitalizzati interessi su altri interessi. In maniera impropria viene definito “capitalizzazione degli interessi”. Gli interessi sono i frutti civili. In genere costituiscono la remunerazione che viene ottenuta dal titolare del capitale in seguito al godimento di quel capitale che viene assicurato ad un altro soggetto. Questa remunerazione (l’interesse) è un’obbligazione pecuniaria accessoria che si va ad aggiungere a quella principale, ossia la restituzione del capitale prestato. Per quanto riguarda gli interessi (da non confondere con quelli moratori), due sono gli interessi da approfondire: il tasso e le modalità di calcolo ed eventualmente la capitalizzazione degli interessi. Quando facciamo riferimento al tasso intendiamo la percentuale grazie alla quale gli interessi vengono calcolati. Ma non basta dire questo. Per gli interessi è importante sapere se è possibile o meno la loro capitalizzazione. Fermo restando che gli interessi devono essere pagati, bisogna anche vedere se questa somma può o meno essere assimilata all’obbligazione principale, cioè il capitale. Se devo dare il 5% di tasso su 100, devo pagare al creditore 105, cioè 100+5. Se questi 5, anziché essere conteggiati a parte, vengono sommati al capitale, si forma il c.d. montante. Il montante consiste nella somma del capitale dovuto e degli interessi scaduti. Una volta scaduti, bisogna vedere se possono o meno capitalizzare. Nel caso in cui questa capitalizzazione, cioè questa assimilazione degli interessi al capitale avvenga, si parla di anatocismo. Con l’anatocismo non si fa altro che calcolare gli interessi su altri interessi. La parola ‘anatocismo’ viene dal greco ana-tokoV, cioè “senza usura”. L’anatocismo è stato sempre vietato proprio perché si ritiene che possa provocare usura. Anche se ci sono interessi bassi, con la loro capitalizzazione c’è il rischio di raggiungere l’usura. Ecco perché l’anatocismo e l’usura sono per certi versi connessi. Ecco perché l’anatocismo è sempre stato visto con sfiducia. La chiesa originariamente vietava addirittura il prestito con interessi; poi, con l’aumento dei mercati, ha ritenuto sbagliati gli interessi alti. Comunque esiste questo atteggiamento negativo. Non a caso le norme contrarie all’anatocismo in Italia sono state introdotte solo nel 1942. I codici dell’Ottocento non vietavano l’anatocismo. Erano caratterizzati da una impostazione capitalistica. Col codice civile del 1942 si è cercato anche di contemperare queste esigenze di libertà anche con la tutela delle esigenze della persona. Quando c’è anatocismo la capitalizzazione è definita composta, perché gli interessi si sommano al capitale. Quando non c’è anatocismo, quando gli interessi non si sommano al capitale, si parla di capitalizzazione semplice. Il divieto sancito dal nostro codice all’art. 1283 è derogabile sono in tre casi:
1) usi contrari
2) domanda giudiziale
3) accordo posteriore alla loro scadenza
L’anatocismo diventa legittimo se in quel settore esistono usi, oppure quando, scaduti gli interessi, la banca, non essendo stata pagata, propone una domanda giudiziale, cioè esercita un’azione davanti al giudice, oppure, in ultimo, quando si raggiunge un accordo tra banca e debitore dopo che sono maturati gli interessi. Nell’ambito dei rapporti bancari e soprattutto di conto corrente, normalmente, non c’era nessuna delle due ultime fattispecie. Gli interessi venivano aggiunti al capitale indipendentemente dalla domanda giudiziale o da un accordo posteriore. Man mano che maturavano, ogni tre mesi, la banca prendeva gli interessi e li sommava al capitale. Così si favoriva un’azione usuraia. Ciò è stato ritenuto legittimo per oltre 50 anni perché si riteneva che ci fosse l’uso. Le banche dicevano che l’anatocismo era legittimato da uso normativo. Tutto questo è andato avanti tranquillamente per oltre 50 anni fino al 1999. Nel 1999 per la prima volta, con una sentenza del 16 marzo, subito confermata da altre due sentenze, la cassazione ha detto che l’anatocismo è vietato anche nei rapporti bancari, anche nei contratti di conto corrente bancario (nel computo dei passivi la cadenza era trimestrale). Viceversa, per gli interessi attivi, gli interessi venivano calcolati con cadenza annuale. Questa era la prassi. Il cambiamento di giurisprudenza ha creato molti problemi. C’è stato un aumento esponenziale delle cause. Una volta dichiarata nulla la clausola con cui, nei contratti di conto corrente, si stabiliva l’anatocismo, s’è iniziato a chiedere anche il rimborso degli interessi ricevuti dalla banca nel passato. Subito dopo, nell’agosto del ’99, il governo di allora ha emanato il c.d. “decreto salva banche” 342/’99. In esso si stabiliva la par condicio tra banche e clienti. Non ci potrà essere più un trattamento differenziato tra interessi attivi e interessi passivi: dovranno essere capitalizzati con la stessa cadenza (non più con cadenza trimestrale a favore delle banche e annuale a favore dei clienti). Il CICR ha dato attuazione a questo decreto l’anno successivo: s’è stabilito che dal 22 aprile 2000 tutti i contratti di conto corrente avrebbero dovuto prevedere la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia attivi che passivi. Per i contratti stipulati prima del 22 aprile 2000 c’è in primis l’obbligo di adeguarsi dal 1 luglio 2000. E per gli interessi attivi e passivi maturati nel passato? Mistero. La norma è stata impugnata ed è stata dichiarata in parte incostituzionale con una sentenza della corte costituzionale che ha parzialmente cassato questo decreto salva banche. La corte costituzionale ha accettato la par condicio, però ha dichiarato che per il passato quella norma non è legittima. Con la espunzione di parte di questa norma dall’ordinamento si è tornati al punto di partenza. Cosa bisognava fare nei contratti sorti in essere prima del 22 aprile 2000? Alcuni erano per il risarcimento, altri contro. Oggi siamo nel 2008 e ancora non è stato deciso. Per risolvere questo problema s’è resa necessaria nel 2004 interviene addirittura la cassazione a sezioni unite. Siccome non si sapeva se si dovesse applicare quella nullità ai contratti precedenti il 22 aprile del 2000, la cassazione ha stabilito questo principio: potestà retroattiva per le clausole bancarie anatocistiche. Non solo per il futuro si stabilisce la par condicio ma anche per il passato. Anche per il passato l’anatocismo trimestrale non è possibile. Però non si sa ancora quale cadenza deve essere applicata per la capitalizzazione. Questo è un problema presente in ogni causa. Ci sono giudici che dicono che alla capitalizzazione trimestrale debba essere sostituita la capitalizzazione semplice (orientamento meno favorevole alle banche). C’è chi dice di utilizzare la capitalizzazione annuale (orientamento che tiene conto del decreto della par condicio). C’è un ultimo orientamento che propone la capitalizzazione semestrale. Il problema principale è verificare se ci sia o meno un uso normativo. Ancora oggi c’è chi dice che ci sia un uso normativo. Un uso normativo è una consuetudine. Non è né un uso negoziale né interpretativo. Siccome la norma 1283 è considerata una norma cogente significa che non può essere derogata in base ad accordo tra le parti. L’eventuale deroga può avvenire solo con forma scritta o orale con uso normativo. Affinché ci sia uso normativo c’è bisogno dell’opinio iuris e dell’usus. L’usus è la generale e costante e uniforme ripetizione di un comportamento da parte o della generalità dei consociati o da parte di un gruppo ben qualificato. L’opinio iuris ac necessitatis è la convinzione di adempiere ad un obbligo giuridico. Chi pone in essere quel comportamento lo fa credendo di realizzare un precetto giuridico. Non è credibile che i clienti si adeguino a quelle norme essendo convinti di adempiere ad un obbligo giuridico. Lo fanno solo per accedere al credito. Si è negata l’esistenza dell’uso normativo perché non c’è l’opinio. Buona parte della dottrina ha negato che per l’esistenza di un uso normativo sia necessaria anche l’opinio. L’opinio iuris sarebbe un elemento inutile: se devo dimostrare l’esistenza di una norma provando che colui che l’ha attuata era convinto di adempiere a una norma, devo, prima di dimostrare l’esistenza della norma stessa, già provare che qualcuno sapesse che la norma esistesse. E’ come se la norma dovesse preesistere: quindi c’è una contraddizione. E comunque, nel caso in cui ci si trova davanti a interpretazioni dubbie, c’è sempre la giurisprudenza. In cinquanta anni la giurisprudenza ha sempre espresso la stessa tendenza.
Dal 2003 si è aperto un nuovo fronte che riguarda i rapporti di mutuo. Fino al 2003 le uniche pronunce contrarie all’anatocismo riguardavano i rapporti di conto corrente. Ma tra i vari contratti bancari c’è anche il mutuo (prestito di somma da restituire con interessi). La restituzione del denaro dovuto dal mutuatario alla banca avviene con il “piano di ammortamento di restituzione”. Normalmente viene allegato lo stesso contratto di mutuo. Le famose rate costituiscono un piano di ammortamento, un programma da rispettare. Queste rate sono composte da una quota capitale (parziale restituzione del capitale ricevuto) e da una quota interessi (parziale pagamento degli interessi intesi come corrispettivo per il godimento del capitale). Se dovessi solo restituire il capitale il problema non ci sarebbe. Ci sarebbe un contratto gratuito. Invece il mutuo è un contratto oneroso. Nel contratto di mutuo deve essere pattuito anche il tasso (fisso, variabile). Se una volta scaduta la rata non viene pagata il cliente è in ritardo e va in mora. La banca, su quella rata (complessiva di due quote) potrà pretendere gli interessi moratori. Bisogna scindere tra interessi moratori (di ritardo) e interessi della rata (remunerativi). Si creano quindi interessi su interessi. Su quella somma gli interessi moratori si calcolano sull’intera somma (le due quote) o solo sulla quota capitale? Per tanti anni, come per il conto corrente, tutto è andato bene. Scadeva la rata, e gli interessi moratori si pagavano sull’intera rata. Nel 2003 è stata depositata una sentenza della cassazione che ha affermato che anche per i mutui si applica il divieto di anatocismo di cui al 1283. Se il mutuante (banca), scaduta la rata, calcola gli interessi moratori sull’intera somma (anche sugli interessi) si verifica un fenomeno anatocistico vietato e pertanto questo calcolo è illegittimo. Questa sentenza è stata emanata in relazione ai mutui ordinari. I mutui si distinguono in mutui ordinari e mutui speciali (tra cui quelli speciali). Per i mutui speciali c’è sempre stata, dall’entrata in vigore del TUB, una normativa che autorizzava questa forma di anatocismo. C’era un regio decreto del 1905 che autorizzava, per il mutuo fondiario, l’anatocismo. Nel caso di mancato pagamento sull’intero importo andavano computati gli interessi moratori. Nella delibera CICR del 2000 per gli accordi con piano di rimborso rateale (mutui compresi) se le parti pattuiscono questo calcolo (anatocistico) allora il calcolo è permesso. Ma la delibera CICR è entrata in vigore nel 2000. Per tutto ciò che è accaduto prima non si sa che fare. Dal 22 aprile in poi per tutti i tipi di mutuo basta verificare se nel contratto c’è questa norma: se c’è la delibera autorizza deroghe al 1283 e tutto va bene. Per i mutui precedenti al 22 aprile 2000 bisogna distinguere tra mutui fondiari e ordinari. Per i mutui ordinari non c’era una norma derogatoria, quindi si dovrebbe applicare il divieto di cui al 1283. I mutui fondiari precedenti al 1 gennaio 1994 erano coperti dal regio decreto. Per i mutui fondiari stipulati tra il 1 gennaio 1994 e il 21 aprile 2000 c’è un vuoto normativo. Quale regola va applicata? Il problema è ancora presente. Il prof. ritiene che ci sia un uso normativo centenario. Quindi in quel lasso di tempo bisognerebbe applicare la stessa norma precedente al 1994. Dal 22 aprile 2000 in poi per tutti i tipi di mutuo (fondiari compresi) il calcolo di interessi moratori sugli interessi della rata è permessa solo se nel contratto è presente una clausola ad hoc.
Normativa antiriciclaggio
E’ una normativa entrata in vigore nel 1991 per ragioni legate al contrasto della criminalità. Con questa normativa si vuole evitare che il denaro dedotto da attività illecite venga trasferito o riciclato. Anche rispetto all’attività bancaria è necessario che vengano rispettate delle regole per evitare che l’attività di riciclaggio venga favorita. La legge di riferimento è la 197/’91. Come regola generale la legge dice che sono vietati i trasferimenti di contanti superiori a 12'500 euro. E anche se si voglia pagare in assegno, gli assegni superiori ai 12'500 euro devono indicare il beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Di tutte le attività superiori a 12'500 euro è necessario che resti una traccia (necessità di tracciabilità). Per far circolare tali somme, queste devono esser fatte passare attraverso i c.d. intermediari abilitati. Quella cifra non può quindi passare da privato a privato senza clausola di non trasferibilità. Tra gli intermediari ci sono anche le banche. Ecco perché l’attività delle banche è sottoposta ai vincoli derivanti dalla normativa antiriciclaggio. Le banche hanno l’obbligo di identificazione del cliente quando il cliente vuole versare o prelevare somme superiori ai 12'500. Ogni persona che effettua un’operazione maggiore a 12'500 euro viene registrato. In tutti i casi in cui una persona fisica o giuridica vuol stabilire con la banca un rapporto contrattuale continuativo, anche qui c’è l’obbligo di certificazione. Se indico il beneficiario, essendo cogente la clausola di non trasferibilità, non potrà esserci la c.d. girata. la clausola di non trasferibilità obbliga a compiere il passaggio di denaro attraverso una banca. Per i libretti al portatore (legittimato ad incassare per il semplice fatto di possedere quel libretto), data a facilità di circolazione del denaro tramite questo strumento, è stabilito un ulteriore limite. Sul libretto al portatore non c’è il nominativo. La legge ha stabilito che questo tipo di libretti possono avere un saldo massimo non superiore a 12'500 euro. Un altro obbligo per le banche è quello relativo alla c.d. segnalazione di operazioni sospette. Se le operazioni, per la loro tipologia e frequenza, fanno sorgere il sospetto che siano attività collegate a un meccanismo di riciclaggio, allora obbligano l’addetto allo sportello a segnalarle al responsabile della banca, il quale potrà segnalare, se lo crede opportuno, all’UIC.
CONTRATTI BANCARI
La categoria non è disciplinata solo dal codice civile. Con il c.c. sono stati disciplinati per la prima volta nel 1942 i contratti bancari. Prima si andava avanti con usi o con le condizioni contrattuali che le banche imponevano ai clienti. Per garantire una disciplina uniforme, per la prima volta sono stati introdotti questi contratti. Ma questi sono molto pochi. La prassi bancaria ha affermato che bisogna andare oltre quelle poche norme contemplate dal c.c. Il TUB ha detto che le banche possono svolgere non solo attività bancaria ma anche altre attività finanziarie e attività strumentali e connesse. Le banche non si limitano a svolgere quei contratti contemplati dal codice civile. Il conto corrente non è disciplinato tra quelle norme, sebbene sia uno dei più diffusi contratti bancari. L’attività bancaria tipica si sviluppa con la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’erogazione del credito.
Vediamo ora i contratti per la raccolta del risparmio. Essi sono quei contratti tesi a reperire denaro nei confronti di una serie indeterminata di persone (raccolta in incertam personam). Questa attività deve essere necessariamente in un rapporto funzionale con l’altra attività di erogazione del credito, altrimenti non siamo in presenza di attività bancaria (attività di intermediazione per la circolazione della moneta).
Deposito bancario. Bisogna distinguere vari tipi di deposito. Il più importante è il deposito classico di contanti. Si tratta di un contratto reale, ovvero che si perfezione con la consegna della res. Configura un’operazione bancaria passiva, con le quali la banca diventa debitrice nei confronti del cliente. Le modalità di restituzione sono due: a vista o a tempo. Nel momento in cui il depositante deposita il denaro, la banca acquista la proprietà di quel denaro e si obbliga a restituire la stessa quantità di quel tipo di valuta. Il tutto maggiorato con degli interessi. Gli interessi variano in base alla modalità di restituzione. Nei depositi a vista il depositante ha il diritto di richiedere senza alcun preavviso (o al limite con un preavviso di 24 ore) la restituzione totale o parziale della somma depositata. In questo caso il tasso di interesse è minore. Nel deposito a tempo il deposito è vincolato. Potrà essere restituita la somma solo ad una certa scadenza pattuita oppure dopo che sia passato un lungo preavviso. In questo caso è più penalizzato il cliente, e quindi gli interessi che a lui andranno saranno maggiori. Nel primo caso la funzione è di custodia. Nel secondo caso la funzione è di investimento. Nel deposito ordinario o semplice non vi è l’emissione di un libretto. C’è solo una ricevuta di cassa data dalla banca al cliente il quale a vista o a tempo potrà ritirare l’intera somma. Non potrà fare prelievi parziali né fare altri versamenti per aumentare la somma. Inutile dare un libretto dove annotare variazioni. Diverso è il caso del deposito a risparmio o fruttifero. In questo caso al depositante viene consegnato il libretto di deposito a risparmio (a volte chiamato “libretto di deposito” o “libretto di risparmio”). Il cliente depositante potrà a vista o a tempo fare prelievi parziali sia versamenti, che verranno annotati sul libretto. Nel deposito in conto corrente, mentre i versamenti avvengono per sempre per cassa, con annotazione sul libretto, i prelievi possono essere effettuati sia andando in banca con il libretto sia emettendo assegni. Nel caso di emissione di assegni, l’annotazione di quel prelievo attribuisce la somma a qualcuno, in pratica diventa un prelievo. Siccome l’assegno è emesso fuori dalla banca, quel prelevamento verrà annotato sul conto corrente. C’è una contabilizzazione extra-libretto. Questa è la particolarità.
Quando passiamo dalle forme di deposito ai tipi di libretto ci riferiamo essenzialmente alla seconda figura: libretto di deposito a risparmio (riferito al deposito a risparmio o fruttifero). Fra i vari tipi di libretto c’è:
- il libretto nominativo. C’è il nome dell’intestatario, cioè dell’unico soggetto legittimato a prelevare. La natura nominativa del libretto fa sì che diventi un vero e proprio titolo che legittimi solo l’intestatario a riscuotere.
- il libretto al portatore (chiamato anche pagabile al portatore). Non c’è nessuna intestazione. Può incassare il semplice possessore. Chiunque si reca in banca, esibendo il libretto, può prelevare l’intera somma. Se si trova un libretto al portatore perso e si va in banca a riscuotere, la banca è esonerata salvo dolo o colpa grave. In una piccola filiale di un piccolo paese gli sportellisti non possono non conoscere il possessore di quel libretto, per cui, in caso di diverso portatore, se concedessero il compimento dell’operazione sarebbero sicuramente in dolo o colpa grave. E’ opportuna la diligenza del bonus argentarius (ossia la diligenza qualificata del buon bancario). Diverso è il caso di una grossa filiale di una metropoli.
- il libretto nominativo pagabile al portatore. La natura è sempre quella del libretto al portatore, però c’è anche un nominativo. Normalmente chi lo esibisce può incassare, però, a differenza del caso del libretto al portatore, siccome è anche nominativo, la banca può chiedere al semplice possessore la causa che lo autorizza ad incassare. Se incassa la moglie dell’intestatario del libretto non ci sono problemi. Ma se ad incassare si presenta uno sconosciuto, il bancario dovrebbe chiedere il motivo che autorizza ad incassare.
- il libretto al portatore con indicazione di un nome o in un altro modo contrassegnato. Questo non è un libretto nominativo. C’è solo l’indicazione, non l’intestazione. Oppure compare un logo (ad es. di una società). In questo caso il libretto rimane del portatore. Il nome o il contrassegno servono solo a individuare il documento, ma non il soggetto che può incassare. Anche se c’è nome o contrassegno, il portatore rimane autorizzato a incassare. Se viene perso questo tipo di libretto si viene subito a sapere di chi sia. Non è però un libretto nominativo, perché è la stessa banca che intesta il libretto. In questo caso l’indicazione del nome non serve a individuare l’intestatario, ma semplicemente la provenienza del documento. Resta comunque un documento al portatore.
La funzione del libretto è documentare i movimenti e anche fa piena prova tra le parti dei movimenti effettuati. L’art. 1835.2 dice: “Le annotazioni sul libretto, firmate dall’impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti tra banca e depositante”. Basta che l’impiegato appaia addetto alla banca e le annotazioni fanno piena prova.
Prelievi nel deposito bancario cointestato. Se il deposito bancario è cointestato significa che i soggetti intestatari sono più di uno. Se è semplice o a firma congiunta significa che è necessario che tutti partecipano affinché si possa prelevare. Se è solidale o a firma disgiunta basta la partecipazione di uno dei contestatari per effettuare i prelievi. Questa regola vale solo per i prelievi, non per i versamenti. Nel deposito cointestato solidale ci si fida. Si applica la regola delle obbligazioni solidali: il pagamento di uno solo dei debitori solidali libera il creditore (la banca) anche nei confronti degli altri, che se la vedranno tra di loro. Salvo diversa pattuizione tutte le operazioni si effettuano presso la succursale della banca.
Deposito di titoli in amministrazione (art. 1838). Il deposito può avere ad oggetto anche i titoli in amministrazione (azioni, obbligazioni etc.). In questo caso la banca si assume un duplice obbligo: non solo custodire i titoli ma anche amministrarli. E’ necessario un quid pluris rispetto al deposito normale. Se il deposito è in amministrazione la banca deve custodire e gestire quei titoli. In ipotesi di semplice custodia la banca deve comune conservare il valore economico del titolo lasciato in custodia. Non tutte le attività del deposito dei titoli in amministrazione, ma un minimum consistente nel mantenimento del valore economico.
Obbligazioni bancarie. Altro strumento per raccogliere denaro sono le obbligazioni bancarie (attività passiva per la banca). Sono titoli di credito, cioè documenti grazie ai quali colui al quale vengono rilasciati acquista un credito nei confronti della banca emittente. La banca emette obbligazioni a medio o lungo termine (almeno 18 mesi). Posso incassare la somma maggiorata non prima di 18 mesi. In questo caso la banca raccoglie risparmio. Per quanto riguarda la disciplina, bisogna distinguere tra obbligazioni non convertibili o a convertibilità indiretta e obbligazioni a convertibilità diretta. Le obbligazioni possono essere o incassate o convertite in azioni. Le azioni sono quote di proprietà. Da semplice creditore divento comproprietario di una società. Se l’obbligazione non è convertibile oppure è convertibile in azioni non della banca ma di un’altra società, si applica la disciplina derogatoria, più elastica di quella del c.c. Se invece le obbligazioni bancarie sono a convertibilità diretta (se si può convertire le obbligazioni in azioni della stessa banca) allora si rientra nell’ambito della disciplina più rigida del c.c.
Titoli di deposito. In questa categoria rientrano varie figure: certificati di deposito, buoni fruttiferi. Sono documenti grazie ai quali, depositando una certa somma alla banca, si acquista il diritto di ottenere la restituzione della somma maggiorata. La durata è a medio o breve termine (minimo tre mesi; massimo 5 anni). Chi deposita questo denaro ha interesse a recuperare subito la somma. Si differenziano dalle obbligazioni per la durata, ma non solo; mentre le obbligazioni vengono emesse in serie, in massa, i titoli di deposito servono per piccole raccolte, individuali. L’operazione dei titoli di deposito è singolare, non di massa. La differenza con i libretti di deposito è che in questi ultimi si possono fare continui prelievi e versamenti per molto tempo, nei titoli di deposito invece no. Alla scadenza dei titoli si può riscuotere solo l’intera somma maggiorata. Non ci sono prelievi nel corso del rapporto.
Prestiti. Possono essere subordinati e irredimibili. Il cliente dà denaro alla banca. La banca diventa debitrice. Sono figure analoghe ma non coincidenti. Sia per i subordinati che per gli irredimibili c’è la clausola di postergazione. Se prima della scadenza ci sono problemi (la banca va in liquidazione o si apre una procedura concorsuale) il finanziato corre un rischio. Potrà recuperare quei soldi solo dopo che sono stati soddisfatti i creditori della società a cui ha prestato i soldi. E’ un contratto aleatorio. Il recupero della somma non è certo. Nel caso di prestiti irredimibili c’è sempre la clausola di postergazione, però il debitore è più agevolato. Se si trova in difficoltà, può sospendere il pagamento degli interessi, e inoltre può utilizzare il finanziamento anche per coprire le perdite.
Contratti pronti contro termine. Il cliente vende alla banca a pronti (cioè ad un prestito determinato subito e subito pagato) una certa quantità di titoli con l’obbligo di riacquisto ad una data scadenza e ad un prezzo predeterminato maggiore a quello di acquisto. C’è una doppia compravendita. La funzione è favorire una remunerazione a chi si priva di questi titoli.
Cambiali finanziarie. Esistono ma non vengono usate. Temporaneamente alle banche non è concessa l’emissione di cambiali finanziarie. Sono state autorizzate solo le SIM.
SERVIZIO DELLE CASSETTE DI SICUREZZA
Non è un vero e proprio contratto bancario. E’ stato inserito nei contratti bancari perché nel 1942 le cassette di sicurezza erano gestite dalle banche. E’ un servizio accessorio rispetto all’attività tipica delle banche. Viene svolto dalle banche perché esse sono dotate di strutture idonee a garantire questo servizio. Le banche hanno due compiti: predisporre locali idonei e custoditi (caveau), garantire l’integrità esteriore della cassetta. Le banche non devono sapere neanche cosa è contenuto nella cassetta. La camera predispone camere corazzate. C’è una doppia chiave: una resta alla banca e l’altra la tiene il cliente. Quando il cliente si presenta con il tesserino identificativo, la banca inserirà la sua prima chiave, la chiave di passo, che da sola non basta ad aprire la cassetta, a cui si aggiungerà la chiave del cliente. In assoluta segretezza il cliente può autonomamente fare ciò che vuole. La banca deve solo garantire locali idonei e la custodia del contenuto. La natura giuridica non è né di deposito, né di locazione. Questo contratto tipico ha funzione propria che deriva dalla custodia e dalla collaborazione (seconda chiave). La banca si può liberare dalla responsabilità se c’è un danno solo se prova il caso fortuito, cioè la vis maior cui resisti non potest, un evento imprevedibile e inevitabile. Anche in caso di infedele vigilanza risponde la banca per responsabilità oggettiva. Se c’è una clausola limitativa della responsabilità, normalmente è considerata una clausola nulla perché viola l’art. 1229.
Bancario Gen 17
Con provvedimento di poco tempo fa la soglia antiriciclaggio viene abbassata a 5'000 euro.
I CONTRATTI PER L’EROGAZIONE DEL CREDITO
Abbiamo visto che l’attività bancaria si sostanzia con due funzioni principali: raccolta di risparmio tra il pubblico; erogazione del credito. Sono attività rispetto alle quali deve essere necessariamente una connessione di tipo funzionale. La banca, con i proventi della raccolta pubblica di denaro, eroga il credito. Abbiamo già visto i contratti per la raccolta del risparmio tra il pubblico. Adesso vediamo i contratti per l’erogazione del credito (operazione attive per la banca).
Mutuo. Abbiamo precedente accennato al mutuo con l’anatocismo. Abbiamo distinto tra mutui ordinari e mutui fondiari (che rientrano nella specie dei mutui speciali). Il mutuo ordinario è disciplinato dal c.c. E’ un contratto tipico. Non è un contratto esclusivamente bancario, sebbene venga posto in essere soprattutto dalle banche. Il mutuo è quel contratto mediante il quale una parte, il mutuante, consegna all’altra, mutuatario, una certa quantità di denaro o beni fungibili con l’obbligo di restituire beni della stessa specie, maggiorata di interessi. Art. 1813: “Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità”. Un altro elemento è la natura reale del contratto: si perfeziona con la consegna della res. Vi sono delle figure di mutuo particolare rispetto alle quali si può sostenere che la natura reale venga meno, però la regola principale rimane sempre quella detta prima. Un esempio di mutuo particolare è la promessa di mutuo, che non è altro che un contratto preliminare di mutuo. Con esso tizio si impegna a concedere una certa somma a Caio in futuro. E’ una semplice promessa. Il carattere reale non è presente nemmeno nel mutuo fondiario. Il TUB parla di un’erogazione successiva alla conclusione, facendo capire che le parti possono prima concludere il contratto, poi materialmente passare il denaro. Altro esempio è il mutuo di scopo: il mutuo viene erogato proprio per uno scopo ben determinato e rilevante che entra nello schema causale del contratto. Normalmente il motivo del contratto non rileva. Nel caso del mutuo di scopo invece sì. Il mutuante infatti ha la possibilità di ordinare la verifica del compimento di alcune attività, risolvere il contratto quando non è stato raggiunto lo scopo. C’è una rilevanza della causa sul negozio.
Restituzione della somma mutuata. La restituzione del mutuo (ordinario) può avvenire in unica soluzione o ratealmente. In questo caso il mancato pagamento di una rata legittima il mutuante a chiedere la restituzione dell’intero (ex art. 1819). Si verifica di una delle ipotesi di decadenza dal beneficio del termine. Questa comunicazione di decadenza dal punto di vista pratico comporta la risoluzione. Il termine può essere pattuito dalle parti o, in mancanza di accordo, è stabilito dal giudice.
Gli interessi. Gli interessi costituiscono una delle due componenti che rilevano ai fini della restituzione. Bisogna distinguere gli interessi corrispettivi/compensativi da quelli moratori. Gli interessi corrispettivi/ compensativi hanno la funzione di remunerare chi ha prestato la somma; gli interessi moratori hanno funzione risarcitoria per la mora.
Tasso degli interessi. Il tasso è la percentuale, la misura dell’interesse. Il tasso è può essere fisso, variabile o misto. In quello misto una parte della percentuale è fissa, un’altra parte è variabile. La restituzione della somma avviene in base a un piano chiamato “piano di ammortamento”, formato dalle rate. Ogni rata è composta da una quota capitale e una quota interessi. Esistono molti tipi di ammortamento. Il caso più ricorrente è quello in cui le rate sono fisse, come importo totale. Poi all’interno varia la percentuale di interessi e capitale. Il mutuo rientra nell’elenco di contratti bancari dell’art. 117 del TUB: c’è quindi l’obbligo di forma scritta. Bisogna integrare questo obbligo con gli obblighi generali del c.c., come il 1284 (determinazione del saggio di interesse). Gli interessi possono essere legali o convenzionali. Il tasso (o saggio) legale è attualmente al 2,50%. Se le parti vogliono far sì che al creditore spetti un tasso superiore a quello legale, bisogna tener presente che gli interessi devono essere pattuiti espressamente per iscritto, altrimenti si applicherà il tasso legale. La forma scritta è necessaria, ma occorre rispettare anche la normativa antiusura. In Italia, prima della legge 108/’96, si consideravano i tassi usurai a seconda delle circostanze. Questo ha creato problemi e disparità. Dal ’96, per stabilire se un tasso è usuraio, bisogna rispettare dei parametri matematici ben precisi. Questi tassi vengono fissati che bisogna far riferimento ai c.d. tassi soglia. I tassi soglia sono i tassi limite, il limite superato il quale si entra in usura. Per stabilire se c’è questa violazione, ogni tre mesi il Ministero dell’economia e finanze, con decreto, emana le tabelle nelle quali fissa i tassi effettivi globali medi (TEGM). Il ministero stabilisce per ogni operazione qual è il tasso mediamente praticato tra tutte le operazioni creditizie del precedente trimestre. Questo è il parametro da prendere in considerazione per calcolare il tasso soglia. Il tasso soglia è il 150% del TEGM. Se il TEGM è 10, il tasso soglia è 15. Fino al 15 non c’è usura. In caso di tasso usurario per i mutui c’è una sanzione molto grave prevista dall’art. 1815.2: “Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. Parliamo sia di tutti gli interessi (corrispettivi/compensativi e moratori). La legge 108/’96 non ha previsto però norme transitorie. Per il passato come si deve agire? La legge è entrata in vigore nell’aprile 1997. Fino al marzo 2007 poteva essere stato stipulato un contratto di mutuo con un tasso superiore al tasso soglia. In questi casi si è configurata l’usura sopravvenuta: un contratto regolare al momento della stipula è diventato usuraio con la modifica legislativa. In questi casi (parliamo di contratti a tasso fisso, non di quelli variabili che si adeguano alle tabelle) alcuni hanno detto che non andava applicata la legge 108/’96; altri hanno detto che non si doveva applicare nessun interesse; altri ancora hanno detto che si doveva abbassare l’interesse usuraio al tasso soglia. Per risolvere questo problema è intervenuto il legislatore con la legge 24/2001, stabilendo che per le rate dei mutui che dovevano scadere a partire dal 31 dicembre 2000, ove queste rate avessero previsto il pagamento di interessi superiori ai tassi soglia nel frattempo entrati in vigore, questi tassi usurari sarebbero stati sostituiti da un tasso di sostituzione del 9,66% (vicino al tasso soglia). Il legislatore ha inoltre detto che, per stabilire se un tasso è usuraio o meno, bisogna vedere se nel momento in cui è stato pattuito violava o meno il tasso soglia di riferimento. Se nel momento in cui è pattuito l’accordo l’interesse è lecito, rimane lecito per tutta la durata del rapporto. Ciononostante i problemi persistono.
Mutui speciali. Chiamati così perché godono di una disciplina speciale che deroga a questa disciplina o perché il mutuo ha uno scopo particolare. Mutuo fondiario. L’art. 38 del TUB afferma: “Il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili”. La durata del mutuo deve essere almeno di 18 mesi (medio o lungo termine), altrimenti non si può parlare di mutuo fondiario. L’importo del finanziamento va stabilito facendo riferimento al valore del bene sul quale viene scritta ipoteca. Non può essere concessa un credito se non nei limiti dell’80% del valore del bene ipotecato. Se per ottenere un credito fondiario, concedo ipoteca su un bene che vale 100, il credito massimo potrà essere pari a 80. Si può derogare a questo limite se, oltre all’ipoteca, vi siano delle garanzie aggiuntive (altre ipoteche o pegni). La regola generale è che non solo ci deve essere ipoteca sui beni immobili, ma che quell’ipoteca deve essere di primo grado. Il grado serve per stabilire il creditore che per primo deve soddisfarsi del bene. L’ipoteca richiesta deve essere di primo grado. La regola può essere derogata solo nel caso in cui i crediti residuino in misura inferiore all’80% del bene su cui grava l’ipoteca. L’ipoteca può essere di grado secondo o inferiore ancora se il credito residuo è inferiore all’80% del bene ipotecato. Nel mutuo fondiario ci sono norme speciali che avvantaggiano il mutuante e il mutuatario. Il mutuante viene avvantaggiato in sede fallimentare. Tutti i creditori sono posti normalmente sullo stesso piano. Se il fallito ha compiuto degli atti pregiudizievoli, entro certi limiti questi atti possono essere revocati. La revocatoria viene molto limitata se il credito è fondiario: dopo solo 10 giorni non sono revocabili pagamenti verso il mutuante. La banca è favorita dal punto di vista del procedimento esecutivo. Per iniziare il procedimento esecutivo è necessario il titolo esecutivo. La notifica del titolo non è necessario per il credito fondiario. Questo è un vantaggio. Anche il mutuatario ha vantaggi. Può estinguere anticipatamente il debito mediante il pagamento di una somma prima che scade l’ultima rata. Se è stata concessa l’ipoteca su due immobili, dopo il pagamento della metà del debito posso cancellare un immobile dall’ipoteca. Nel mutuo ordinario basta non pagare una rata il creditore può pretendere il pagamento di tutti i debiti immediatamente. Nel contratto di mutuo fondiario, per far decadere il mutuatario dal diritto di beneficio del termine, non basta un ritardo qualsiasi, ma è necessario che il ritardo sia almeno di 30 giorni e chi ci siano almeno 7 ritardi. Solo in questo caso la banca potrà chiedere tutti i soldi. In alcuni casi potrebbe essere vantaggioso convertire un mutuo ordinario in mutuo fondiario. Credito alle opere pubbliche. E’ un caso di credito di scopo. Art. 42 TUB: “Il credito alle opere pubbliche ha per oggetto la concessione, da parte di banche, a favore di soggetti pubblici o privati, di finanziamenti destinati alla realizzazione di opere pubbliche o di impianti di pubblica utilità”. I beneficiari possono essere pubblici o privati. Le finalità devono essere di interesse pubblico. Questa finalità è presunta se il beneficiario è un soggetto pubblico: se il beneficiario è un privato la finalità deve essere invece espressa. Gode di una disciplina speciale. Si applicherà la disciplina del credito fondiario. Credito agrario e peschereccio. Art. 43: “Il credito agrario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati alle attività agricole e zootecniche nonché a quelle connesse o collaterali. Il credito peschereccio ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati all’attività di pesca e acquacoltura, nonché a quelle connesse o collaterali”. Si vuole aiutare i settori agricoli e della pesca. Sono attività che a volte possono anche presentare rischi notevoli (rischio natura). Vengono concessi a tassi non elevati perché le banche vengono assistite da una garanzia: l’istituto ISMEA. La particolarità è che questi crediti godono di un privilegio legale speciale sui mobili elencati all’art. 44 TUB. Nel caso in cui la banca debba recuperare il credito perché il debitore non paga, potrà esercitare un’attività di recupero senza dover passare per l’autorità giudiziaria. Se i beni dell’art. 44 non erano sufficienti a recuperare tutta la somma, la banca potrà usufruire del fondo dell’ISMEA, finanziato dalle stesse banche. Credito alle imprese. Art. 46 TUB: “La concessione di finanziamenti a medio e lungo termine da parte di banche alle imprese può essere garantita da privilegio speciale su beni mobili, comunque destinati all’esercizio dell’impresa, non iscritti nei pubblici registri.”. In questi casi, se il mutuante è la banca e il credito è a medio o lungo termine, si può fare un accordo che garantisce il creditore con in beni utili destinati all’esercizio dell’impresa. Dovrà risultare da atto scritto e dovrà essere iscritto in apposito registro per essere opponibile ai terzi. Credito agevolato. Art. 47: “Tutte le banche possono erogare finanziamenti o prestare servizi previsti dalle vigenti leggi di agevolazione, purché essi siano regolati da contratto con l’amministrazione pubblica competente e rientrino tra le attività che le banche possono svolgere in via ordinaria”. I finanziamenti agevolati sono quei finanziamenti in cui entra in azione un ente pubblico per agevolare colui che accede al finanziamento. In alcuni settori l’ente pubblico può ritenere che sia necessario dare contributi per favorire quell’attività. Questa agevolazione spesso non viene concessa direttamente dall’ente pubblico di riferimento, ma viene delegata alle banche. L’agevolazione la concede lo stato ma passa attraverso la banca. E’ necessario che vi sia un convenzione tra la banca e l’ente che eroga il finanziamento. La banca eroga un credito in nome e per conto di un ente pubblico. Tra i vari tipi di agevolazioni: nelle agevolazioni a fondo perduto non c’è obbligo di restituzione; concessione di prestiti, che servono per avviare un’attività (che altrimenti nessuno agevolerebbe); erogazione di servizi reali; credito di imposta, ossia i bonus fiscale (deroga dal pagamento di tasse). Il credito su pegno. Art. 48 TUB: “Le banche possono intraprendere l’esercizio del credito su pegno di cose mobili […] dotandosi delle necessarie strutture e dandone comunicazione alla Banca d’Italia”. Col credito su pegno s’è data la possibilità per le banche di svolgere le funzioni che una volta svolgevano i monti di pietà. Oggi solo poche banche sono dotate di tali strutture. Si lasciano in pegno beni mobili di valore (gioielli, monili) e si concedono crediti a tassi miti. La durata del credito è breve (tra uno e sei mesi). Lo scopo è favorire l’accesso al credito da parte di soggetti meno abbienti. Le norme a cui rimanda la legge 48 del TUB rimanda a regi decreti.
Apertura di credito bancaria. Art. 1842: “L’apertura di credito bancario è il contratto col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato”. La natura del contratto è consensuale e non reale. La banca non consegna materialmente la somma di denaro al soggetto che ne beneficia. Semplicemente mette a disposizione una somma di cui egli potrà o meno beneficiare. L’obbligo da parte della banca viene assolto semplicemente mettendo a disposizione quella somma di denaro attraverso il c.d. affidamento o fido o castelletto. Il beneficio dell’accredito è poter usufruire, fino a scadenza, di quella somma, in tutto o in parte, fino alla scadenza. L’obbligo della banca consiste nella messa a disposizione di questa somma; se viene utilizzato o meno alla banca non interessa. Questa forma di contratto bancario viene chiamata anche castelletto o fido. Spesso l’apertura di credito viene accompagnata dal conto corrente di corrispondenza. Difatti esistono dei conti correnti di corrispondenza affidati, cioè che godono anche di un’apertura di credito. Quando si parla di fido o castelletto non dobbiamo confondere questa figura con il castelletto di sconto o salvo buon fine. Mentre nel castelletto l’accreditato non deve presentare nulla alla banca, nel castelletto di sconto o salvo buon fine, affinché si possa ottenere la messa a disposizione di una somma più o meno elevata, bisogna esibire alla banca titoli che rappresentano dei crediti. Questi crediti, nel caso del castelletto di sconto, vengono ceduti alla banca. Se dispongo di un credito verso tizio, lo cedo alla banca e subito ottengo denaro. Oppure do alla banca questi documenti è il credito incorporato viene riscosso dalla banca. O il credito viene ceduto (castelletto di sconto) oppure non si cede il credito, ma si delega la banca a riscuoterlo. Riassumendo, nel castelletto o apertura di credito non si devono esibire crediti, negli altri casi si devono esibire titoli da cui risultano crediti (ceduti, nel caso del castelletto di sconto, o delegati a riscuotere alla banca, nel castelletto salvo buon fine). Un’altra figura da tener presente è il fido di fatto. Nel caso del conto corrente bancario (o di corrispondenza) la banca svolge il servizio di cassa purché ci sia la provvista. Nel non c’è nemmeno un centesimo non si può prelevare. Il servizio di cassa è subordinato all’esistenza della provvista. Se però, malgrado l’assenza di provvista, riesco a fare queste operazioni (quindi la banca permette il prelievo anche se non c’è provvista) in realtà, accanto a un vero e proprio conto corrente di corrispondenza si viene a creare anche un’apertura di credito di fatto o fido di fatto. Affinché ci sia giuridicamente un contratto di fido è necessaria la forma scritta ad substantiam. Se invece ad substantiam c’è solo il contratto di conto corrente di corrispondenza, e comunque la banca mi mette a disposizione le somme richieste si può parlare di fido di fatto. Prima del TUB si credeva che questo comportamento fosse una forma di conclusione del contratto per fatti concludenti. Oggi non è più possibile. Siccome è necessaria la forma scritta il fido di fatto rimane tale. Allora il rischio è che all’improvviso la banca chieda il conto. In un’apertura di credito la restituzione (o rientro) invece può essere richiesta solo alla scadenza del contratto. La natura consensuale. Rispetto al mutuo non c’è la consegna di una somma di denaro ma solo la messa in disposizione. Commissione di massimo scoperto. Chi usufruisce di queste somme dovrà pagare questo beneficio. Si ritiene che debba pagare la commissione di massimo scoperto. Nei periodi di volta in volta considerati per la chiusura del conto (normalmente l’apertura di credito è fatta nell’ambito del rapporto di conto corrente), ogni tre mesi si vede qual è la punta massima di cui il soggetto affidato ha beneficiato. Rispetto alla somma massima si calcola in percentuale la commissione di massimo scoperto. Lo scoperto è la somma di cui si è diventati debitori. In più dovrò restituire la somma beneficiata e in più ancora dovrò restituire gli interessi sulla somma dal giorno ho prelevato fino al giorno in cui ho restituito. C’è chi dice che la commissione di massimo scoperto sia illecita: nel momento in cui, oltre la somma do gli interessi, non dovrei dare nient’altro. L’apertura di credito è caratterizzata da una tipologia variabile a seconda dei casi:
· Apertura di credito semplice. Posso una sola volta utilizzare la somma. Posso farlo in più riprese, o in una sola soluzione. Esaurita la somma, non posso più ripristinare la provvista. Finita la provvista si deve pagare la somma.
· Apertura di credito in conto corrente. Si può utilizzare la somma più volte e di volta in volta si può ripristinare la provvista, con dei versamenti. L’importante è che non si vada oltre la cifra addebitata.
· Apertura di credito “allo scoperto”. La somma che devo restituire non è garantita da nessun soggetto terzo o da nessun bene. Se non c’è nessuna garanzia si dice che l’apertura è allo scoperto.
· Apertura di credito “garantita”. La somma che devo restituire è garantita da terzi o da beni.
Per capire meglio il meccanismo bisogna comprendere l’annotazione a credito (nel libro dei fidi) e l’utilizzazione concreta secondo le forme d’uso. La banca adempie il suo obbligo giuridico semplicemente annotando a credito, cioè mettendo a disposizione quella somma nei miei confronti. Materialmente non deve dare niente. L’importante è che nel libro dei fidi venga annota la somma. Nel momento in cui è annotata sorge il mio diritto a portela utilizzare. Dal punto di vista giuridico divento titolare della somma solo quando la utilizzo. Fino a quel momento la somma è solo nella mia disponibilità economica. Potrebbe avvenire che la banca annota a credito la somma, io non la utilizzo mai, ciononostante dovrò pagare una commissione alla banca per il semplice fatto che mette a disposizione una somma. Gli esempi sono molteplici. Le modalità con cui si usa questo credito sono le stesse con cui si esercita il diritto di correntista (prelievi, bonifici, assegni). Il problema sorge quando, anziché limitarmi a beneficiare nelle c.d. forme d’uso, voglio chiedere alla banca di costituire un’obbligazione a favore di un terzo. Questo non è possibile nell’apertura di credito di cassa. Se a quelle operazioni ordinarie si vuole aggiungere anche un’ulteriore obbligazione di fare si sconfina in un’altra figura di apertura di credito, che si chiama apertura di credito di firma. Siamo in un contratto atipico lecito col quale la banca non deve solo dare ma anche fare. Disciplina dell’eventuale garanzia. La regola principale è quella della permanenza: se nell’apertura di credito garantisce un fideiussore, finché il contratto di apertura di credito non si estingue, anche il fideiussore rimane obbligato nei confronti della banca. Questo accade a meno che non ci sia il recesso: atto unilaterale con cui si comunica alla banca che a partire da una certa data non sarà più obbligato. Il recesso non significa che il fideiussore non ne risponde più: alla data in cui la comunicazione di recesso è stata ricevuta dalla banca si fa il totale e si verifica l’utilizzo della provvista. Se il cliente debitore della banca dovrà alla banca ancora una certa cifra, la banca potrà sempre rivalersi nei confronti del fideiussore, anche se ha esercitato il recesso. Fine del rapporto. Può essere a tempo determinato (con termine) o indeterminato (mediante recesso). Nel credito a tempo determinato io cliente conto che fino a quel termine potrò usufruire della provvista. La banca non può venire meno a quella provvista prima di quella data. Per questo, nel credito a tempo determinato, il recesso della banca è ammesso solo se c’è una giusta causa. Invece quando è a tempo indeterminato non c’è questa presunzione. Ciononostante, sebbene ininfluente la giusta causa, è richiesto un congruo preavviso non inferiore a 15 giorni. Nel momento in cui la banca recede si blocca immediatamente la possibilità di utilizzare dell’apertura di credito. Inoltre il cliente dovrà restituire la somma ricevuta entro un congruo termine (15 giorni). Nelle NUB tutti questi limiti a volte vengono forzate. Proprio perché la banca approfitta della propria posizione di vantaggio, impone un rientro o incondizionato o addirittura improvviso. Queste norme potrebbero essere dichiarate nulle per violazione del principio di buona fede e correttezza.
Anticipazione bancaria. Art. 1846: “Nell’anticipazione bancaria su pegno di titoli o di merci, la banca non può disporre delle cose ricevute in pegno, se ha rilasciato un documento sul quale le cose stesse sono individuate. Il patto contrario deve essere provato per iscritto”. Nell’anticipazione bancaria gli elementi essenziali sono il pegno su titoli o merci e la costanza del c.d. scarto. L’anticipo della somma presuppone che il soggetto debitore abbia dato in pegno (garanzia reale) titoli o merci. In questo caso la banca, a differenza dell’apertura di credito, che può essere anche allo scoperto, in tanto anticipa la somma in quanto il debitore impegna titoli o merci. Deve rimanere invariato il rapporto tra il valore delle merci o titoli e il valore del credito ricevuto. E’ superiore il valore dei beni sotto pegno che del credito della banca, altrimenti la banca non concede anticipazione. Se ammettiamo lo scambio iniziale tra pegno e anticipazione, il rapporto tra questi due valori deve rimanere costante durante tutto il rapporto. Questo rapporto, se viene superato di 1/10, può portare addirittura all’estinzione della stessa anticipazione bancaria. Questo rapporto che non deve essere alterato è detto scarto. Art. 1850: “Se il valore della garanzia diminuisce almeno di un decimo rispetto a quello che era al tempo del contratto, la banca può chiedere al debitore un supplemento di garanzia nei termini d’uso, con diffida che, in mancanza, si procederà ala vendita dei titoli o delle merci dati in pegno. Se il debitore non ottempera alla richiesta, la banca può procedere alla vendita a norma del secondo e quarto comma dell’art. 2797”. Anticipazione bancaria propria e impropria. Nell’anticipazione propria la banca non può disporre dei beni sottoposti a pegno. In quella impropria invece dovrà restituire il c.d. tantumdem, cioè beni della stessa quantità e specie. Una particolare figura di anticipazione impropria è il pegno irregolare. In questo caso l’oggetto può essere anche denaro. La garanzia non è un elemento essenziale. L’effetto è favorire il trasferimento della proprietà e rispetto a questo trasferimento il pegno non è un elemento essenziale, tant’è che lo stesso pegno irregolare può essere concesso anche per più crediti. Nell’anticipazione con pegno regolare invece il pegno vale solo per un credito.
Sconto bancario. Art. 1858: “Lo sconto è il contratto col quale la banca, previa deduzione dell’interesse, anticipa al cliente l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso”. Il cliente ha un credito verso terzi non ancora scaduto, però ha bisogno di liquidità. Allora cede questo credito alla banca con il contratto di sconto e la banca glielo sconta: se il credito è 100 però scade tra un anno, dedurrà da 100 il valore degli interessi che matureranno da quella somma fino a quando incasserà il credito. Siccome la banca non incassa subito quel credito ma lo incassa con ritardo, bisogna valutare gli interessi. Il cliente allora riceve 100 decurtati degli interessi che si accumulerebbero in un anno. Questo termine è concesso salvo buon fine: se tra un anno quel credito non è incassato dalla banca, la banca torna dal cliente e la banca chiede la somma totale (100). Lo sconto cambiario ha ad oggetto cambiali e assegni bancari. Lo sconto di tratte documentate. Le tratte documentate sono i documenti da cui risultano la vendita di merci.
Conto corrente bancario. E’ una delle figure più importanti. Non bisogna confondere il conto corrente bancario in senso stretto (figura prevista da prassi e NUB) con le operazioni bancarie in conto corrente e il conto corrente ordinario. Le operazioni bancarie in conto corrente non sono un contratto bancario, ma solo una modalità di esecuzione di uno o più contratti bancari. Se ho un contratto di anticipazione con la banca, posso farla regolare con conto corrente. Si avrà quindi un’anticipazione in conto corrente. La particolarità è che il contratto rimane di apertura di credito ma viene regolato in conto corrente, ossia con annotazione contabile delle varie operazioni. Questo avviene con le due colonne: dare e avere. Se devo prelevare la somma va in dare (divento debitore); se devo versare la somma va in avere (divento creditore). Alla fine si fa, nella terza colonna, la somma algebrica, ossia il saldo (che alla fine sarà positivo o negativo). Qualsiasi operazione può essere regolata in conto corrente. Il conto corrente bancario o di corrispondenza (disciplinato da prassi e NUB) consiste in un servizio di cassa; un servizio mediante il quale la banca, per conto del cliente in base alle norme sul mandato, gestisce i pagamenti e gli incassi (operazioni d’uscita e d’entrata). Il servizio di cassa è il cuor del conto corrente bancario. Questo avviene con le modalità più disparate (prelievi, versamenti, bonifici). Le operazioni ordinarie rientrano nel conto corrente. Se ci sono delle operazioni particolari, non di cassa ma si altra natura (emissione di assegni, prelievo con bancomat, prelievo con carta di credito) allora vuol dire che al conto corrente bancario tout court andrà assommata una convenzione ad hoc. Per poter emettere assegni non si deve essere titolari solo del conto corrente bancario. Si deve avere anche una convenzione di cheque. Non basta essere correntisti per poter utilizzare tutte le modalità di versamento e prelievo. Nel conto corrente rientrano solo le operazioni di cassa. Tutte le altre operazioni (assegni, bancomat, carta di credito, cessione di titoli) vanno gestite attraverso convenzioni ad hoc, che non fanno parte del contratto di conto corrente. Il conto corrente è un servizio di cassa. Ci sono chiusure periodiche del conto corrente, chiusure contabili, non giuridiche. Le chiusure contabili sono i famosi “estratti conto”. Mentre nel conto corrente bancario posso in più riprese utilizzare la c.d. provvista, cioè se ci sono somme di cui posso beneficiare posso farlo più volte, nel conto corrente ordinario (disciplinato dal c.c.) la provvista può essere incassata solo una volta: quando il conto viene chiuso. Il saldo può essere incassato solo alla fine. Il saldo è sempre disponibile, nei limiti della provvista, nel conto corrente bancario. Ogni giorno posso fare più operazioni. Rilevano il momento gestorio e la provvista, nel senso che la provvista può essere utilizzata perché alla banca vengono conferiti poteri simili a quelli del mandatario (il correntista è il mandante). La banca deve eseguire, con una sorta di mandato, tutti gli obblighi che ricollego al servizio di cassa. Ciò avviene con i famosi “ordini” (le modalità sono le più varie), e nei limiti della disponibilità. Se non c’è provvista la banca non fa nulla, a meno che la banca lo voglia fare spontaneamente. Quando si vanno a chiudere i conti, più che di compensazione di parla di conguaglio. La banca dovrà, con un mandatario, essere diligente e quindi responsabile nel caso di incasso di assegni falsificati. La banca ha obblighi di informazione, adeguamento, comunicazione di notizie rilevanti al correntista.